Ho letto con attenzione le pagine dell'ultimo lavoro di Vincenzo Rizzuto e le ho trovate interessanti e ricche di osservazioni, di considerazioni e di spunti che invitano il lettore a riflettere. Il libro, questo ultimo libro di Vincenzo Rizzuto, mi piace definirlo uno specchio dell'anima e della mente dell'autore. Sì, proprio così! Uno specchio, direi, a tre dimensioni in cui si riflettono l'autore, la vis della sua creatività e del suo pensiero e, infine, il lettore che, a sua volta, si coglie nelle pagine con cui lo scrittore gli si rivolge per incontrarlo e per entrarvi in contatto, attraverso la propria ansia di comunicare. Vincenzo Rizzuto è una bella penna, una penna che sa svolgere, con immagini vive e chiare e in una prosa agevole, i propri sentimenti, i propri stati d'animo e gli elementi delle proprie analisi, interessando (nel senso di creare un vivo rapporto, cioé una misura di inter- esse, intesa come capacità e possibilità, per chi legge, di consistere e di interagire con la pagina) e sollecitando il lettore a riflettere.
E' questa la prima importante nota dei suoi lavori in genere e di questo suo libro in particolare, un libro che racchiude racconti, versi e riflessioni, note di critica letteraria e testi di analisi politico- sociale ed ospita, altresì, una dolce e simpatica filastrocca, con la quale la moglie, Maria Luigia Rodotà, pare miri ad esorcizzare il coronavirus. Sono pagine interessanti e coinvolgenti le pagine di Vincenzo Rizzuto, pagine in cui emerge di continuo l'anima dell'educatore di giovani, l'anima dell'intellettuale impegnato per la costruzione d'un mondo migliore. Forse è anche questo il senso di questo lavoro come, del resto, si può cogliere dalla lettera sul 25 aprile, una missiva destinata ai nipoti, ma indirizzata a tutti, a tutti i suoi lettori e a tutti gli uomini, perché apprezzino i valori della libertà e della democrazia e non si stanchino di impegnarsi per difenderli e per sostenerli e per farne partecipi i giovani: “(...), la festa – egli scrive - del 25 aprile 1945, carissimi nipoti, ricorda la Liberazione da quelle dittature, che se non fossero state sconfitte anche dalla Resistenza del popolo, avrebbero compromesso anche il vostro futuro, un futuro a cui tutti i nonni come me hanno tenuto e tengono più che ad ogni altra cosa”(Cfr. Lettera ai nostri nipoti sul 25 aprile, p. 196). Ed è un futuro di pace, di libertà e di amore fra i popoli quello cui egli guarda con attenzione e con speranza. Proprio in nome e nel senso di un futuro, che si profili concretamente come una nuova era per un'umanità finalmente libera in una società democratica e di eguali e giusti, le pagine di questo suo lavoro manifestano anche la natura di fondo d'un ritorno. Questo libro, in fondo, è un ritorno ad un passato di impegno per i suoi ideali, alle lotte d'un tempo, a tante attese deluse e, scrivendone, egli sembra riviverne ancora lo spirito e le vicende. Emblematiche, in merito, le parole che egli fa pronunciare ad un vecchio docente universitario, presso la bottega di mastro Nicola: “Politicamente, pur considerandomi un uomo libero da ideologie accecanti, sono stato orientato sempre a sinistra (…) quella sinistra che condanna lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, che rifiuta la guerra come strumento di sopraffazione e di dominio del più forte. Sì, a quella sinistra che rispetta la dignità dell'uomo come soggetto libero tra liberi, uguale tra uguali. In nome di questa visione del mondo, pure da ateo quale mi considero, credo che uno dei primi movimenti che ha portato avanti questi ideali sia stato senz'altro il Cristianesimo delle origini” (Cfr. Racconto alla luna, p. 64).
