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Diritti umani e persone con disabilità. Noi siamo gli esperti sulla nostra vita, niente su noi senza di noi

Foto © Acri In Rete
Valentino Coschignano
Il 3 maggio 2008 è la data che sancisce l’entrata in vigore della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Convenzione, che il 26 gennaio 2009 è stata ratificata dall’Unione Europea e il 3 marzo dello stesso anno con Legge n. 18 ratificata dallo Stato italiano.
Non una semplice manifestazione di intenti, ma il riconoscimento, alle persone con disabilità, del massimo dei diritti.
Questo trattato viene giustamente definito una “Convenzione basata sui diritti umani” e conferma che le persone con disabilità sono parte imprescindibile della società.
E’ la società che deve prevenire la disabilità ed è anche responsabile di garantire, alle persone disabili, il godimento dei loro diritti.
La condizione di disabilità, e le conseguenti limitazioni funzionali, è un prodotto della società in quanto non garantisce alle persone disabili ne le libertà fondamentali ne il godimento dei diritti in condizione di eguaglianza con gli altri cittadini. Persone disabili che devono beneficiare, trasversalmente, di tutti gli interventi, le azioni e le politiche programmate e realizzate dai governi centrali e periferici (regioni, province e comuni) che, a loro volta, devono garantire la rimozione di ostacoli e barriere di ogni tipo e assicurare il divieto di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla disabilità.
La Convenzione ONU, all’insegna di profonde trasformazioni, sposta i punti di vista da cui partire per rispondere ai diritti di questi Cittadini.
Dalla lettura della condizione di disabilità che parte dalle patologie, l’attenzione si sposta alle relazioni sociali, dalle condizioni soggettive delle persone ci si concentra sui condizionamenti ambientali e sociali, dal riconoscimento dei bisogni si arriva a quello dei diritti, dalla società che disabilita le persone a una società che le abilita.
La Convenzione ONU restituisce, alle persone con disabilità, la titolarità dei loro diritti come Cittadini a cui la società deve dare risposte in termini di eguaglianza e di opportunità e di non discriminazione.
Non più un concetto di giustizia basato sulla metafisica (sarai ricompensato nell’aldilà), sul risarcimento, sulla semplice cura e assistenza, sulla protezione e sulla carità, dove la persona disabile è vista come persona fragile e vulnerabile a causa della sua condizione di minorazione funzionale.
Ma, un concetto di giustizia nuovo, basata sull'inclusione, sull'empowerment , sul cambiamento culturale e sociale, sul rispetto dei diritti umani, sulla valorizzazione delle diversità umane.
Un modello nuovo che rivoluziona i comportamenti politici, sociali, di giustizia, etici e prassi degli individui e della società. Un modello che vede la disabilità come ordinaria condizione di ztutto il genere umano.
Perché, come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nell’arco di una vita, tutte le persone che vivono sulla terra vivranno esperienze di disabilità (perché bambini, perché anziani, perché incidentati) Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale e politica non ancora del tutto compresa e digerita dai Governi, dalle forze politiche, dai cittadini e, spesso, dalle stesse persone con disabilità, dalle loro famiglie e dalle loro associazioni.
Una vera e propria rivoluzione che deve coinvolgere in primis le persone con disabilità e le loro famiglie e, contestualmente, le organizzazioni che a vario titolo ad essi si rapportano e li rappresentano.
Le persone con disabilità da assistiti e pesi sociali devono diventare cittadini a pieno titolo cui indirizzare le politiche generali e, un approccio innovativo in questa direzione lo assumono le cosiddette politiche di mainstreaming. Politiche indirizzate all’inclusione delle persone con disabilità e che intervengono trasversalmente sulle politiche settoriali: impiego/lavoro, trasporti, istruzione/educazione, accessibilità/mobilità, turismo, sport e tempo libero.
Diventa perciò necessario ripensare le politiche di welfare che da politiche residuali dovranno diventare politiche incardinate in tutti gli ambiti di sviluppo economico e sociale. Sarà necessario passare da un welfare basato sulla protezione sociale ad un welfare basato sull’inclusione sociale.
L'Inclusione sociale è un diritto delle persone con disabilità, che si realizza con la piena partecipazione di questi cittadini in tutti gli ambiti della vita. Su base di eguaglianza con agli altri, senza discriminazioni, rispettandone la dignità e valorizzandone la diversità attraverso azioni e interventi appropriati. Superando ostacoli e pregiudizi e con sostegni basati sul mainstreaming in modo che possano vivere nelle comunità locali. Ascoltandoli e chiedendo loro suggerimenti, perché, in quanto esperti della propria vita, sono loro a dare soluzioni adeguate per i loro problemi e le loro difficoltà.
