CULTURA Letto 5591

L'addio all'Ermeneuta Progressista, al Socrate del Cinema: Immenso Maestro


Foto © Acri In Rete



Ho amato i suoi film, appena ne ho compreso la fine intelligenza ed il suo essere un passo in avanti alla realtà ed alla stessa immaginazione o trasfigurazione di essa.
L'ho sempre considerato "l'ermeneuta progressista" cioè colui che sapeva interpretare e coglierla la realtà; grande immenso Ettore Scola, un intellettuale fine e snob, intelligente e grande Maestro del cinema italiano; elegante e fiero, con una luce interiore che riluceva sempre, anche nei suoi lavori più "discussi" e meno acclamati dalla critica, anche in certi momenti ingiustamente avara e dura.
In un paese lento e sornione che esalta i propri talenti un momento dopo che il resto del mondo gli ha tributato i più alti e dovuti onori, Ettore Scola è stata una delle gemme più preziose di questo paese.
Il carattere universale del suo cinema ha concesso di indagare le condizioni di possibilità e immaginazione, ossia le strutture della realtà che è riuscito a rappresentare rigenerando ogni volta la genesi nel suo pensiero complesso ed alto.
Scola col suo cinema ci ha intenzionalmente concesso di conoscere attraverso i suoi occhi, il significato dell'essenza della realtà, che mostra un senso scevro da preconcetti, che riflette sì la tradizione cinematografica italiana, ma mette a fuoco la comprensione della nuda realtà, declinata in ogni sua forma di Sapere che è ancor di più Conoscenza tanto più adeguata, quanto più netta; è la reciproca autonomia del contenuto e della forma.La sua credo sia stata un' attenta precomprensione del senso del reale, di ciò che si proponeva di conoscere o rappresentare, che non poteva contemplare alcuna separazione originaria, tra la realtà e la finzione, che indissolubilmente legate, insistono entro una dimensione unica: la dimensione delle Storie fatte vita e testimonianza.
Scola è stato un Maestro, un professionista intenso e profondo in rapporto con sé stesso e con il mondo che aveva intorno, capace cioè di comprendere, spiegare e chiarire le direzioni della coscienza, gli oggetti del comprendere, le scienze storico-sociali.
Il comprendere e capire nella sua più complessa circolarità, era forse il modo in cui la sua vita si è riferita al suo cinema, impegnandone intelletto, sentimento e verità. Ogni gesto era fissato nel suo contesto storico originario, in una operazione centrale e fondamentale, che si è estesa anche ai multimedia ed alle basi dei significati stessi.
Nel recente novembre dello scorso anno mi ha regalato l'emozione di due giornate straordinarie, trascorse insieme a ragionar di cinema, giovani, viaggi e frammenti di vita, un'esperienza unica ed irripetibile, è stato l'incontro con gli studenti delle scuole di Acri e Giovanna Taviani, durante il Premio nazionale "Vincenzo Padula" città di Acri; ed in quella occasione disse: "ai giovani che vogliono imparare a fare cinema consiglia di leggere grandi speranze di Dickens. C'è tutto: primi piani, piani sequenza, campi lunghi". "Il cinema è un lavoro duro ma si può, ridendo e scherzando, mandare qualche messaggetto, qualche cartolina postale con le proprie osservazioni sul mondo. Il cinema è come un faretto che illumina le cose della vita".
In quella medesima preziosa occasione la visione del documento film "Ridendo e scherzando" delle figlie Paola e Silvia, come della sua filmografia scelta, è stata tenera e commovente, malinconica, mi ha trasmesso melanconica tristezza forse perché mi è parsa come il suo addio al cinema e al suo pubblico, che invece nella solare mattinata dell'autunno meridionale, ha fissato l'incanto della bella immagine dei due coniugi che fumavano vicini l'uno accanto all'altro, godendo del tepore dei caldi raggi del sole acrese all'ingresso del maestoso palazzo dei principi Sanseverino che ci ospitava. C'era la luce giusta per lavorare di macchina e riprenderli, io fui invece mossa dalla curiosità di chiedere alla gentile consorte Gigliola quanto difficile fosse stato stare accanto al Maestro, per una vita intera, talvolta anche nel suo cono d'ombra riflesso sulla "sceneggiatrice". Ne ricevetti la sorprendente disarmante risposta che era stato "impegnativo ma non impossibile". 
Nel discorrere del documentario delle figlie, dissi ad entrambi che aveva restituito e fissato la complessità di regista, quella dell'artista e soprattutto quella del padre; ne ricavai uno sguardo compiaciuto e concorde di approvazione, che mi lusingò.
