OPINIONE Letto 3484

Spigolature asimmetriche della Teoria che non declina la Prassi


Foto © Acri In Rete



Chi mi conosce sa che amo una prassi viva e perspicace, mai algida, ma appassionata ed intensa, intelligente e costruttiva; evito per come posso di recidere i nessi col senso comune o fomentare polemiche sterili. Perseguo responsabilmente il senso etico del lavoro personale e collettivo. Chi mi legge sa che nelle mie catene argomentative, amo disegnare (forse anche con una disinibita spregiudicatezza) immagini eloquenti e limpide, dalle “ evidenze cristalline” che a detta di alcuni, godono pure di un relativo stile.
Posso dire che Non mi interessano gli artifici retorici, ma semplicemente mi piace assicurare spessore e vitalità alle idee. Perché ho sempre scritto come “ atto di ribellione” come gesto rivoltoso di per sé e pur se ho perso alcune di quelle che reputo le mie battaglie civili; ho sempre guadagnato da quelle stesse imprese, in dignità e coraggio, la virtù del parlar chiaro e del non mandarlo mai a dire. Da qualche tempo mi capita d’imbattermi sovente nella mia comunità cittadina, ed in certa pia morale, dello “ pseudo neo protestantesimo” tutto acritano, di certi provvidi virtuosi che ammansiscono con l’ evangelo della neo etica protestante. E pur avendo resistito diverse volte all’imperio della parola scritta, ne sono infine stata vinta, avendo io qualche argomento da far risaltare al pubblico dibattito culturale, in corso sulle vitali e nergie del sin troppo noto H ortus A cri, che si professa prodigo per questo territorio, dentro e fuori le scuole, (cioè con e senza giovani alunni) in un generale sistema di rivoluzione e cambiamento culturale, che in poco più 25 anni, non è riuscito a realizzare, neanche la più quotata “agenzia culturale” del borghetto acritano.
Evviva con gli Horti, finalmente si tracceranno risposte concrete, che spaziano dalle valutazioni sull’opportunità di restare o partire da Acri per “fare fortuna” e rientrando potersi anche farsi prendere sul serio, ed apprezzare dagli stessi indigeni del luogo. Così come verranno elaborate tutte le necessità di veicolare elaborazioni concettuali della rete di relazioni intra ed extra territoriali di questa comunità, in grado cioè di sostenere non solo ideali, ma piuttosto proposizioni concrete nella meschina quotidianità culturale acritana.
Nessun bieco fine personalistico, un solo nobile obiettivo produttivo (appunto consono all’etica del protestantesimo); e neanche l’abominevole ignoranza elevata a cultura; ma piuttosto la semina di consistenti virtù culturali del protestantesimo, che sa come rendersi fucina di idee, per l’arricchimento culturale cittadino; attraverso la condivisione di pensieri, così come la discussione della sua contiguità a continuare a risiedervi in termini non solo spaziali, ma innanzitutto ideali; per continuare a poter vivere lo spazio cittadino appieno e con costanza, (sia pure nella grigia e tristissima quotidianità) cioè oltre le festività e ricorrenze comandate, che richiamano i transfughi dalle patrie terre nordiche.
Tutto ciò per ri-fondare un senso di comunità, del tutto incompreso; non grazie alla facilità delle relazioni e nemmeno al diffondersi della condivisione profonda di idee (buone e giuste o nobilissime) che se mantenessero saldo e forte, anche il senso di appartenenza alla comunità intera, nella sua estensione e dilatazione anche dei territori limitrofi e delle frazioni, troverebbero altresì, un’autentica linfa vitale per un gruppo di volenterosi e generosi acritani contigui agli Hortus Acri.
Vedremo finalmente accresceree deflagrare nella sostanza, l’autenticoconfronto dello scambio di esperienze, vitali a questa meschina Comunità acritana, lacera e dispersa.
Io che ho avuto sovente modo di ribadire, sia in pubblico che in privato, che ciò che abbisogna ad Acri ed agli Acritani, sono ben altre e più profonde prassi ne aspetto di viverne ugualmente i fulgidi traguardi.
I n primis sarebbe bene forse approntare, l ’onestà intellettuale e poi la cura, prima di richiamare certi temi roventi, legati alla nostrana asfittica cultura locale.
Così come bisognerebbe saper porre un argine all’arroganza, ed all’inconcludenza, di voler almeno evitare di giudicare e condannare la latitanza partecipativa e/o l’impegno individuale,di certi stanziali,che a queste pseudo rivoluzioni di nuovo grido non partecipano, per via delle lacune non prive di ragioni e radicali fondamenti.
Nulla di questi temi è più diffamante ed ingiusto. Se con implicito scherno e “la denigrazione” si riesce a lapidare senza appello, (affidando al giornalettismo del web, improvvide ed incaute affermazioni); per urtare questa altrui sensibilità, con argomentazioni sensibili che attengono alla dignità civile, etica, morale e partecipativa, di molti cittadini, che continuano a restare solo a guardare queste magnifiche rivoluzioni ideali.
