Oggi, 9 gennaio, l’edizione romana de La repubblica, ha dedicato uno spazio all’acrese
Michele Capalbo. L’intervista allo stilista è a cura di
Maria Elena Vincenzi.
La pubblichiamo per intero. “Da bambino spiavo la sarta del paese e cucivo per le zie.”
Nato nel 1978 ad
Acri, in provincia di Cosenza, oggi disegna, produce e cuce il brand “La Jolie Fille” a Roma.
Tra le clienti tantissime attrici, Foglietta, Ferzetti, Francini, Bevilacqua. Non c’è red carpet su cui non sfili almeno un suo abito.
“Ricordo che quando ero bambino e già mi piacevano i vestiti e le macchine da cucire, mi arrampicavo sempre su una scaletta nel centro del paese per spiare da una finestra una sarta al lavoro.
Molti anni dopo, quando ormai avevo iniziato la professione, un giorno, cosa che accade di rado, postai una mia foto sulla pagina Instagram e quella signora, ormai anziana, mi scrisse: “Ma sei proprio tu? Quel bambino che mi spiava?”
Chi ama la moda in questa città di sicuro lo conosce, spesso lo adora.
Michele Capalbo, o anche solo Michele, o anche solo La Jolie Fille come il brand che disegna, produce e, molte volte, cuce.
Una graziosa porta affacciata in via di Monserrato varcata la quale si apre un nido di colori avvolgenti, sete preziose. Fiori, lane, cappelli e tappeti.
Un posto dove non si fa shopping, ma, come dice lui, si gioca. “Sin da piccolo, mia madre mi portava in giro per negozi della zona o anche fuori, quando viaggiavamo. E io avevo questo talento, questa passione.
Nel mio paese, già da adolescente, ero considerato una specie di consulente. Le mie zie, cugine, ma anche le amiche di mia madre mi volevano con loro a fare shopping perché io le vestivo.
Aggiungevo sciarpe, gioielli, dettagli. Accostavo capi tra loro. Non lo so perché, ma sono nato con questa passione e in fondo, a pensarci, è quello che faccio anche ora con chi entra nel mio atelier”.
E quella passione come è diventata un lavoro? “A 18 anni mi iscrissi al Polimoda a Firenze, c’erano 300 richieste per 30 posti. Io ero l’unico italiano. Per mantenermi facevo lavoretti, sempre legati, in qualche modo, al mio senso estetico.
Ho iniziato con le composizioni di fiori secchi in un chiosco il sabato e la domenica, utilizzando gli orci. A un certo punto, queste composizioni, vennero notate e una signora, Cristina, che faceva eventi, mi chiese di andare a lavorare con lei. Giravo nei mercatini e cercavo oggetti: piatti, tovaglioli antichi. Qualsiasi cosa per decorare la tavola”.
E la moda? “Continuavo a studiarla. Feci uno stage nelle Marche in un’azienda di cappelli e uno come modellista a Montevarchi: ricordo che mi svegliavo alle 4 per prendere il treno da Firenze. In stazione c’ero solo io. Diciamo che da lì è iniziato tutto. Perché in quel periodo ho conosciuto Chiara Boni che mi volle nel suo ufficio stile. Poi sono stato a Parigi da Jean Louis Scherrer e da Cavalli. Fino a che, nel 2006 non ho scelto di trasferirmi a Roma, e di iniziare a lavorare solo, aprendo un corner tutto mio a Monti.
Oggi lei veste tantissime attrici romane: Foglietta, Ferzetti, Francini, Bevilacqua. “Sì. Vestire le attrici è divertente, anche perché spesso sono amiche. Ma ho anche tante belle signore americane, arabe, milanesi e romane”.
Anche Kate Moss…
“Ah sì. Quello fu divertente: prima del Covid vendevo anche in qualche negozio, cosa che ora non faccio più, e mi chiamarono dalla Puglia per dirmi che Kate Moss che stava lì in vacanza, aveva visto questo mio abito in vetrina e se l’era comprato.
Nei giorni successivi, uscirono foto su tutte le riviste di lei che passeggiava in Costa Azzura con il mio vestito. Non sa per quanti mesi, dopo, mi scrivevano da ogni parte del mondo per chiedermi quello stesso abito rosa”.
Lei vende anche online? “No, non ci riesco proprio, mi distrugge non vedere chi compra i miei capi. Ora l’unico posto dove si possono comprare le cose de La Jolie Fille è questo. Con me. Che mi diverto, faccio provare, propongo alternative. Abbino scarpe, cappelli, guanti”.
Ma produce lei? “La confezione la faccio fare. Gli abiti da sera, invece, li faccio ancora io insieme a Sofia”.
Una sua collaboratrice? “No, la mia macchina da cucire. Si chiama Sofia, come la Loren. È il mio rifugio, la mia compagnia, la mia amica”. Quali sono i suoi modelli, c’è qualche stilista che le piace a cui si ispira?
“Il vecchio Saint Laurent, forse. Vede, io non seguo molto la moda. Il mio non è uno stile romano o glamour. I miei vestiti sembrano usciti dall’armadio della vecchia zia. Anche per questo, forse, mi tengo lontano dal fashion system. Sicuramente è un limite, ma mi trovo bene qui, nel mio piccolo. Tra queste mura, riesco a riprovare il piacere che avevo da bambino quando vestivo le mie zie. Adoro coccolare le mie clienti, conoscerle, parlarci.
Ci sono volte in cui arrivano qui con il portagioie o con oggetti che hanno trovato nell’armadio e io li abbino”.
Ha ancora un sogno? Mi piacerebbe sfilare a Parigi. Ma poi alla mattina arrivo in negozio, mi guardo intorno e penso che, in fondo, qui c’è tutto quello di cui ho bisogno.
E quando capita che vada a qualche festa e veda una donna che indossa qualcosa di mio, beh, penso che in fondo il mio sogno lo ho realizzato”.