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La scuola delle occasioni non perdute...

Fabio Vita
Foto © Acri In Rete
Lo scorso 24 gennaio si è svolta ad Acri, presso Palazzo Sanseverino-Falcone la VI Edizione del "Premio Letterario Nazionale G. A. Arena". È stata una manifestazione riuscitissima, lunga, ma molto interessante e formativa in ogni sua parte: in quella che ha visto sul palco, in un incontro di studio sul tema "Legalità, Democrazia, Libertà", personalità come l'Antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani, il Senatore Luigi De Sena, il Procuratore Aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, il Giudice del Tribunale di Napoli Nicola Quadrano, il Presidente del Centro "Giuseppe Impastato" di Palermo Umberto Santino e Mimmo Nasone dell'Associazione "Libera" di Reggio Calabria; e in quella dedicata alla premiazione della scrittrice albanese Anilda Ibraimi, del poeta Michele Sovente, della giornalista AnnaRosa Macrì e dello straordinario Sergio Zavoli.
Quello che mi ha lasciato perplesso è stato il constatare la scarsa presenza di studenti: tolti alcuni ragazzi del Liceo "V. Iulia" e alcuni miei compagni dell'indirizzo geometri dell'I. T. C. G. T. "G. Falcone", tra il pubblico non ce ne erano altri. Eppure l'occasione era davvero importante e soprattutto altamente formativa: il tema della legalità, ad esempio, è uno dei più dibattuti a scuola e fuori. Ed inoltre, il Premio coinvolgeva in prima persona gli studenti delle scuole superiori, perché metteva in palio una o più borse di studio di 1.500 euro: si richiedeva di svolgere un elaborato sull'attività poetica di Giuseppe Antonio Arena.
Per me è stata un'occasione di ulteriore crescita umana e culturale. Leggere la raccolta "Ombre del giorno", meditarne i contenuti, coglierne il messaggio è stato come scoprire un tesoro inestimabile fatto di valori autentici, di ideali universali, di salutari stimoli per l'intelligenza e per il cuore.
Ecco uno stralcio dell'elaborato che ho scritto a proposito della poesia di Giuseppe Antonio Arena con il quale mi sono aggiudicato una delle borse di studio in palio.