Gente che a questa città ha sempre offerto - senza altro pretendere -anni di impegno, lavoro e di passione, prestandola propria parte di sano “volontariato culturale”(che mai alcuna pretesa ha mai accampato) se non quella dell’aver voluto regalare sinceramente il proprio tempo e le personali risorse ad Acri e tutti gli acritani.
Anni, di sforzi e di fatiche intergenerazionali, di contributi gratuiti e prestazioni d’ingegno, che mai alcun riconoscimento o ringraziamento hanno intercettato. Fatiche andate tutte smarrite "ppè Cadamo a’ ppennino" ma che davvero questo luogo avrebbero voluto elevare e riscattare, come le anime belle, con solo i santi ideali.
Potrei citare molti esempi uno su tutti: l’occasione smarrita di portare ad Acri la considerevole Biblioteca dell’Istituto Italiano per gli studi Filosofici, che il compianto presidente Avvocato Gerardo Marotta, avrebbe voluto impiantare in loco, ed altre numerose e svariate circostanze, tutte ignobilmente sprecate. Vanificate anche per dispetto, da chi allora, più che brandire l’arma del sospetto ingiustificato verso gli immaginari benefici personalistici altrui, sceglieva l’eutanasia per questo territorio ed i suoi ignari cittadini; ed ora invece con aura virginale propone il vessillo di certe rivoluzioni culturali.
Noi altri meschini, però malgrado tutto, Acri abbiamo scelto di continuare a viverla davvero, non nelle torri eburnee dei nostri misteriosi ritiri in solitaria, abbiamo scelto tutti i giorni, ogni giorno, ormai da anni, di restarci in pianta stabile, vivificandola col nostro onorato lavoro (almeno quello che resta) ed i nostri visi consunti o le nostre facce corrucciate; per respirarla, non perché siamo più sfigati e scemi di quelli che invece sono partiti, ma forse solo per continuare ad interpretarne il senso profondo di questa “identità invidiosa e truce” che lega a doppio filo la responsabilità non tanto alla convenienza, ma piuttosto ad una essenza, quella dell’identità personale che insieme a quella collettiva è parte integrante dell’identità matura, consapevole e soprattutto responsabile, che ancora, per tanti resta tutta da esplorare e conoscere.
Restare ad Acri per continuare a voler dare un senso anche a certe identità disorientate o consunte; per noialtri è stata come una scommessa con noi stessi, oltre che con la progenie che rappresentiamo più o meno degnamente.
Per dirci capaci di saper dimostrare come riuscire a Scriverne di Acri e degli Acritani; a parlarne ed a volerne ragionare sempre, senza disfattismi o sabotaggi sterili e codardi, ma vigliaccamente sempre ostili.
Sebbene risulti sempre più difficile e faticoso anche ritrovarsi sovente, stranieri negli stessi luoghi che ti hanno generato, partorito, allevato; considerando che certe esternazioni servono ancora a dimostrare come latita davvero il pieno, vero senso di comunità, e di rispetto vero. Certi criptici concittadini, sanno come disorientarci sempre e dissuaderci ogni volta tutti, da quel buon senso civico della partecipazione piena, nel saperci mettere sempre e solo le facce.
L’intermittenza in loco, di certi privilegiati del turismo culturale, poi impedisce vivamente la considerazione per chi brandisce l’arma di certe “lezioncine” di morale “neo protestante” che almeno io non posso lasciar cedere nel novero delle benedizioni urbi et orbi.
Ad Acri, gli Acritani ed ai meridionali di questo stra-profondissimo sud, dovrebbero necessitare innanzitutto l’autentico e puro bisogno di ossigenazione di certi spazi e di strutture culturali, lottizzate e miserevolmente colonizzate, non dal merito e nemmeno dalle capacità intellettuali, ma da logiche spartitorie dell’inconcludenza.
Si potrebbe così aver solo modo di scoprire che, il più bel sogno, artistico, architettonico ed ingegneristico, economico e perché no, sin anche culturale - a queste latitudini, combatte sempre con la propria non facile realizzazione e l’inefficace sua materializzazione.
E come scrive il buon Gioacchino Criaco “ Poi i sogni (mettono) le braccia da nuotatore e le gambe da maratoneta, hanno risalito il mondo in anticipo su ogni migrazione e al sud nemmeno il sogno più modesto è sopravvissuto all’alba”.
Il nostro fallimento- è risaputo - o forse la nostra vera rivoluzione mancata, è solo quella di non aver volutoné volere evitare, di affidarci alle persone sbagliate, agli impavidi e trepidanti improvvisatori incompetenti, ai guittied anche ai saltimbanchi, manchevoli tutti di qualità e competenze, oltre che di spedita e fiera preparazione culturale.
Tutti hanno brillato, e continuano a brillare per arroganza e fetida superbia, nel guardare all’intelligenza ed alla cultura di certi altri concittadini, sempre come alla f eccia del mondo.
