Vincenzo Rizzuto, intellettuale impegnato, letterato di alto livello, ha raccolto, nel volume “Racconti e riflessioni alla luna” (San Giovanni in Fiore, Pubblisfera Edizioni, 2022) il proprio sistema ideale, che possa dar senso all’esistenza odierna attanagliata dal Covid e dalla guerra in atto tra Russia e Ucraina. In una contrada posta ai piedi della Sila Greca, “dove il castagno vegeta rigoglioso insieme al pino e alla ginestra”, la vita trascorreva tranquilla. È questo l’incipit del primo racconto, l’Avvocato. Marietta, una ragazza ben fatta, con gambe tornite e lunghe e con occhi vivissimi, dal colore di un verde marino profondo, incontra per la prima volta Giuseppe nell’autobus di ritorno dal paese. Dopo tre anni di fidanzamento si sposarono. Giuseppe quando conobbe Marietta, che teneva quindici anni d’età, lavorava già da un anno a Verona. Egli amava la moglie più dei suoi occhi e ne era ricambiato con altrettanto grande affetto. Dopo due anni di matrimonio, la coppia non aveva generato ancora un figlio. Giuseppe accusava la moglie di averlo preso in giro; Marietta rispondeva che non era sterile e che dovevano semplicemente farsi visitare dal medico. Il marito si rifiutava e, dopo molti litigi e divergenze, si allontanò di casa senza dare più notizie di sé. Era più che convinto d’essere dalla parte della ragione: la moglie l’aveva ingannato, non gli aveva detto, prima del matrimonio, di non potere avere figli. Marietta, accompagnata dal padre e dal fratello, dovette recarsi dall’avvocato per indurre Giuseppe, che se n’era tornato a lavorare a Verona, a smetterla con il suo pregiudizio e ad assumersi le responsabilità di marito. L’avvocato, ch’era un “marpione”, menava la faccenda per le lunghe. Alla fine scoprì le sue carte e, incurante della differenza di ceto e di età, chiese in moglie Marietta che, rassegnata al suo destino accettò la proposta e sposò civilmente l’avvocato, “senza tentennamenti e con grande serenità d’animo”. Nacquero dei figli, “il che smentì ogni dubbio anche sulla fertilità di lei”.
Segue il “Racconto alla luna”, che ha come protagonista principale un professore di matematica, di origine russa, che viveva solo con la governante. L’unica persona del quartiere che intratteneva rapporti più larghi con lui era il barbiere, Mastro Nicola, che suonava il violino mentre il clarino veniva suonato da Peppino, un orologiaio in pensione. I concertini che si tenevano nella barberia passavano in secondo piano quando il professore teneva “lezioni”, raccontando la partecipazione del padre alla seconda guerra mondiale. Il professore, che aveva insegnato alla Sapienza di Roma, politicamente era un uomo libero “da ideologie accecanti e violenti” e schierato per quella sinistra “che condanna lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che rifiuta la guerra come strumento di sopraffazione e di dominio del più forte…, che rispetta la dignità dell’uomo come soggetto libero tra liberi, uguale tra uguali”. In nome di tale visione del mondo, ch’era già stata propagata dal Cristianesimo delle origini, il professore, benché ateo, aveva creduto che la pace e la libertà avrebbero governato tutti i popoli. Tuttavia i fatti d’Ungheria e la brutale aggressione sovietica di Praga con i carri armati, gli fecero lasciare il Partito dei “compagni non compagni”, poiché esso aveva smarrito la via maestra della pace, del disarmo e della difesa del mondo del lavoro, “cui appartengono da sempre i deboli”. Mastro Nicola, da parte sua, metteva in risalto i guasti e i crimini prodotti dal fascismo. Al professore, che soffriva di crisi depressiva, venivano in mente le decisioni drammatiche di Ettore Majorana, scomparso nel 1938 “senza dare alcun segno della sua presenza nel mondo”, e le originali e provocatorie manifestazioni antifasciste in Napoli di Renato Caccioppoli, matematico noto in tutto il mondo, che deluso forse dalla politica e abbandonato dalla moglie, mise fine nel 1959 alla vita con il suicidio. Il professore non riusciva a rendersi conto perché scienziati e intellettuali di fama avevano ritenuto che la vita non fosse degna d’essere vissuta. Egli lasciò la città di Telesio, Cosenza, si allontanò da Altopascio e fece perdere ogni traccia di sé e della sua governante, nella convinzione che “nessuno può riscattarsi se non lo desidera”. Qualcuno disse che si era ritirato a Napoli e lì era morto dopo qualche tempo.
Di rilevante attualità è il tema della guerra russo-ucraina trattato nell’altro racconto, “Vite in fuga”. Putin ha invaso il territorio dell’Ucraina per impedirle di entrare a far parte dell’Europa, eppure circa 70 anni fa la Russia ha sacrificato 27 milioni di uomini per sconfiggere il nazismo. Oggi Putin invece sta impegnando ogni risorsa disponibile per condurre, prosegue Rizzuto, “un’assurda guerra, camuffata come lotta per liberare il popolo da fantomatici nazisti”. Enormi i lutti, le sofferenze dei profughi, i danni; un vero tradimento verso l’umanità e verso lo stesso popolo russo.
La pandemia del Covid, sostiene Rizzuto, ha finora prodotto milioni di morti in tutto il mondo, ma la guerra è qualcosa di più atroce: è una follia “che distrugge ogni cosa facendo dell’uomo una bestia feroce!”. Durante il lockdown (in italiano, confinamento) Maria Luigia Rodotà, moglie dello scrittore, ha composto una bellissima “Filastrocca del coronavirus”, inserita nel volume; in essa l’assonanza dei versi non predomina sul nesso logico: “Non cedete alla paura, / sono certa che non dura, / se noi tutti lotteremo / alla fine vinceremo”.
Un altro problema che appassiona l’ex Preside Rizzuto è quello della scuola educante. Egli ravvisa che la pratica DAD (Didattica a distanza) con il computer è “del tutto mancante dei complessi rapporti interpersonali, indispensabili per la crescita dell’uomo e del cittadino del mondo, destinato a vivere con gli altri e per gli altri”.
Lo scrittore Rizzuto, ch’è stato anche docente di filosofia e storia, auspica non solo il riscatto dei più deboli ma propone, per superare la divisione tra sapere scientifico e sapere umanistico, di estendere “in ogni tipo di scuola lo studio della filosofia come esercizio unificante, metodo di analisi critica e strumento principe di decodificazione di ogni linguaggio”.
In quest’ultima fatica si prende anche in esame il nuovo lavoro dell’acrese Joseph Francese, glottologo e linguista suo conterraneo, docente nelle Università americane, lo studioso riscontra che talora i rapporti tra Calvino e Sciascia erano discordanti: il personaggio Giufà, infatti, per Calvino è un “folle”, mentre Sciascia alla fine ne fa un “vendicatore”.
Nella mappa letteraria del nostro tempo, Vincenzo Rizzuto si presenta con l’intreccio di racconti e riflessioni come difensore della libertà di pensiero e come sostenitore di un mondo più giusto e solidale, tenendo sempre desta l’attenzione del lettore.