E in queste note pare riapparire il senso del mondo lontano e della vita stessa degli Apostoli, ma sembra affacciarsi anche l'essenza d'un pensiero filosofico profondamente meditato. Penso, ad esempio, a Ludwig Feuerbach che, ritenendo l'uomo un corpo cosciente, sottolinea che solo il Cristianesimo l'ha visto nella sua “integrità e concretezza”. Ma il lavoro in oggetto, per Vincenzo Rizzuto, è anche un ritorno alla sua terra d'origine, al suo mondo, alle antiche vicende e alle lotte che le hanno accompagnate, è un ritorno alle proprie radici e alle persone care che, attraverso alcune figure, rivivono “in nuce” in queste pagine. E' il ritorno al paese in cui egli ha vissuto gli anni dei propri sogni ed ha visto germinare, formarsi e crescere i propri grandi ideali e la speranza d'un mondo migliore. E' il ritorno al tempo in cui si è nutrito di nobili idee volte alla nascita d'una società veramente democratica e alla costruzione d'una fraterna e pacifica convivenza fra i popoli, nel segno d'una nuova umanità. Ed è in queste idee che vibra ancora intatto, in queste pagine, il suo profondo senso di uomo di scuola impegnato ad educare e a formare coscienze libere e forti, capaci di affrontare il difficile cammino verso una società democratica e di operare per rendere concreta e reale la dimensione della democrazia. E' nelle idee, di cui si nutre questo libro, che ritorna in tutto il proprio vigore l'uomo di filosofia aperto a cogliere, in essa, le condizioni di fondo per realizzare un giusto rapporto fra “sapere tecnico- scientifico” e “chiarezza”, fra scienza e valori. Sono l'uomo di scuola ed il filosofo che sollecitano a lottare, nel nome del sapere, contro il male che opprime il mondo, contro i tiranni della terra, contro “i signori della guerra” e i seminatori di discordia e di morte. “Sono pure io ucraina, – fa dire ad un personaggio femminile di uno dei suoi racconti – e mia madre era russa, figlia di mio nonno che morì a Stalingrado nella grande battaglia contro i tedeschi nazisti; (…). Un mio figlio, mentre noi parliamo, sta combattendo a Kiev contro i cosiddetti fratelli russi (…). Siano maledetti i signori della guerra, che ci mandano al macello mentre essi se ne stanno al caldo e al sicuro nelle loro lussuose dacie con tutti i loro parenti” (Cfr. Vite in fuga, p. 107). E' l'invettiva dell'intellettuale pacifista che, pur sentendosi tradito nelle proprie lotte e nel proprio impegno, vuole spendersi ancora e sempre a favore della giustizia sociale e della pace.
Il ritorno al paese e alla propria terra, per Vincenzo Rizzuto, è anche questo, è anche il triste confronto con gli ideali di ieri e di oggi, traditi e negati da un mondo che ha dimenticato i propri martiri per la libertà e per la pace e che vive nell'oblio delle proprie antiche ragioni di umanità, di giustizia e di solidarietà. “Fatemi urlare – egli canta – come un lupo / il mio dolore al vento. / Sono stanco di tutto, / maledetti signori della guerra! / Anche di notte popolate / i miei sogni di incubi maligni, / miserabili Caini, / che da millenni / insanguinate la terra senza posa. / (…) / Sono stanco di tutto, / pure dei 'compagni non compagni', / (…) / Voglio ululare, / ululare al vento / come un lupo mannaro / delle mie montagne” (Cfr. L'urlo, p. 117). Anche questo gli fa gridare il ritorno alla sua terra, il ritorno a quelle sue “montagne”, alla cui ombra da giovane si è nutrito dei suoi sogni e delle sue speranze d'un mondo migliore. Ma il ritorno alla propria terra è anche memoria di luoghi e di persone, di botteghe e di “mastri” d'ascia e di pennello, botteghe che, negli anni della sua gioventù, erano anche dei piccoli salotti letterari e delle calde scuole di pensiero e di formazione. Nel suo “mastro” Nicola, in fondo, si profilano anche l'antica figura paterna, cui egli ritorna con tanto affetto, e quelle di tanti altri suoi maestri, così come nell'immagine di quella bottega “cenacolo”, lontana ma ancora viva, ritornano tante altre botteghe “cenacolo” del suo passato.
E' questo il libro di Vincenzo Rizzuto, un libro di sentimento e di pensiero; sono questi i suoi “raconti” e le sue “riflessioni”, proiezioni dei suoi stati d'animo e delle sue emozioni, delle sue idee e del suo impegno, delle sue lotte e dei suoi ideali, che tutti insieme prendono corpo nelle vicende e nelle figure dei suoi racconti e nelle considerazioni dei suoi scritti. E sono “racconti e riflessioni alla luna” non solo perché si svolgono fra la dimensione dello spirito, in cui si radicano e da cui provengono, e la realtà della terra cui sono rivolti, ma forse anche perché egli sente un po' lontana la dimensione di quelli che, tanto più degli altri, dovrebbero fare tesoro del suo messaggio.