Forse la morte è un’attesa o forse una promessa non saprei dire. Certo però svuota le nostre vite, le impoverisce ed intristisce, ne limita ogni volta, tutte le volte, la pienezza.
Amo convincermi però che la morte non è mai veramente compiuta, fintanto che un ricordo o una memoria saranno in grado di far tornare alla mente immagini suoni o parole che provano sempre a rifarsi ancora vita, quella vita, tutte le volte, per illuminare o guidare i passi di chi resta, per rimodellare l’ordine pur doloroso e incomprensibile dell’assenza; nel gioco beffardo della stessa vita e nell’orribile rivincita della morte che strappa con l’insensatezza del suo accadere, per non mancare la pur dolorosa e sua lenta puntuale elaborazione.
Forse la morte non è che un processo, la parte di un grande lungo e sempre sconosciuto passaggio, che attraversa i giorni dolorosi nei quali si realizza la perdita, quei giorni tristi e cupi nei quali ci si ritrova sorpresi dal significato del senso profondo del nostro stesso vivere.
Per questo forse la morte non ci impone di vuotare la nostra vita ma paradossalmente ci invita a procedere a interpretarne il senso profondo che riveste, con l’idea di andare ad intercettare la pienezza o il vuoto di cui le esistenze sanno titolarsi.
Pasquale Montalto l’amico di sempre, il gigante buono non è più di questo mondo. Attoniti, Increduli, come incapaci di fermare il vento o di calmare il mare, di riparare l’irreparabile, di guarire l’insanabile e resuscitare dalla morte, basiti e sconsolati, abbiamo dolorosamente realizzato che il non per sempre fosse proprio allora per averne appreso la scioccante notizia.
Difficile, incredibile a tratti impossibile da accettare la sua dipartita, come può esserlo accettabilmente possibile che un fiume scavi l’arenaria.
Sproporzionatamente grande.
Perché Pasquale era di tutti, il suo era un personale modo di fare Scuola, insegnava della vita, dell’amicizia, della cura, della pazienza, col senso della dedizione ai progetti, al lavoro, alla fatica dell’impegno e anche alla misura del suo fiero donarsi.
Il dono di sé che sapeva offrire agli altri, alla famiglia, agli amici, agli alunni e ai colleghi, è stato un dono grandissimo, almeno quanto quello della sua ilare personalità.
Con la vita che scorre sempre troppo in fretta è andato via con passo felpato, lo stesso che lo vedeva sopraggiungere alle spalle e cingere chiunque gli fosse amico, sorridente di amichevoli ed espansivi abbracci d’affetto.
A discutere con lui si parlava di speranze, attese, sorrisi, e anche di riluttanze e insofferenze, era uno scorrere incessante, che credevamo dovesse essere inesauribile per non finire mai, il fluire di quel tempo per la vita.
Tanto che oggi ritrovasi in lacrime per lui è fin troppo facile.
Piangerti perché sei già ora l’assente ingombrante, e mancherai a tutti quelli che ti hanno voluto bene davvero.
La familiarità con cui ci accoglievi, quando ritrovarsi era puntualmente una gioia; o quella di ritrovarti lì alla tua solita postazione di controllo agli esercizi fisici, che come dicevi tu avrebbero dovuto salvare la vita del tuo popolo di fedeli armigeri.
Lì dove si mescolavano spazi e aria, umori e ambienti in un carosello di fatica, divertimento e sudore, nella confidenza sempre troppo goffa dei corpi.
In fondo è stato un gigante visionario, con lo sguardo puntato all’orizzonte, capace di plasmare la dimensione artistica della danza non come forma vuota di bellezza, ma come quella di recupero e possibilità per tutti, per rimettere in discussione i fattori che non riducono l’essere umano perlopiù a una pura definizione “biologica” o esclusivamente scientifica. Perché la fisicità di un corpo che si mette in movimento, anche a danzare, non è solo un fatto fisico, ma è soprattutto un dato spirituale; e in ogni più piccolo movimento specie in quello del danzare, c’era il definire le tracce dei corpi che sono soprattutto anima e rivelano i segni di un universo di gesti possibili, anche nella fatica di qualche sofferenza, riuscendo a riprodurre la stessa alchimia dell’universo.
Sapeva bene che la particolarità della danza è trasformare il movimento “utilitario” in movimento “poetico” per cui ci hai spiegato che muoversi per danzare è un’esperienza reale, che si riesce a realizzare soprattutto se si concepisce l’esperienza immaginaria, quella in cui l’esistenza e la situazione del mondo, possono essere perfettamente riprodotte per ricreare con l’immaginazione che le rende vere, palesarsi in movimenti di grandi e potenti forze creatrici, di ennesime nuove armonie ed equilibri.
Visionario intraprendente ha saputo esserlo, è riuscito a definire la Scuola sapendo conferire all’arte del movimento quell'inusitato e insospettabile carattere filosofico, nel quale la danza si è trasformata in qualcosa che ha permesso di far pensare, riflettere, soprattutto attraverso una riflessione comune e collettiva del nesso tra materia e forma, tra corpo, gesto e movimento.
In fondo pretendeva che nel gesto e nel movimento combaciassero perfettamente le realtà dei corpi e la poesia, la stessa di intere generazioni di ballerini e ballerine che hai saputo avvicinare a questo mondo. Così fiero del tuo capolavoro, hai indicato e segnato la strada.
In fondo sei stato la forma legata al tempo e al divenire; e sei riuscito ad imprimerla a tutte quelle generazioni che hai allevato e visto fiorire, qualcosa di culturalmente potente e ricco, connesso con la mobilità e temporalità della tua stessa esistenza, in questa strana e veramente povera comunità cittadina.
E nella danza che rafforzava caviglie migliorando la resistenza del collo del piede, tutti i gesti scomposti delle piccole ballerine in erba, quello di bambine e bambini cristallizzati nei colori tenui di tanzdunsje, di calzamaglie, di body e scarpette in punta.
Grazie anche per averci donato tutte le potenti emozioni di genitori in apprensione, con occhi languidi e lucidi, pieni solo dei propri figli in calzamaglia rosa e tutù.
Conferma alla fugacità inesorabile con cui gli attimi eterni della bellezza sanno sempre come affiorare e commuoverci carichi di memoria abitati anche da Pasquale.
In tutti questi camminamenti condivisi, c’è sempre stata la sua attenzione, la considerazione e supervisione e il rispetto del gigante che si poneva accanto e prendeva in palmo di mano, per sollecitare all’importanza del prendersi cura del sé, ma soprattutto del volersi bene.
Non ritrovarti sarà difficile, infatti nulla toglierà il tuo nome, e se anche sbiadisse un po’ alla volta, nei tuoi spazi ci sei ancora, lì resterai e proveremo a cercarti.
La consapevolezza adulta delle nuove distanze cristallizzerà quel tempo, in esso il tuo sorriso, e la tua intensa aria bonaria, mescolata con lo stesso odore acre addosso, in un eterno lungo allenamento senza di te certamente noioso e pigro.
Che tu possa restare, e continuare ad abitare memorie e ricordi belli, quelli che insieme, tutte quelle volte abbiamo saputo riempire di musica, sorrisi e belle parole cariche di significati.