EDITORIALE Letto 2040

Siamo rimasti e ne siamo fieri...


Foto © Acri In Rete



È passato ormai più di un anno dal conferimento, con votazione unanime del consiglio comunale, della cittadinanza onoraria al “paesologoFranco Arminio.
Già solo questo atto basterebbe a bocciare in toto una presunta classe politica.
E per due ragioni.
La prima è che, ovviamente, l’istituto della cittadinanza onoraria viene conferito a quelle personalità che nei più disparati campi, dalle arti alle scienze, dimostrano un particolare legame con un determinato territorio ed attraverso questi nobili vettori vi conferiscono prestigio.
Com’è noto, Arminio, pur collaborando per insediare nel territorio acrese il fac-simile di un festival da lui ideato ad Aliano, non si è mai prodigato, neanche dopo il conferimento della cittadinanza, in alcun modo per la nostra città.
Mai una citazione, mai un riferimento in nessuna delle sue pur molte iniziative.
La seconda ragione attiene invece al campo delle ipotesi e di conseguenza all’uso improprio, per non dire dell’abuso, dello strumento della cittadinanza onoraria.
Di fatti, in seguito alla cerimonia di conferimento della cittadinanza, in molti hanno pensato che i nostri amministratori avessero voluto “accattivarsi” la benevolenza di un personaggio influente, quasi un guru contemporaneo per molte persone, al fine di trarne qualche tipo di beneficio.
In questo caso avrebbero toppato due volte: in primis perché per avere attenzioni da personaggi noti non serve arrivare certo a trattare come merce di scambio il nobile istituto della cittadinanza onoraria, ma sono ben altri gli strumenti da mettere in campo; in secundis perché avrebbero sbagliato interlocutore: Arminio, e basta poco a capirlo, parla di paesologia, ma le sue riflessioni sembrano più che altro rivolte ai “paesini” spopolati come il suo Bisaccia – circa 3000 abitanti – o come Aliano, sede del suo festival, che invece di abitanti ne fa addirittura 900.
Acri invece, da sempre centro di riferimento per decine di comuni confinanti e che a rigor di legge sarebbe una città, di abitanti ne conta più di 20000, e vanta uno dei territori comunali più grandi dell’intera regione Calabria.
La svista è alquanto clamorosa.
Forse è proprio per rimediarvi che molti degli esponenti politici della nostra città, senza contare gli altrettanti comunicati stampa di partiti o forze politiche, quando si riferiscono ad Acri, parlano sovente di “nostro paese”.
Un tempo si diceva che Acri era un paese che tentava di diventare una città.
Oggi registriamo la definitiva resa della politica innanzi a questo tentativo.
Del resto le prime avvisaglie dell’arretramento culturale ed ideologico risiedono proprio nelle parole che, com’è noto, per i politici sono i più importanti manifesti elettorali.
Ma perché queste riflessioni apparentemente fuori tempo e fuori contesto?
Perché da qualche giorno è comparsa una gigantografia affissa ad un cartellone del centro cittadino, recante i seguenti brillanti versi che fanno da epilogo ad un componimento dello stesso Arminio: “Tornate, non dovete fare altro. Qui se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto”.
Molti diranno poco male, iniziativa per certi versi condivisibile o diretta a svegliare le coscienze da parte di qualche nostro privato nobile concittadino e che, nonostante trasudi una certa spocchia e non poco senso di superiorità verso gli altri, è pur sempre legittima in virtù dei diritti approntati dalla nostra Carta fondamentale.
Il problema è che tali versi sono stati fatti propri dal nostro primo cittadino attraverso la sua pagina facebook, in verità già di per sé molto ricca di riferimenti costanti alle poesie ed alle iniziative del nostro paesologo.
La cosa ci spinge a sollevare, quantomeno, alcune domande.
Ci chiediamo, anzitutto, come può un sindaco condividere frasi che si riferiscono ai suoi concittadini epitetandoli come “persone che pur essendoci se ne sono andate”?
E, soprattutto, di quali iniziative si è fatto promotore per fermare questo esodo ed invogliare l’auspicato “ritorno”?
Stavolta non avanziamo ipotesi ma in qualità di cittadini-elettori pretendiamo spiegazioni in quanto la carica simbolica del gesto è quantomeno indicativa di scarse qualità strategico-politiche.
Chiudiamo questo fin troppo lungo contributo ricordando al sindaco che i nostri concittadini che “sono andati via” non lo hanno fatto per motivi di villeggiatura.
Lo hanno fatto per costruirsi un futuro, per garantire una speranza ai propri figli e soprattutto perché la propria terra non ha saputo offrirgli i servizi e le condizioni necessarie per poter vivere accanto ai loro affetti.
E questo grazie ai costanti fallimenti delle classi politiche che negli anni si sono mangiate vive questa terra.
Che non hanno saputo fronteggiare il malaffare.
Che non sono riuscite a mettere in campo uno straccio di idea per invertire il trend dell’emigrazione attraverso iniziative di welfare attivo atto a contrastare gli stipendi in nero e spesso da fame.
Che non hanno saputo sfruttare le potenzialità del nostro magnifico territorio in chiave economica.
Che si ricordano dei cittadini quando questi, in periodi elettorali, tornano ad essere elettori.

Per quanto riguarda invece coloro i quali sono rimasti, coloro i quali pagano le tasse riempiendo le casse comunali che sempre quella classe politica inadeguata ha gettato nel dissesto, coloro i quali pagano i mutui per bitumare le strade e per completare le opere incompiute, coloro i quali spesso danno lavoro attraverso delle coraggiose attività imprenditoriali, beh proprio a costoro che “pur essendoci sono andati via” noi vogliamo solo dire grazie.

PUBBLICATO 29/01/2021  |  © Riproduzione Riservata

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