“Vecchia Calabria / Old Calabria” del narratore inglese Norman Douglas (1868 -1952, scritto nel 1915, è considerato uno dei migliori libri di viaggio sulla Calabria. La prima edizione italiana dell’opera è del 1962 (traduzione di Grazia Lanzillo, Lidia Lax; introduzione di John Davenport, Milano, Aldo Martello). Lo scrittore percorre la regione a piedi o su vecchi carretti dal Pollino all' Aspromonte, dalla Sila a Crotone, dal Tirreno allo Jonio, da Cosenza a Reggio, da Montalto a Catanzaro. Nel corso delle sue molte visite in Calabria, la prima nel 1907, la più lunga nel 1911, annota tutto ciò che trova interessante, ma lo fa “per il proprio piacere e per il piacere di coloro che hanno i suoi stessi gusti”. Offre al lettore, pertanto, una severa ed affettuosa analisi della regione, attraverso un saggio colto e divulgativo, con appunti di viaggio, spunti autobiografici e frequenti considerazioni sulle condizioni sociali ed economiche della Calabria dei primi anni del XX secolo. Tra le sue opere, Vecchia Calabria, è forse quella che meglio riassume la singolare e complessa personalità di questo personaggio anticonformista e innamorato del Sud, che vive per molti anni lontano dalla sua patria e trascorre lunghi periodi nel meridione d’Italia. Nel suo viaggio fa tappa anche a San Demetrio Corone ed il soggiorno nel nostro paese è descritto in due capitoli della sua opera: “Gli albanesi e il loro collegio” e “Un chiaroveggente albanese”. Nel primo mette in risalto l’orgoglio dei sandemetresi per il loro Collegio. Ne descrive la sua funzione, l’organizzazione interna e perfino la costruzione, definendola imponente. Non evita, però, di annotare che la biblioteca del Collegio un tempo famosa, è stata depredata dei suoi tesori migliori …Ci informa che “nel Collegio si insegnano musica e scherma, ma non vi sono di moda quegli esercizi atletici che concludessero alle vittorie di Maratona e Salamina; mens sana in corpore sano non è l'ideale prescelto; le lotte fra gli allievi sono giudicate riprovevoli e selvagge e sono proibite le punizioni corporali. Non vi sono terreni di gioco o laboratori e l’unico esercizio fisico consiste nelle monotone passeggiate, durante le quali i più giovani si abbandonano a pallidi tentativi di giochi che sono patetici …”.
Ammirazione, comunque, viene manifestata per la meravigliosa posizione del Collegio: “simile in ciò – afferma - ai venerabili edifici di Oxford. Con la sua lontananza dal mondo, il suo paesaggio pastorale e la natura intorno così ispiratrice, è un luogo per filosofi, non per ragazzi …”.
Descrive, inoltre, la Chiesa di Sant' Adriano precisando che “il nucleo della costruzione è formato dall’antica cappella, dov' è conservata una bella acquasantiera; vi sono anche due colonne tagliate, una di marmo d' Africa e l' altra di granito grigio; il pavimento è un mosaico, con immagini di animali, leopardi e serpenti, simili a quelli del Patir...”. Racconta, poi, del paese con la stessa franchezza con cui riferisce del Collegio. Non ne rimane favorevolmente impressionato perché “… le strade sono sentieri irregolari, mal pavimentati con pezzi di gneis, pareggiati dalla polvere e dai rifiuti …” . Cita, comunque, i nomi nobilissimi che sono stati attribuiti ai vicoli e utilizzando un bel punto esclamativo finale si meraviglia per i “nomi calcolati per accendere l’ardita fantasia dei giovani albanesi e prepararli a valorose imprese per la patria!” Douglas ricorda che “Ulisse, Salamina, Maratona, Termopili sono i nomi che narrano la gloria di Grecia; che via Skanderberg e Hypsilandia risvegliano più recenti memorie; che il corso Dante Alighieri rammenta loro di essere dell’ Italia, che ha ben compiuto qualcosa di grande a suo tempo; che la piazza Francesco Ferrer gonfia i loro cuori di orgoglio e indignazione, mentre via Industria ammonisce chiaramente che il genio senza la capacità di realizzare è un' espressione vuota....”. Ed ancora nel primo capitolo, dopo aver affermato che la città è interamente albanese, descrive un matrimonio cui ebbe la fortuna di assistere, mentre si celebrava nella Chiesa del paese. Non evitando di sottolineare che la sposa era la più brutta del paese e che nonostante manifestasse il suo apprezzamento per i riti nuziali, messi in atto durante la cerimonia, rimaneva colpito dalla faccia dello sposo. “Mai avevo visto – scrive - un individuo così tristemente sciocco come quello sposo; specie durante la passeggiata quando la sua assurda corona gli era sorretta sopra il capo dalla mano del suo migliore amico.” Nel secondo capitolo Norman Douglas narra della sua visita a Macchia Albanese, frazione di San Demetrio Corone, “posto – scrive - su una lingua di terra che termina con una cappelletta dedicata a Sant' Elia, l' antico re del sole, Helios, amante di picchi e promotori, che seppe esprimere le tempestose aspirazioni dell' Albania moderna..”. Quindi, fornisce notizie sulla vita e sull' opera poetica di Girolamo De Rada, sottolineandone anche il successo come giornalista. Per l’autore inglese il periodico Fiàmuri Arbërit (la bandiera dell' Albania) divenne l'insegna dei suoi compatrioti in ogni angolo della terra. E poi aggiunge che la sua vasta produzione attirò l' attenzione di insigni filologi e linguisti e di tutti coloro che amavano la libertà, il folklore e la poesia. Significativi, anche gli elogi al De Rada da parte di scrittori italiani e stranieri, come il Cantù e il Lamartine. Il Douglas paragona De Rada a Mazzini, affermando senza mezzi termini che “fu il Mazzini del suo popolo. Quando la crisi verrà, aggiunge, sorgerà forse da quella folla tumultuosa anche un Garibaldi. Ma, poi, si chiede: dov’è il Cavour ?” Il capitolo si chiude con la sua opinione su questi albanesi, basandosi sulle loro consuetudini e su quel tanto della loro letteratura che gli è stata messa a disposizione. Gli rammentano gli irlandesi. Ecco cosa scrive a proposito: “Entrambe le razze sono sparse nel mondo. Hanno gli stessi canti e poeti, gli stessi briganti eroi, lo stesso spirito battagliero e la stessa schietta ospitalità ”.