Piacevole coinvolgente e magica la loro compagnia, nel nostro incontro d'autunno, confessai sommessamente al Maestro la mia personale considerazione per lui: "sa c'è stato un tempo ed un momento della sua carriera in cui mi è apparso cinico e quasi scorbutico in quel suo modo di rapportarsi agli altri quasi come il cane che abbaia contro chi lo disturba". Il suo sorriso allora mi apparve lusinghiero e disponibile, forse per gli anni, fu soave e rassicurante come il suo invito ad approfondire il tema insieme facendo due passi al sole; si lasciò andare ad una inattesa ed imprevedibile risposta, quella che trasformammo in una "surreale" ed emozionante "conversazione filosofica" sulla sua filmografia, e sul valore del suo cinema, sulla sua vita e i suoi incontri i suoi attori e le comparse dei suoi film, una delle quali fu di mio marito che concorreva a pagarsi i suoi studi prendendo parte ai set ben retribuiti dei suoi preziosi cammei.
Ignoro se pensasse alla sua morte, che certo non immaginava imminente, ma le sue riflessioni sulla vecchiaia erano affilate e chirurgiche, spietate, lucide forse più che in gioventù. Ne rimasi rapita e incantata di meraviglia e stupore.
Ieri il Maestro se ne è andato, ci ha lasciati dopo aver percorso e attraversato più di cinquant'anni di cinema e storia italiana.
Il suo cinema, quello della commedia italiana, ha raccontato l'Italia e gli italiani, quelli che si riscattavano dal fascismo e cercavano di dimenticare la guerra per come potevano, talvolta anche con sarcasmo graffiante e umorismo gaudente, con un linguaggio profondo ma al tempo stesso lieve.
Lui e i suoi scarabocchi, del "Marc'Aurelio" come i suoi film da regista e sceneggiatore hanno tratteggiato il conflitto di tutti i "tipi" di italiani, gli intellettuali di sinistra che si davano convegno sulle "terrazze"; quello dei commercianti in competizione sleale, del radiocronista licenziato e confinato perché omosessuale; quelle della rappresentazione del femminile, della casalinga schiacciata dalla prepotenza del maschio materialista e fascista, o quello del genitore che aspetta e vive il Tempo; quello dei militanti comunisti in crisi di identità e di fedeltà.
In un mare di immagini, cinema, film, e parole, tipi e soggetti, indissolubilmente stretti come un tassello all'impegno civile, politico e sociale, trovò il suo spazio vitale in una Roma che aveva permeato a sé nel bello del suo vivere e del suo raffigurare e rappresentare in tutti gli istanti, sin da quando scendeva per strada o montava in macchina per girare la scena di un film.
Amava la vita, forse per questa ragione sapeva rappresentarla, fedele a sé stesso ed ai propri valori profondissimi; mi è apparso da lontano un gigante burbero ma buono; da vicino invece in quel fugace incontro, si è rivelato un Maestoso Colosso d'altri tempi, di quei tempi andati per i quali nutriva nostalgia, ma che amava raccontare e condividere con vivide rappresentazioni.
Si era sempre preso la "libertà di dire tutto" ma anche quella della franchezza dell'esprimersi, nel dire cioè, tutto quello che riteneva vero; la sua disponibilità sapeva trasformarla in una un'incontrollata e smodata propensione al parlare, comunicare, trasmettere, forse anche per questa ragione si concedeva ai giovani, lui più giovane di tutti.
Ci intrattenemmo in un incontro fatto di frammenti e sprazzi, tra gli impegni della manifestazione e gli appuntamenti, ebbi modo di riscoprire un grande canuto Saggio, dall'aria benevola e gentile, che per i suoi ridenti anni era ancora fervidissimo e sempre avanti, un Socrate balzato in questi infelici tempi, che lui ammetteva con candore di "non essere poi peggiori dei suoi". In questi anni avviliti ravvisava solo la perdita dell'entusiasmo e dell'interesse per il divertimento, forse perché conosceva il segreto arcano che la noia distrugge il cuore e le umane sane passioni civili, il senso di umanità.
La sua ricca rivincita di uomo autenticamente libero sin nelle viscere, lui l'ha avuta squarciando il velo dell'apparenza. L'immagine aggressiva e feroce dei giovanili ardori, aveva lasciato posto a quella più mansueta e tenera di un Socrate canuto, accarezzato sul viso da una folta chioma bianchissima e splendente; forse era proprio quella, l'arma segreta del fascino dei suoi anni e della sua intensa vita, che gli aveva concesso il beneficio di non rinunciare alla libertà, di prendere la parola come isegoria, cioè come esercizio politico del potere, ma anche quella di incarnare l'essenza della parresia profonda, di cui sapeva essere ancora alto interprete.
In modo diretto mi testimoniò che si poteva esercitare il potere in molteplici modi: dicendo la verità, pretendendo di ottenere giustizia; e confessando (ove ve ne fossero) le "colpe" gravitanti sulla coscienza. Per Scola essere stato Scola aveva voluto dire tutto questo: essere Uomo, Regista e Sceneggiatore in un identico momento, quello che istantaneamente gli aveva fatto fissare la sua eternità senza inganni e senza trucchi.



PUBBLICATO 21/01/2016  |  © Riproduzione Riservata

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