Giulia Aloia e Angelo Minerva, dopo “Doppio in-canto”, hanno pubblicato, sempre con la Casa Editrice Tabula Fati di Chieti, nella prestigiosa collana “A lume spento” curata con grande perizia dall’editore Marco Solfanelli, un nuovo dialogo poetico a due voci dal titolo “Inesplorato cammino”. Si tratta di un vero e proprio poema, di un viaggio sotto forma di metafora, che, come afferma Giulia Aloia nella “Postfazione”, evolve ora con toni placidi o accesi, ora con toni teneri o cupi, emotivamente forti o ironici.
Nella Storia della letteratura italiana e, naturalmente, in quella mondiale sono numerosissimi gli scrittori che hanno affrontato e variamente svolto il tema del viaggio: da Marco Polo, spinto dalla curiosità di conoscere nuove terre, con il “Milione” (1299), a Dante con la “Divina Commedia”, in cui narra il suo cammino nell’oltretomba cristiano, un viaggio giustificato dalla volontà divina e motivato da intenti teologici oltre che pedagogici. Il Sommo Poeta, nel corso della sua peregrinazione, nel canto XXVI dell’Inferno, condanna Ulisse il quale è spinto nel suo ardito viaggio, oltre le Colonne d’Ercole, dal proprio orgoglio titanico, individualistico, da una sete insaziabile di virtute e canoscenza. È questo un esempio di viaggio nel viaggio. Italo Calvino con “Le città invisibili” del 1972 compie un viaggio mentale e atemporale nell’immaginario, una sorta di fuga da tutto e da tutti. Anche il “Viaggio in Italia” di Goethe non è altro che un’esplorazione interiore, e costituisce un periodo importante – come scrive René Michéa – all’interno della biografia spirituale dello scrittore, una visione più che della realtà contingente dello spirito.
“Inesplorato cammino” presenta tutta questa ricca e complessa esperienza culturale e anche di più! Giulia Aloia e Angelo Minerva, forti di una cultura letteraria davvero straordinaria oltre che di una rara sensibilità d’animo, conducono il lettore su un sentiero arduo, ma estremamente affascinante, che è lastricato di conoscenza di sé e del mondo, di riflessione profonda sulla vita e i suoi misteri, di presa di coscienza di stati d’animo e di sentimenti anche i più inusitati e nascosti, di autentica e calda umanità. L’uso armonico e musicale del verso, la difficile arte di dare un senso compiuto e denso alla parola rendono possibile questo viaggio letterario e filosofico, sentimentale e razionale, reale e fantastico, al tempo stesso, il concretizzarsi di un testo di notevole pregio che può essere considerato un esempio davvero riuscito della migliore poesia contemporanea.
Si tratta, quindi, di un viaggio ricco di sentimenti, aspirazioni, desideri, delusioni, ma anche di una lucida e profonda riflessione filosofica sull’esistenza e l’essenza stessa dell’Essere, una ricerca accuratissima e sincera nelle pieghe più riposte dell’animo umano, di un’autentica e commossa tensione verso l’Assoluto.
Vediamo ora cosa c’è di particolarmente interessante in questa opera.
C’è l’uomo con i suoi timori per un domani incerto: “Incamminarsi verso il futuro / è un altro difficile e rischioso viaggio. / Ogni uomo lo sa bene e ne ha paura. / Il miraggio della felicità lontana / incanta e illanguidisce il cuore, / tiene accesa una piccola luce / che solo ad alitarci sopra / ondeggia piano, si contorce e muore.” (XL, p. 70). Gli esseri umani hanno paura dell’ignoto, del dopo, e non possono fare a meno di chiedersi cosa accadrà nella loro vita, se le speranze nutrite dai sogni e dalla linfa vitale delle passioni diventeranno certezze a cui ancorarsi, se la meta ambita potrà essere raggiunta oppure no. Infinito è lo svilupparsi vorticoso dei pensieri, vero motore dell’esistenza, che “scavalcano muraglie, / sfidano i venti impetuosi”.
C’è la terra che “è la vera ricchezza dell’uomo, / artefice solitario di un destino / che è sempre più una condanna. / Con il lavoro la lacera e fende, fin dal mattino, / incurante di provocarle ferite, / di carpirne umori profondi, / e segrete essenze di vita […].” (VI p. 18): una consapevolezza questa quanto mai attuale da ribadire e diffondere. Oggi l’uomo sembra non amare la terra; non esiste più una reale simbiosi tra lui e il pianeta che lo ospita, anzi se ne serve sfruttandolo e cerca in ogni modo di distruggerlo con l’inquinamento, con l’abbattimento indiscriminato degli alberi, con gli incendi e altro ancora. È questo un commosso e deciso invito al rispetto per la Natura, radice di quello stesso amore tanto decantato con purezza e semplicità da Francesco d’Assisi.
C’è il mondo, l’abbraccio dell’universo in cui è stretto il nostro pianeta, c’è la Calabria con i suoi valori e i suoi problemi e le possibili, auspicabili soluzioni: “Rinnova la tua pace, la tua campestre vita, / cancella sofferenze e gesti disumani, / promuovi l’uguaglianza nella diversità; / armonizza il dialogo fra l’una e l’altra sponda / e di tutti quegli sguardi intrisi di paura, / bocche affamate o con l’abbozzo del sorriso, / colori diversi e moltiplicati suoni / fanne nuovo drappo: nuova bandiera / da issare insieme al tricolore. / Anche il Dolcedorme, profilo e anello / in bella vista del Pollino, stanco di oziare, / trepidante sfilaccia, della coperta, gli orli.” (V pp. 16-17).
C’è l’immagine misteriosa di uno straniero in viaggio, identificabile con Norman Douglas (1868-1952), autore di “Old Calabria”, che percorre l’intera opera: si tratta di un magistrale filo narrativo da seguire con attenzione per scoprirne l’imprevedibile epilogo.
E c’è ancora tanto altro: mille suggestioni, riflessioni, sfumature, impressioni e sentimenti… al lettore il compito e il piacere di scoprirli.
Nella generale crisi dei valori è necessario che la poesia, in modo particolare, spinga il lettore alla riflessione portandolo a chiedersi il perché delle cose: “Il sottile filo degli anni / è come un treno senza direzione / che non giungerà mai in nessuna stazione. / Si accendono i lampioni e il passeggio pubblico / popola la piazza. Goethe / sorriderebbe un po’ divertito / e un po’ sconsolato: non è più vero / ciò che aveva a suo tempo capito! / L’eroe attuale non ha un sogno immortale, / più grande di lui per cui combattere e morire, / ma solo la religione del comfort / a cui non può, / non vuole rinunciare!” (XXXII p. 59).
Sì, perché Giulia Aloia e Angelo Minerva, grazie alla loro arte, riescono a catturare l’attenzione del lettore, a inebriarlo e a condurlo con loro su un sentiero difficile ma stimolante, quello della conoscenza, e a fargli gustare qualcosa di davvero prezioso e raro ai giorni nostri, il vero nettare degli dei.