Il diritto all’inclusione è un percorso per riscrivere le regole di una società che esclude, che colpisce le persone con disabilità da più punti di vista: marchio di diversità negativa, rifiuto al dialogo, impoverimento delle persone che ne sono colpite, stigma sociale.
Se l’esclusione è basata su un’azione semplice: la valutazione negativa della persona, il rifiuto della parità di condizione, la negazione dell’appartenenza attraverso trattamenti differenziati senza giustificazione, la cancellazione dell’altro come persona titolare di diritti umani.
L’inclusione è invece un processo faticoso: di crescita di consapevolezza, di riscrittura di principi, di recupero di dignità delle persone escluse, di ricerca di strumenti appropriati, di presa in considerazione di nuovi bisogni, di riequilibrio dei poteri all’interno della società tutta.
E’ un processo di sistema che coinvolge tutti i campi di attività della società in un nesso inscindibile (le politiche di mainstreaming).
Per meglio chiarirne le implicazioni semantiche è opportuno soffermarsi sui concetti di inserimento, integrazione e inclusione, spesso usati come sinonimi.
L’inserimento riconosce il diritto delle persone con disabilità ad avere un posto nella società, ma si limita a inserirle in una zona spesso separata dalla società (un istituto o una classe speciale, ad esempio), oppure in una situazione passiva, di dipendenza e di cura.
In questo caso, la decisione su dove debbano vivere e come debbano essere trattate le persone con disabilità non è presa da loro, o dalle loro famiglie nel caso non possano rappresentarsi da sole, dipendendo da decisioni di altri attori (medici, operatori di istituzioni pubbliche ecc.). Spesso, quindi, l’inserimento è basato su un approccio caritativo e assistenziale.
L’integrazione, invece, è il processo che garantisce alle persone con disabilità il rispetto dei diritti all’interno dei luoghi ordinari, vissuti da tutte le persone, senza però modificare le regole e i principi di funzionamento della società e delle Istituzioni che li accolgono.
Dietro a tale impostazione vi è ancora una lettura basata sul modello medico della disabilità. Prevale infatti ancora l’idea che le persone con disabilità siano speciali e vadano sostenute attraverso interventi prevalentemente tecnici (anche se speciali lo sono diventate proprio perché escluse dalla società).
L’integrazione non è quindi un riconoscimento pieno di dignità e di legittimità, è la persona a doversi adattare alle regole sociali già definite, rimanendo un ospite della società che lo accoglie con condiscendenza. Tant’è vero che questo principio si basa sulle risorse economiche disponibili e quindi è soggetto a parametri esterni al diritto. Se non ci sono i soldi, pazienza per i diritti!
L’inclusione, infine, è il concetto che prevale nei documenti internazionali più recenti. In questo caso, la persona con disabilità viene considerata cittadino titolare di tutti i diritti. Pertanto, persona che deve godere di tutti i diritti, beni, servizi e politiche destinate, indistintamente, a tutti i cittadini.
Viene per altro riconosciuto che la società si è organizzata in maniera tale da creare ostacoli, barriere e discriminazioni, che vanno rimosse e trasformate.
Secondo questo modello (sociale della disabilità), le persone con disabilità rientrano nella comunità con pieni poteri. Hanno il diritto di partecipare alle scelte su come la società si organizza, sulle sue regole e sui principi di funzionamento, i quali, devono essere riscritti tenendo conto di tutti i membri della società. Le persone con disabilità non sono più ospiti nella società, ma in essa e un tutt’uno con essa.
La disabilità, come si sottolinea nel Preambolo della Convenzione: «è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri».
Dietro a tale concetto vi è il modello sociale della disabilità basato sul rispetto dei diritti umani. Modello, che sottolinea le responsabilità della società nel creare condizioni di disabilità.
Disabilità, perciò, non come sinonimo di limitazione funzionale, di incapacità, di invalidità, di condizione psico-fisica, ma come relazione sociale tra le caratteristiche dell'individuo e il modo in cui la società ne tiene conto.
L’inclusione riconosce la diversità umana e la inserisce all’interno delle regole di funzionamento della società: nel riconoscimento e rispetto dei diritti, nella produzione di beni e nell’organizzazione ed erogazione dei servizi.
Il diritto umano ad essere inclusi non dipende dalle risorse disponibili, bensì dalla consapevolezza che tutti gli esseri umani hanno gli stessi diritti.
Pertanto, la valutazione della qualità dell’inclusione risulta essenziale per identificare non solo le barriere e gli ostacoli, ma anche le discriminazioni e la mancanza di pari opportunità che la società impone alle persone con disabilità.
