OPINIONE Letto 4168  |    Stampa articolo

Una lettera inedita di Vincenzo Padula

Foto © Acri In Rete
Vincenzo Rizzuto
Il nove giugno 1849, a distanza di circa nove mesi dal barbaro assassinio del fratello Giacomo, avvenuto ad Acri ad opera di sgherri assoldati dai potenti del tempo, Vincenzo Padula scrive al Regio Procuratore della Gran Corte Criminale di Cosenza una toccante lettera, quasi una supplica affinché si faccia giustizia e si colpiscano i veri colpevoli, i mandanti del delitto.
Nella lettera il Padula, senza mezzi termini e con grande coraggio, com`era suo abituale costume, si rivolge al Procuratore accusando non solo il giudice di Acri, signor Parise, di debolezza e viltà e di avere travisato i fatti per minacce e corruzione, ma giunge a fare anche i nomi dei mandanti nelle persone delle famiglie Baffi e Salvidio, al tempo maggiorenti del paese, che erano stati duramente criticati dal poeta nei suoi coraggiosi scritti per essersi impadroniti, insieme ad altre potenti famiglie, di vaste estensioni di terreni demaniali senza che le autorità competenti fossero intervenute.
La lettera, come si vede, e’ un disperato tentativo del poeta, destinato a cadere nel vuoto, di avere giustizia, di vedere portati alla sbarra non solo i miserabili esecutori del misfatto, ma soprattutto i mandanti, coloro che addirittura nella medesima notte del giorno dell`assassinio ubriacarono la vile masnada di sempre e la mandarono a cantare ad alta voce volgari filastrocche sotto le finestre della povera famiglia Padula che ancora piangeva e si disperava sul feretro dello sfortunato figlio assassinato.
In quella circostanza nessuno venne in aiuto di quella sventurata famiglia; erano i soliti tempi in cui il potente di turno imponeva il silenzio e l`omertà; e per questo mi domando se abbiamo capito, e mi rivolgo soprattutto ai giovani, che sono proprio le povere vittime come quelle del giovane avvocato Padula a donarci quel poco di civiltà e di libertà di cui oggi possiamo godere; o se si pensa invece che tutto sia gratuito e che ognuno possa starsene alla finestra a guardare asetticamente ciò che i pochi potenti di turno apparecchiano per il resto del mondo!
La lettera alla Gran Corte criminale, sotto trascritta, è contenuta nel vol. 2° processi, n° 6563, 1^ parte, pag. 198, dell’Archivio di Stato di Cosenza, dove esisteva anche un primo volume, riguardante il medesimo processo, volume oggi purtroppo scomparso. Per questo ci permettiamo di invitare la Fondazione “V. Padula” di Acri ad acquisire, eventualmente, dal medesimo Archivio ciò che ancora rimane di questi documenti così importanti per meglio conservarne la memoria alle future generazioni.

Al Sig. Procuratore della G. C. Criminale di Cosenza-
Signore: Il Giudice di Acri Sig. Parise Le ha già rimesso il processo intorno l’omicidio avvenuto in persona di D. Giacomo Padula. Compilato sotto l’influenza delle minacce e della corruzione; quel processo ha cercato , per quanto mi si assicura, a far sparire gli indizi più rilevanti e le circostanze più capitali, per far vedere l’omicidio effetto di rissa; e non già di premeditazione; effetto di difesa; e non già di mandato.
E’ dunque nell’interesse della giustizia e del pubblico esempio ordinare una nuova istruzione; ed è nel dovere d’un fratello , cui si è spento un Essere caro, che ha con lui i principi della vita e le virtù sul seno della medesima Donna; - il reclamarla: Ed io la reclamo, o Signore.
Basti ai Signori Baffi e Salvidio l’avere ottenuto dalla debolezza e dalla viltà d’un Giudice di Circondario che nessun mandato di arresto fosse emesso finora contro i loro sgherri e guardiani, che ebber parte nell’omicidio e tennero spalla all’omicida Pietro Curcio.
-Ma se la giustizia non è un vano nome qui in terra, - se la voce degli oppressi trova un orecchio che l’ascolti, - se il sangue versato d’un innocente manda un grido, che odesi financo in Cielo; - il Baffi ed il Salvidio non avranno no il vanto di “dire:” Abbiamo elusa la Legge”!-
Una nuova istruzione, o Signore, saprà ravvisarla sotto il rosso mantello dell’omicidio; e si vedrà che Pietro Curcio era un pugnale senza pensiero maneggiato e diretto dal Salvidio e dal Baffi.
Signore: queste due famiglie hanno estese influenze, epperò io dimando che l’istruzione novella venga commessa o al Giudice Istruttore della Provincia, o ad un Giudice Circondariale di fuori Distretto.
E’ con fiducia illimitata che io rimetto la mia vendetta nelle mani della legge, e nelle vostre,o Signore, ; - ed è pure con stima illimitata che mi dico Di Voi umilissimo servitore

Vincenzo Padula.
Rossano 3 maggio 1849


PUBBLICATO 14/11/2014





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