Lunedì 2 settembre ho fatto un viaggio nel tempo, sono riuscito a tornare in una Acri antica quando questa, assieme ai suoi abitanti, si relazionava con la sua natura ed il suo fiume. Questo viaggio, tanto desiderato, sono riuscito a farlo assieme al Prof. Angelo Vaccaro. Insieme abbiamo scalato (l’aggettivo non è casuale) le famose “coste di Padia”, queste sono state barriera quando bisognava difendersi da possibili attacchi, fonte di cibo e olio grazie ai suoi frutteti e oliveti, sostegno strutturale a ciò che vi era e vi è “sopra” e in ultimo svolgono una rilevante funzione paesaggistica ed ecologica. La conformazione fisica a dir poco impervia di queste, non ha mai permesso di svolgere un’agricoltura diversificata. Percorrendo queste “strade” e vedendo dove l’uomo ha dovuto coltivare fa riemergere quella che era una vera e propria agricoltura di sussistenza (coltivazioni destinate al consumo diretto delle famiglie contadine, indispensabili per la sopravvivenza) svolta su un territorio faticoso e imprevedibile. In questo primo tratto ho un assaggio della vallata, solo il principio, però mi ha già sorpreso. Arrivando in fondo parcheggiamo dove giaceva il primo mulino di Acri, “Il mulino Petrone”, di cui purtroppo non vi sono tracce, e ci incamminiamo lungo un percorso circondati dal verde. Dopo qualche metro intravediamo tra gli imponenti alberi e gli arbusti un elemento di rilevante valore patrimoniale, ovvero il ponte che ci permette di oltrepassare il fiume. È sorto in epoca fascista (tra il 1932-33) e conserva nonostante l’assenza totale di manutenzione i suoi pezzi originali: le pietre con cui è stato costruito sono quelle del fiume che sovrasta ed il legno (dove rimane) quello della vallata. Proseguendo il cammino riscopro un’altra vita, un’ulteriore tassello del passato di Acri ormai dimenticato, ovvero l’agricoltura in prossimità del fiume, quella che un tempo sfamava le famiglie e arricchiva di prodotti autoctoni il grande e vecchio mercato orto-frutticolo della “Chiazza e di frutt”. Anche quest’attività è stata abbandonata ma nonostante ciò ancora permangono i segni di quell’agricoltura, seppur mutata, rivelando delle forme insolite rispetto a quelle che siamo abituati a vedere in un contesto agricolo. Ad esempio una vite circonda e si “appropria” di un ulivo intrecciandosi con esso, arrampicandosi sulle sue foglie e sui suoi rami, facendo nascere così un acino sulla sua chioma a circa tre metri da terra. Il rumore dell’acqua che scorre attira la mia attenzione, il momento che stavo attendendo da più tempo è arrivato, posso passare le mie dita in quell’acqua. Il Mucone si nasconde dietro la natura come se questa lo proteggesse, arrivo sulla sua riva ed è lì che lo stupore per la bellezza e la purezza di quel luogo, apparentemente incontaminato, si impadronisce di me. Discosto lo sguardo dallo scorrere dell’acqua e guardo su, molto in alto, oltre gli alberi ed il verde, intravedo i quartieri Picitti e Padia e da lì comprendo e sento il legame del fiume con la mia città. Nonostante Acri sia un territorio dove non mancano torrenti, fiumi e fonti, questa presenza fino a quel momento non l’avevo avvertita, forse soprattutto per le scelte politiche fatte in passato (l’interramento del fiume Calamo). Quest’area è stata completamente dimenticata da tutti. In particolar modo è stata dimenticata da chi avrebbe potuto e dovuto valorizzarla per offrire qualcosa di unico ai suoi cittadini i quali avrebbero avuto il privilegio di sentirsi in mezzo alla natura più incontaminata senza doversi spostare di molto. Il borgo montano e la sua torre bruzia, il quartiere abbandonato dei Picitti o le molteplici chiese, il paesaggio della vallata del Mucone con i suoi percorsi di diverse difficoltà, il water-trekking e le aree pic-nic avrebbero potuto attrarre un turista e così far rinascere questa cittadina sia turisticamente che economicamente. Il degrado e l’abbandono sono evidenti, se non si interviene in tempo breve il destino di quest’area è già segnato. L’intervento giusto potrebbe essere quello cercato e promesso da anni per creare finalmente un punto di incontro “tra quella e questa banna” che al momento risultano essere due poli distanti, distinti e separati come se fossero comuni diversi e come se tra loro non ci fosse un fiume ed una vallata ma bensì un muro. L’assenza di piani paesaggistici e di un PSC funzionale, che avrebbe potuto introdurre o trovare una funzione a questo luogo, è sinonimo di ciò che attualmente il nostro territorio ci dà in termini economici, turistici e ambientali; tutto questo, oggi come in passato, ha influenzato e influenzerà Acri e la sua comunità presente e futura. Basta essere consapevoli e conoscere ciò che abbiamo tra le mani o dietro l’angolo o, come in questo caso, ai nostri piedi per poter incrementare la nostra coscienza e conoscenza storica così da riuscire a farla riemergere e a valorizzare quegli elementi che ne sono parte. E a chi vi dice: “ad Eacr un c’è nent”, non credetegli, scopritelo e fateglielo scoprire, parte tutto da ognuno di noi. “Ad Eacr c’è tutt ma un lu vidim”. Dal territorio per il territorio, possiamo ancora rinascere dalle nostre radici. «Qualcosa è nascosto. Vai a cercarlo. Vai e guarda dietro i monti. Qualcosa è perso dietro i monti. Vai! È perso e aspetta te». da The Explorer, in The collected poems of Rudyard Kipling, 1898