Il movimento mondiale delle persone con disabilità centra una delle proprie azioni di tutela dei diritti umani sull’empowerment, sia, connesso alla persona ed inteso come rafforzamento delle capacità individuali, che sociale, acquisizione di potere da parte della comunità (gruppi, organizzazione, associazioni) nei vari ambiti della vita politica, sociale ed economica.
E le persone con disabilità hanno bisogno sia di un rafforzamento delle loro capacità individuali, sia dell’acquisizione di maggior potere di decidere su come la società li include. Decidendo la loro inclusione sia in prima persona che attraverso i propri familiari e le organizzazioni che li rappresentano.
È innegabile che le persone con disabilità subiscano violazioni continue dei loro diritti umani, violazioni che spesso producono in loro la percezione di essere inadeguati, di essere loro stessi incapaci di vivere in società a causa della loro condizione. Trasformare questa percezione è il primo obiettivo dell’empowerment. Solo essendo coscienti delle discriminazioni e delle oppressioni che la società ti costringe a vivere puoi iniziare un percorso di emancipazione.
L’empowerment individuale delle persone con disabilità riguarda vari aspetti:
- emotivi, riformulazione delle emozioni sul costruire e trasformare piuttosto che sul limitare ed eliminare;
- percettivi, ridefinizione delle esperienze di vita sulla base del modello sociale della disabilità;
- intellettivi, comprensione degli strumenti culturali di cui dotarsi apprendendone i linguaggi;
- comportamentali, trasformazione delle relazioni umane e sociali sulla base della nuova consapevolezza di se;
- abilitativi, apprendere a fare delle cose anche in modo diverso;
- informativi, conoscere e saper usare le leggi e le risorse del proprio territorio.
L’empowerment sociale o di comunità fa riferimento all’azione collettiva finalizzata a migliorare la qualità di vita dei cittadini mettendo in rete (connettendo) le organizzazioni e le agenzie presenti nella comunità.
E’ inteso come un processo che conduce i propri membri a sviluppare la percezione del proprio potere, del proprio sentimento di appartenenza e della capacità di prendere decisioni
. L’empowerment di comunità favorisce la consapevolezza dei problemi sociali e aumenta la comprensione del significato che alcune condizioni sociali hanno sugli individui.
E’ lo strumento per mezzo del quale i cittadini acquisiscono competenze, motivazione e risorse per intraprendere attività volte al miglioramento della qualità della vita di tutti i suoi appartenenti.
L’empowerment di comunità è inteso come partecipazione attiva della comunità per creare condizioni di progresso sociale ed economico.
Scopo dell’empowerment di comunità è anche quello di aumentare il livello di consapevolezza delle sofferenze e delle difficoltà che le persone vivono. Ciò, al fine di promuovere azioni di cambiamento affinché queste persone ne traggano beneficio e miglioramento.
L’advocacy come approccio per far sentire la propria voce, influenzare le decisioni, le politiche o le leggi. In questa prospettiva, l'advocacy mira a promuovere i diritti delle persone con disabilità e la giustizia economica e sociale
. L’associazione Raggio di Sole, consapevole dell’importanza storica che riveste la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone Disabili, nonché, degli effetti positivi in termini culturali che ne scaturirebbero se questa si conoscesse, venisse diffusa e applicata correttamente, nel dicembre 2011 propose all’Assessore alla Sanità, Servizi Sociali e Volontariato di dotare la nostra comunità della Carta Locale dei Diritti delle Persone con Disabilità.
La proposta fu accompagnata da un’articolata bozza predisposta dall’associazione sulla falsa riga della Convenzione delle Nazioni Unite e, il complesso articolato, relativamente alle aree specifiche prese in esame, tenne conto delle competenze dell’Ente Comune, prevedendo: l’Osservatorio Locale sull’applicazione della Carta, il monitoraggio dello stato delle politiche locali nell’area della disabilità e un convegno annuale per discuterne insieme ad Enti e Agenzie del territorio.
L’idea scaturì dalla convinzione degli aderenti all’associazione che dotarsi di uno strumento come la Carta Locale dei Diritti delle Persone con Disabilità rappresentasse (rappresenti) un modo per promuovere, nella comunità locale, un’azione culturale e di empowerment in grado di attivare, nei cittadini, un processo di cambiamento di quegli atteggiamenti negativi, preconcetti e stereotipati nei confronti delle persone con disabilità e, nel contempo, favorisse percorsi di inclusione sociale.
Con una pizzico di amarezza gli aderenti all’associazione hanno dovuto constatare che la proposta è rimasta tale, ad oggi, priva di seguito. Ma sono fiduciosi, il mandato amministrativo non si è ancora concluso e tutto può ancora accadere.

PUBBLICATO 20/02/2013





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