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È un caleidoscopio di sensazioni, un vortice avvolgente di stupore e lucida riflessione la poesia di Giuseppe Antonio Arena; la sua visione della realtà, che a tratti sembra deformata in una tendenza surrealistica, dà il senso più vero ed autentico dei tempi moderni: in "Per i miei sogni" la minaccia tentacolare e snaturante della grande metropoli è ancora più sconcertante quando un sogno/rivelazione la ridimensiona e ne stigmatizza il carattere disumano, facendola diventare, dopo una serie serrata di immagini contrastanti, "un acino d'uva, senza succo e sapore". New York, la Grande Mela, che di naturale però non ha nulla, non a caso è paragonata ad un piccolo acino d'uva, addirittura senza succo né sapore! Il giudizio non poteva essere più eloquente e significativo. Ma Giuseppe Antonio Arena non è tenero neanche con la sua terra, la Calabria, di cui coglie tutti i mali e tutte le più laceranti contraddizioni, dall'emigrazione alla miseria, dalla delinquenza ad un inaccettabile senso di rassegnazione dei suoi abitanti.
Deriverà forse da qui il motivo del viaggio che percorre spesso i versi della raccolta "Ombre del giorno"? L'inquietudine, l'ansia di conoscere e scoprire, di poter dare un significato anche alle "ombre", di poterle vedere nitide, svelate, in pieno "giorno", il desiderio di vedere finalmente risolti i misteri dell'esistenza terrena, sono qui, nell'espandersi della visuale, nell'ampliarsi degli orizzonti, sempre più lontani e sempre più insondabili. È forse per questo motivo che poi il poeta torna nella dimensione raccolta e densa di sentimenti e affetti del suo paese natio, che continua a custodire come un fragile fiore di cristallo i ricordi dell'adolescenza, il calore confortante dei sentimenti più cari, come quello materno evocato e materializzato nell'allucinato realismo di un sogno?
Nulla di idilliaco, certo, se "al dolore trasmesso dagli avi / non esiste rimedio", se non la morte ("Desiderio di morte"). O forse l'amore, solo l'amore per la donna, una donna salvifica, quasi un angelo di carne e passione, potrebbe rappresentare l'antidoto al "male di vivere"? Sembrerebbe proprio di sì, se si legge la poesia intitolata "A Barbara", in cui il poeta scrive: "Tu sei la primavera / che non conosce mai autunno…", e ancora: "Vestale della Vita e dell'Amore, / tu custodisci la Purezza del mondo"; oppure in "Amore ad Oriente": "Io bacerò la fronte tua divina / ed esploderà una nuova luce universale". E anzi è proprio l'amore/passione per la donna a contendere, almeno momentaneamente, la vittoria alla morte, come si legge in "Il sapore del tuo corpo": "… / e bramare il tuo corpo / strappa la vita alla morte".
La tensione è verso l'Assoluto (non a caso Vita, Amore, Purezza sono scritte in "A Barbara" con le iniziali maiuscole), nei sentimenti non si cercano vie di mezzo, le sensazioni non hanno mezze voci, tutto è vissuto, coscientemente tesoreggiato e poi consumato con energica passione. Resta delle esperienze vissute un tenue, sparente senso di nostalgia, che si intuisce quasi solo allo svanire di un sogno da cui erano emersi frammenti di passato.
Lo sguardo disilluso e lucido del Poeta concentrandosi contemporaneamente su due paesaggi, quello esterno e complesso del mondo reale e quello segreto, non meno problematico, dell'interiorità, coglie quanto di dissonante, assurdo e stridente vi sia. Non è casuale l'ossimoro giorno - ombra del titolo della omonima silloge, che torna alla fine nella breve lirica "Ombre del giorno" in cui Arena si rivolge proprio alla sua anima affinché diradi le ombre del giorno "quando infuria la tempesta / o si avvicina il tramonto colla notte".
L'attenta, quasi spietata osservazione di sé e del mondo fa di Giuseppe Antonio Arena un consapevole testimone del suo tempo ed anche un cantore dei sentimenti e delle speranze degli uomini di tutti i tempi e di tutte le latitudini.
Se è vero che "I poeti muoiono prima del tempo / come gl'indiani di tutte le terre", se è vero che "Muoiono senza conforto, / esalando come ultimo respiro / un verso che si perde / nel grande pianeta della vita", è altrettanto vero che il respiro poetico di Giuseppe Antonio Arena continua ad animare i versi che ci ha lasciato e a trasmetterci la sua arte straordinaria, fatta di impegno e coscienza sociale, di amore per la cultura, di grande rispetto per il prossimo, di dolente umanità e di speranza per il futuro, quando "Gli uomini, belve ammansite, / strapperanno in silenzio / la benda insanguinata alla storia".


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Sì, gli anni trascorsi nella scuola superiore mi hanno trasmesso proprio questo messaggio, lo stesso che emerge dai versi del poeta acrese Arena: la necessità di riflettere criticamente sul reale e di cercare risposte e soluzioni nonostante le difficoltà e le sconfitte; la necessità di uscire allo scoperto e di trasmettere la propria interiorità perché è proprio il riconoscerci negli stessi limiti, negli stessi ideali, nelle stesse aspirazioni a renderci fratelli; la necessità di avere fiducia nonostante tutto nel prossimo e di guardare con fiducia al futuro.
Per questo ringrazio tutti coloro che mi hanno guidato in questo cammino di formazione perché coinvolgendo me e i miei compagni nelle più varie attività educative e didattiche, hanno dato vita ad una scuola delle occasioni non perdute.



PUBBLICATO 02/02/2009

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