RELIGIONE Letto 2846  |    Stampa articolo

la ricchezza iniqua che uccide i poveri.

sac. Sergio Groccia
Foto © Acri In Rete
La questione più assillante eticamente per ogni donna e uomo di buona volontà è l'ingiustizia strutturale di questo mondo che uccide un bambino/a ogni cinque secondi: un'ecatombe ogni giorno, un genocidio ogni anno. Questa drammatica constatazione diventa la verifica ineludibile ad ogni cultura, etica, politica, tecnologia, fede religiosa. Che senso infatti possono assumere se non impegnano la loro diversa responsabilità per contribuire alla progessiva, ma rapida soluzione di questa tragedia?
Può subentrare pericolosamente un senso di impotenza, dato lo scarto impressionante fra ideali di giustizia e loro attuazioni, fra progetti, impegno e costatazione del permanere, anche del peggiorare della situazione, dati alla mano: 300 milioni di poveri in più, non in meno.
Si nominano la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale per segnalarli nella lista dei responsabili dell'ingiustizia, non certo per indicarli come protagonisti dei cambiamenti strutturali a favore della giustizia. Organismi internazionali come la FAO ed altri inquietano a cominciare dal denaro che divorano per mantenere il loro apparato o per grandi convegni internazionali in cui si parla dei poveri. Anche una certa cooperazione internazionale è sul banco degli accusati per complicità e corruzione. Dambisa Moyo, economista africana dello Zambia, sostiene, come gli aiuti occidentali stanno devastando il mondo dei poveri, documentando il fenomeno e riflettendo nel libro: "La carità che uccide" (Rizzoli editore, 2010). "La colpa è prorpio degli aiuti che, nella migliore delle ipotesi, costringono l'Africa ad una perenne adolescenza economica, rendendola dipendente come una droga. E nella peggiore, contribuiscono a diffondere le pestilenze della corruzione e del peculato, grazie alle massice iniezioni di credito nelle vene dei paesi prive di governi solidi e trasparenti e di un ceto medio capace di potersi inventare in chiave imprenditoriale".
E c'è la costatazione di persone, famiglie, gruppi sempre più ricchi a scapito dei sempre più poveri. Anche nei paesi impoveriti del mondo sono evidenti in modo terribilmente scandaloso queste inaccettabili differenze di cui il nostro mondo occidentale è per la gran parte esemplare: consumi e sprechi vergognosi ed eticamente inaccettabili. Anche in questo periodo estivo certi segnali sono disgustosi. Ci si chiede dove sono la semplicità e la sobrietà del vivere, la festa e la serenità come condivisione. Il Vangelo (Luca 12, 13-21) ripropone in modo netto e inequivocabile il rapporto con il danaro e i beni nella prospettiva indiscutibile della giustizia e della condivisione. Gesù sta parlando ai discepli e un tale gli chiede di intervenire in una disputa familiare invitando suo fratello a "spartire con lui l'eredità", così come la legge prevede.
Gesù non entra nel merito; lui non è un giudice, è il profeta di una nuova umanità in cui i poveri e gli oppressi diventano protagonisti della loro liberazione, in cui la giustizia e l'uguaglianza si affermano. Coglie quindi l'occasione per un insegnamento profondo e permanente, che inizia dalla considerazione che: "la vita di un uomo non dipende dai suoi beni, anche se è molto ricco", con l'esortazione: "a tenersi lontani dal desiderio delle ricchezze", cioè da quella bramosia e ossessione dell'avere, dell'accumulare, del possedere, del mostrare. Gesù racconta poi la parabola di un ricco proprietario terriero che si interroga dove collocare i nuovi raccolti che superano ogni aspettativa e gli pongono un problema di abbondanza inatteso. Decide di costruire nuovi magazzini e ripropone per sé un modo di vivere ancora più egoista e privilegiato: "Potrò finalmente dire a me stesso - Bene! Ora hai fatto molte provviste per molti anni. Riposati, mangia, bevi e divertiti".
E' un uomo egoista, crudele, cinico, disumano. Dove sono per lui gli altri, a cominciare dai braccianti che lavorano nei suoi campi? Non esistono! Qual è la loro condizione, quella delle loro famiglie, dei loro bambini? Non gliene importa nulla! Il suo comportamento trova troppe conferme nella nostra società e nel mondo. Il Vangelo riporta l'intervento di Dio che gli annuncia la morte in quella notte e gli chiede a chi andranno tutte le sue ricchezze accumulate, dato che lui non potrà usufruirne. E di seguito la riflessione sapienziale di Gesù: "Questa è la situazione di quelli che accumulano ricchezze solo per se stessi e non si preoccupano di arricchire davanti a Dio". Nell'umanità che Dio vuole non ci possono essere ricchi che vivono sfruttando i poveri; né potenti che opprimono i deboli; non si può infatti servire Dio e il denaro. All'idolatria della ricchezza, ogni giorno si immolano migliaia di vittime: persone e altri esseri viventi. L'economia di morte che domina il mondo deve essere sostituita da un'economia di vita: è indispensabile un'ONU della giustizia che progetti, verifichi, denunci; una cooperazione internazionale che coinvolga in modo attivo e partecipe le comunità; un'economia di giustizia per tutti; una sobrietà di vita e di consumi diffusa; una Chiesa che esprima segni chiari e credibili di giustizia, di sobrietà, di condivisione.

PUBBLICATO 08/08/2010

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