la ricchezza iniqua che uccide i poveri.
sac. Sergio Groccia
Può subentrare pericolosamente un senso di impotenza, dato lo scarto impressionante fra ideali di giustizia e loro attuazioni, fra progetti, impegno e costatazione del permanere, anche del peggiorare della situazione, dati alla mano: 300 milioni di poveri in più, non in meno. Si nominano la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale per segnalarli nella lista dei responsabili dell'ingiustizia, non certo per indicarli come protagonisti dei cambiamenti strutturali a favore della giustizia. Organismi internazionali come la FAO ed altri inquietano a cominciare dal denaro che divorano per mantenere il loro apparato o per grandi convegni internazionali in cui si parla dei poveri. Anche una certa cooperazione internazionale è sul banco degli accusati per complicità e corruzione. Dambisa Moyo, economista africana dello Zambia, sostiene, come gli aiuti occidentali stanno devastando il mondo dei poveri, documentando il fenomeno e riflettendo nel libro: "La carità che uccide" (Rizzoli editore, 2010). "La colpa è prorpio degli aiuti che, nella migliore delle ipotesi, costringono l'Africa ad una perenne adolescenza economica, rendendola dipendente come una droga. E nella peggiore, contribuiscono a diffondere le pestilenze della corruzione e del peculato, grazie alle massice iniezioni di credito nelle vene dei paesi prive di governi solidi e trasparenti e di un ceto medio capace di potersi inventare in chiave imprenditoriale". E c'è la costatazione di persone, famiglie, gruppi sempre più ricchi a scapito dei sempre più poveri. Anche nei paesi impoveriti del mondo sono evidenti in modo terribilmente scandaloso queste inaccettabili differenze di cui il nostro mondo occidentale è per la gran parte esemplare: consumi e sprechi vergognosi ed eticamente inaccettabili. Anche in questo periodo estivo certi segnali sono disgustosi. Ci si chiede dove sono la semplicità e la sobrietà del vivere, la festa e la serenità come condivisione. Il Vangelo (Luca 12, 13-21) ripropone in modo netto e inequivocabile il rapporto con il danaro e i beni nella prospettiva indiscutibile della giustizia e della condivisione. Gesù sta parlando ai discepli e un tale gli chiede di intervenire in una disputa familiare invitando suo fratello a "spartire con lui l'eredità", così come la legge prevede. Gesù non entra nel merito; lui non è un giudice, è il profeta di una nuova umanità in cui i poveri e gli oppressi diventano protagonisti della loro liberazione, in cui la giustizia e l'uguaglianza si affermano. Coglie quindi l'occasione per un insegnamento profondo e permanente, che inizia dalla considerazione che: "la vita di un uomo non dipende dai suoi beni, anche se è molto ricco", con l'esortazione: "a tenersi lontani dal desiderio delle ricchezze", cioè da quella bramosia e ossessione dell'avere, dell'accumulare, del possedere, del mostrare. Gesù racconta poi la parabola di un ricco proprietario terriero che si interroga dove collocare i nuovi raccolti che superano ogni aspettativa e gli pongono un problema di abbondanza inatteso. Decide di costruire nuovi magazzini e ripropone per sé un modo di vivere ancora più egoista e privilegiato: "Potrò finalmente dire a me stesso - Bene! Ora hai fatto molte provviste per molti anni. Riposati, mangia, bevi e divertiti". E' un uomo egoista, crudele, cinico, disumano. Dove sono per lui gli altri, a cominciare dai braccianti che lavorano nei suoi campi? Non esistono! Qual è la loro condizione, quella delle loro famiglie, dei loro bambini? Non gliene importa nulla! Il suo comportamento trova troppe conferme nella nostra società e nel mondo. Il Vangelo riporta l'intervento di Dio che gli annuncia la morte in quella notte e gli chiede a chi andranno tutte le sue ricchezze accumulate, dato che lui non potrà usufruirne. E di seguito la riflessione sapienziale di Gesù: "Questa è la situazione di quelli che accumulano ricchezze solo per se stessi e non si preoccupano di arricchire davanti a Dio". Nell'umanità che Dio vuole non ci possono essere ricchi che vivono sfruttando i poveri; né potenti che opprimono i deboli; non si può infatti servire Dio e il denaro. All'idolatria della ricchezza, ogni giorno si immolano migliaia di vittime: persone e altri esseri viventi. L'economia di morte che domina il mondo deve essere sostituita da un'economia di vita: è indispensabile un'ONU della giustizia che progetti, verifichi, denunci; una cooperazione internazionale che coinvolga in modo attivo e partecipe le comunità; un'economia di giustizia per tutti; una sobrietà di vita e di consumi diffusa; una Chiesa che esprima segni chiari e credibili di giustizia, di sobrietà, di condivisione. |
PUBBLICATO 08/08/2010
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