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Chiusura Ostetricia, è allarme.

Piero Cirino
Foto © Acri In Rete
La notizia dell'imminente chiusura del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell'ospedale civile “Beato Angelo” è piombata in città come un macigno. Il Piano di rientro del debito sanitario, predisposto dal presidente Giuseppe Scopelliti, che è anche commissario alla Sanità, aveva inizialmente previsto la chiusura per il 31 marzo 2012, salvo poi apprendere, nei giorni scorsi, che avverrà solo tra qualche settimana, cioè entro il prossimo 10 dicembre. Le nuove indicazioni sono chiare: Acri e San Giovanni in Fiore, solo per citare alcuni casi, dovranno rivolgersi altrove per partorire.
E' vero, c'è un'indicazione nazionale, in base alla quale sono da chiudere i centri in cui non si raggiungono i 500 parti annui, ma appare quantomeno capzioso il ragionamento per cui Acri debba essere considerato ospedale di montagna per tutti i reparti ospedalieri tranne che per Ostetricia e Ginecologia. Se ha uno status straordinario rispetto ai parametri convenzionali stabiliti, ciò deve valere per l'intero sistema di prestazioni sanitarie erogate.
Al di là del merito, si è comunque registrata sulla questione, anche nel caso in cui la chiusura fosse rimasta per il 2012, un'inquietante ritardo di reazione della comunità, in tutte le sue articolazioni. L'amministrazione comunale, soprattutto il sindaco Gino Trematerra, sulla vicenda ha mostrato una preoccupante afonia. Avrebbe potuto, tanto per dirne una, cercare di dar vita a un'azione di coinvolgimento dei centri vicini, al fine di verificare la possibilità di arrivare ai 500 parti all'anno. Ora ce ne sono circa la metà. Se il sindaco non ha parlato, i partiti di opposizione certamente non si sono sgolati. Insomma, dal mondo politico neanche un accenno. Almeno fino a ieri.
Al momento, infatti, l'unica iniziativa ufficiale di cui si ha notizia è la richiesta delle opposizioni consiliari di un consiglio comunale aperto, a cui invitare anche il presidente Giuseppe Scopelliti. Per il resto, niente.
Eppure Acri ha una lunga tradizione fatta di rivendicazioni, anche con proteste eclatanti, sulla tutela di diritti fondamentali della persona e della comunità. Il silenzio assordante di questa vicenda deve far riflettere. Magari alla fine tutto rimarrà così come programmato, ma non si può chiudere un reparto ospedaliero nella pressoché totale indifferenza della comunità – utente. Gli argomenti per battersi non mancano, occorre solo conferirgli forza e autorevolezza.

PUBBLICATO 23/11/2010

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