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Fermiamoci!

Foto © Acri In Rete
Piero Cirino
Da settimane assistiamo, inerti e forse non inermi, a un feroce scambio di accuse incrociate tra politici e politici e giornalisti.
Negli ultimi giorni, con i comunicati del sindaco Nicola Tenuta, del Pd e dell'Udc questo clima al calor bianco ha toccato la sua fase parossistica.
Questi tre interventi rappresentano un ricettacolo che raccoglie tutto ciò che occorre evitare per mantenere il confronto a un livello di civiltà accettabile. In un crescendo di contumelie che poco hanno a che vedere con gli interessi collettivi, si è abbondantemente travalicato il perimetro della legittima critica politica per fare libero ingresso in contesto fatto di magagne personali, vere o presunte.
Ci si rinfaccia di tutto ed è una gara a chi la spara più grossa. Il paradosso è che lo si fa con rispettivo autocompiacimento, per “avergli fatto capire con chi ha a che fare”.
Non si spiega all’avversario di turno che ha torto, argomentandone le ragioni, ma gli si dice che è un mascalzone, con contorno di coloriti epiteti.
Nelle sedi ufficiali ci si riempie la bocca di sani principi e brillanti propositi sulla necessità di innalzare il livello del confronto, mantenerlo tale da far dire che la politica è esemplare; sui giornali, sui manifesti e su siti e social si dà pubblica manifestazione di una politica che mostra la sua natura più meschina ed effimera. Con prevedibile e, per certi versi, inevitabile strascico in sedi giudiziarie.
A nessuno sfugge la delicatezza di uno dei momenti più bui della storia acrese.
La lenta, ma inesorabile emorragia di concittadini che ingrossa le file della consistente tradizione di migranti è la cartina di tornasole di una città che nel futuro vede a rischio la sua stessa esistenza. Eppure si preferisce accapigliarsi su chi ha affidato a questo o quell'avvocato questa o quella causa, piuttosto che sul nome dei tecnici d'area cui affidare incarichi lautamente retribuiti.
Si potrà anche criticarla, ma questa terra non merita un siffatto spettacolo pietoso.
Non mi sottraggo anche alle dirette responsabilità della mia categoria e sono certo di solleticare la pruderie di più di un collega se dico che anche i giornalisti, me per primo, hanno il dovere di indulgere meno a manifestazioni di pubblica bravura e di dar vita a un impegno maggiore per portare un contributo autentico affinché questo stillicidio di sciocchezze sempre più grossolane abbia fine.
Che i politici si rivolgano altrove, ma assumiamoci l'impegno a non dare loro più spazio sui nostri giornali in presenza di comunicati vuoti di contenuti, ma pieni di insulti.
Il giornalista è un cittadino che ha obblighi professionali, ma anche civici.

PUBBLICATO 27/02/2015





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