RACCONTI Letto 1841

Le cicatrici sommerse


Foto © Acri In Rete



La primavera aveva da poco preso spazio nel suo nascere, e ogni minuscola vita spuntava pian piano nei suoi colori, dopo un letargo invernale freddo e glaciale.
Avevo ripreso nuovamente il mio viaggio, il momento esatto per intraprendere nuovi orizzonti e nuovi miraggi.
Scoprivo man mano ogni singolo spazio, dettato da ogni curiosita' esaltata sempre come un libero viaggio. Alle mie spalle si chiudeva la porta dell'inverno, e davanti, si apriva un mondo di oggetti e personaggi che coloravano ogni loro passaggio, sul mio percorso variegato, intrinseco e sospeso nel suo coraggio.
Come un'acrobata cercavo di rimanere in equilibrio, su quel filo del rasoio che racchiudeva la mia vita. Provavo ad aprirmi al mondo per scoprire nuovi orizzonti, scalando ogni mia piccola inperfezione per difendermi da coloro, che d'inperfezione erano colmi come un'onda.
Non ero l'unica ad essere imperfetta, ma ogni individuo che provava a vivere il meglio, quel meglio che porta ad essere inperfetti, come un vaso che vacilla e si sgretola come l'argilla.
Ognuno di noi si sgretola come terra che insabbia ogni passaggio, si chiude dentro se stessa e ricerca nella sua mente ogni forma di rinascita, per risalire da ogni buio che rende la nostra testa un ostaggio. Mi pronunciavo per scalfire nuovi mondi, lasciando alle mie spalle ogni piccola scoperta colta da ogni incontro.
Ma il viaggio piu' importante, forse, non era solo quello che stessi facendo, ma quello interiore, che scavava man mano ogni cicatrice sommersa nei propri segni.
Perche', le cicatrici, non erano altro che il segno di cio' che avessi vissuto, come forma di ricordo per una rinascita sentita e voluta.
Le cicatrice sommerse chiuse nel proprio mondo e cucite addosso, come una lama che trafigge ogni ridosso.

PUBBLICATO 26/04/2021  |  © Riproduzione Riservata

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