Inflitti 18 anni a Pasquale Gaccione Concorse nell’uccisione di Greco.
Arcangelo Badolati
«Io ho provato a separarli. Litigavano già da un pò. Poi De Maddis versò la benzina addosso a Greco, che era seduto sui gradini della scalinata. Lo spinse per terra tenendolo per il collo e gli diede fuoco. Cercai di sollevarlo proprio mentre Camillo scatenò l’inferno con un accendino. Provai, inutilmente, a spegnere quelle fiamme ma mi bruciai le mani. Urlai: cosa hai fatto? E scappai a casa perchè il dolore alle mani era insopportabile. Non so perchè sono tornato a casa. In quel momento, non sapevo proprio cosa fare. Non mi era mai capitato niente di simile». Fu proprio Gaccione, durante l’udienza celebrata a giugno, a raccontare com’erano andati i fatti. Incalzato dalle domande del pm Antonio Tridico, Gaccione aveva ammesso che quella lite tra De Maddis e Greco, alla quale lui sarebbe stato presente solo come amico della vittima, sarebbe stata innescata da un debito. Un debito di spaccio. È la trama nera che era già emersa dalle intercettazioni ambientali. La cimice nascosta nel furgone cellulare che trasportava l’imputato e Camillo De Maddis dal carcere al palazzo di giustizia per l’interrogatorio in Procura registrò le ansie di quei due ragazzi che parlavano di tante cose e pure di quella “cosa“. C’era la droga di mezzo, e forse, è stata quella ad inquinare i rapporti tra amici. Forse proprio un debito legato allo spaccio. Nessuno dei due però aveva mai parlato apertamente di storie di stupefacenti ai magistrati nella fase istruttoria. Solo Camillo De Maddis proprio deponendo come teste in Corte d’assise per questo processo fece riferimento agli stupefacenti, ammettendo d’aver spacciato “roba”, subito, però, precisando: «Non ad Acri». Una verità smentita da Gaccione: «Greco la comprava da lui». Nelle ore successive all’omicidio, durante il lungo faccia a faccia sostenuto con il pm Tridico, De Maddis si tormentò le mani, spaccandosi quasi le labbra ricostruendo le fasi della serata trascorsa in compagnia della vittima e dell’amico. Parlò con difficoltà, cercando nelle frequenti pause di ritrovare la lucidità perduta. «Ero ubriaco, avevamo litigato», ripetè più volte l’imputato sotto gli occhi attenti del suo legale e del magistrato inquirente. Il giovane riferì d’una solenne bevuta a base di vino, liquori e birra fatta prima di dare alle fiamme Greco. Una bevuta culminata in insulti e provocazioni reciproche e, persino, in un fendente sferrato con un pezzo di vetro alla guancia destra del venticinquenne Fabrizio Greco. Ieri l’epilogo della storia, con la condanna di Gaccione, difeso dal prof. avv. Nunzio Raimondi. Il pm Tridico aveva chiesto trent’anni, la Corte gliene ha inflitti diciotto. Fonte: "Gazzetta del Sud" del 29-07-2010. |
PUBBLICATO 04/08/2010
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