Oggi accenneremo qualche curiosità su di un alimento amato e apprezzato da tutti, immancabile sulle nostre tavole: il pane. Il pane ha due dimensioni simboliche: una profana e una spirituale. Infatti, si tratta sia del cibo dei poveri e dei prigionieri ma anche dei santi poiché incarna l’essenziale. All’interno della tradizione cristiana, il pane è protagonista di due momenti importanti: la moltiplicazione del pane e dei pesci e l’Eucarestia, viene inoltre menzionato nella preghiera del Padre Nostro. Per Aeppli sognare pane senza avere una fame fisiologica vuol dire desiderare che Dio ci conceda esclusivamente ciò di cui abbiamo estremamente bisogno. Dietro questo cibo si celano anche numerose superstizioni: porta male sprecare o buttare pane e non va mai posato a rovescio. Quest’ultima credenza vede protagonista il boia che si riteneva caricasse negativamente tutto ciò che toccava, quindi il fornaio capovolgeva il pane ad egli destinato. La sacralità del pane è da ricercarsi anche nella religione ebraica, in occasione della Pesach, infatti, i fedeli consumavano pane azimo. Nell’antico Egitto i morti venivano accolti nell’Aldilà dalle dee Hathor e Neit con del pane e dell’acqua fresca mentre a Roma e in Grecia, si trattava di un alimento coinvolto insieme al vino nelle iniziazioni della dea Cibele. Affascinante è la tradizione sarda che presenta diverse tipologie di panificazione in base alle occasioni e al ceto sociale. Fare pane anticamente in Sardegna era un’attività prettamente femminile, era un momento per riunirsi e “spettegolare” e raramente si ricorreva a panificatrici a pagamento. Le donne curavano tutto il ciclo della panificazione: dai cereali, alla setacciatura, dall’impasto e alla cottura in forni di pietra. Ci si svegliava al mattino prestissimo e i tempi di preparazione erano molto lunghi, spesso si protraevano fino al giorno seguente. Durante la lievitazione, si era soliti tracciare sulla pagnotta il segno della croce per auspicarne la buona riuscita e si pronunciavano formule rituali propiziatorie. I ricchi mangiavano pane di grano duro, i poveri di crusca e ghiande, i pescatori gallette ma le classificazioni del pane sardo sono tutt’altro che semplici: grossi o sottili, a pasta morbida o dura, conditi con cipolle, olive, pomodori e ricotta. Con gli scarti della lavorazione si ottenevano pani per gli animali per non parlare dei pani portafortuna realizzati non a scopo alimentare. Ancora oggi il pane in Sardegna è utilizzato in ogni ricorrenza religiosa, civile e nelle cerimonie, qui di seguito alcune tipologie: Carasau o Carta da musica: il più famoso, caratterizzato da una sfoglia sottile e croccante, un tempo pane dei pastori, oggi consumato in vari ristoranti d’Italia; PANI DELLA FEDELTA' CONIUGALE: I giovani Sardi, prima del matrimonio, secondo la tradizione erano soliti mandare alle famiglie dei futuri mariti e delle future mogli, dei pani particolari con forme di sesso maschile o femminile. Quello mandato a casa della sposo prendeva il nome di "Sa Pillosa" e lo sposo ricambiava mandando alla futura moglie il "Su Colovru". Era un atto simbolico in grado di garantire fedeltà ed unione eterna tra i promessi coniugi; Su Civrargiu: Pane Tondo, con una crosta spessa che fa contrasto con la morbidezza della mollica; Moddizzosu: Tipico del Nuorese e realizzato con ricotta e patate; Sas Ispianadas: il pane tipico delle cerimonie religiose, viene decorato prima della cottura con timbri particolari; Vi salutiamo con un estratto di un racconto di Grazia Deledda che sottolinea l’importanza della preparazione del pane. “Finché sono stata signorina, mi è toccato di fare il pane in casa. Questo voleva nostra madre, e questo bisognava fare: non per economia, che grazie a Dio allora si era ricchi, più ricchi di quanto ci si credeva, ma per tradizione domestica: e le tradizioni domestiche erano, in casa nostra, religione e legge. Dura legge, quella di doversi alzare prima dell'alba, quando il sonno giovanile ci tiene stretti stretti nelle sue braccia di velluto e non vuole assolutamente abbandonarci! La serva bussa all'uscio, con la lampada in mano, anche lei tentennante per il sonno interrotto: su, su, è ora di alzarsi. Un piede va fuori delle coltri, ma tosto si ritira come abbia toccato acqua fredda; mentre l'altro piede è ancora nelle tiepide strade dei sogni: un braccio si tende e la mano si chiude nervosamente, mentre l'altra rimane beatamente aperta sul lenzuolo molle, come su un prato di margherite al sole. La serva bussa una seconda volta, poi spinge l'uscio. - Su, su, se no viene la signora padrona...Allora il piede sveglio batte su quello che ancora dorme, e la mano sveglia va a cercare quella che sogna... E tutte e due si fanno coraggio. Siamo in piedi. Che freddo! Come è brutta la vita! Ma verrà un giorno...Ebbene, sì, devo confessare che fin dall'età di dodici anni avevo stabilito di sposarmi per non fare più il pane in casa.”