Pronti ad assolvere sé stessi (sempre) delle proprie colpe, ma sicuri di voler sparare a vista proprio a coloro che la cultura se mai l’avrebbero nel frattempo pure digerita e metabolizzata nei circuiti cittadini. Per il perturbante sospetto e la diffidenza, che si deve ai nemici, non agli avversari, ma agli ostacoli ed alle vere teste di cuoio; che se disorganici, vale la pena isolare, eludere ed al peggio soprattutto emarginare. Certoper meglio crogiolarsi della propria virtù di essere riusciti a coltivare indisturbati il proprio piccolo banale orticello (che ben pochi benefici e vantaggi apporta al suo borghetto) volendo ben accampare i propriproduttivi diritti solo su quello; non solo per esserne incontrastatamente il migliore ed il più venerato rappresentante della pia e mesta comunità svezzata alla morale del proto-protestantesimo imperante,fin anche per diritto di nascita o per censo; per nobiltà di casta o per partito preso o anche solo per vigliacca codardia - ma ha poco importanza!
Nella vasta pletora degli imbonitori con le ricette di salvezza, attraverso la bellezza della cultura; si riescono a scorgere in questa comunità malata (sempre dello stesso male speculativo) tristissimi figuri ; che la comunità sciocca, gradassa ed abile solo a rendere i propri sboccheggiamenti, come oro colato; neanche immagina di cosa siano capaci: c’è pure ancora chi ha preferito e preferisce vederla languire e poi piuttosto al limite estremo anche vederla impietosamente morire…
Acri ha spazio solo per alcuni, (sempre e solo quelli) cioè per tutti coloro che abbiano risalito e poi ridisceso i più famosi “ cancielluzz e zanfini” (come confine dell’ignominia vergognosa del privilegio degli unti del signore); purché si sianonel frattempo resi abili a diventare cavalier serventi e prodighi cicisbei - non certo dell’intelligenza e della cultura - maunicamente di certo potere marcio, fetido e puzzolente, che deve solo rappresentar sé stesso e non già tutta una comunità semplice e troppo ingenua.
Del resto già dai tempi della memoria Paduliana, Acri e certi altri Acritani, non sono mai stati tanto avvezzi a voler ritrovare il vero pregio comunitario, del risalire la stramaledetta china, quella che per intenderci avrebbe dovuto portarci a diventare comunità adulta, responsabile e consapevole del nostro destino e delle nostre stesse opere; forse per non voler mai chiedere il conto, di certi gravi errori commessi, a certa pratica del malaffare; gradassa e impertinente.
Senz’altro lo si è fatto per eccedere in magnanimità e benevolenza, per assolvere i peggiori errori del nostro infame passato politico, più che per responsabilizzare quello presente. Per continuare a trasformare il peggio nel vivo sentimento ibrido di amore e predilezione per le canaglie. Chissa?! Così placidamente, continuiamo a sprofondare nelle sabbie mobili, che risucchiano tutta l’idea di futuro e sin anche le più fulgide convinzioni di nuove sante rivoluzioni.
I fallimenti come le ferite che questa strana comunità acritana ha avocato a sé, sono sempre stati i nostri sport cittadini.
All’occorrenza un nuovo figuro di grido, o un illusionista, che porga balsami o unguenti per distrarci, tanto basta perché gli aquiloni ricominceranno a volare e prender quota, con lo stesso vigore che anima la rosa dei nuovi venti culturali.
Salvo poi scoprire come si disattenderanno certi impegni assunti con la comunità, nella mancanza di trasparenza e correttezza, per esclusivo vantaggio e beneficio personale (E non è che ha pensar male si faccia peccato!)…
Eccola allora, la comunità vacca da mungere , colpevole della propria distrazione e della sua assoluta superficialità cialtrona, verso il riconoscimento del merito. Giano bifronte, c’è l’altra comunità stupita, fattada coloro che armano il dolo del sospetto per colpire e/o giudicare, come un tradimento, il solo parlar chiaro e con esso il sano diffidare dell’esperienza fatta tesoro.
In entrambi i casi sia ai colpevoli che agli innocenti, non si perdona giammai la libera espressione del dissenso. Ad Acri nella vasta pletora degli incapaci laici si sceglie sempre un migliore santo al quale votarsi, anche se -si sa- talvolta anche i santi possono deludere.
Criaco mi ha spiegato che “ la nostra è una condizione di subalternità, in ogni settore. Siamo a pochi metri dalla riva ma ci ostiniamo a non imparare a nuotare. Affogheremo, lentamente lo facciamo da anni. Perché la verità è che non sappiamo più lottare. E che non l’abbiamo mai fatto è un falso. Ci stiamo arrendendo. Fingiamo di non capire chi sia il nemico o ci lasciamo abbindolare da spauracchi che non sono la causa ma gli strumenti o gli effetti di un’inimicizia vera. Per fare il gioco del tempo noi stiamo ancora al medioevo con un ristretto gruppo di padroni e una miriade di loro servitori che governano i nostri bisogni”.
Ora ciò detto, senza alcun equivoco o fraintendimento, l’ arrendevolezza che mi compete è quella della combattente offesa. Io che sono nota per concepire il mio sincero sostegno cristallino, sempre alle belle e buoneidee, della ridente mia cittadina, (mai per partito preso); Gradirei allora che vi fosse il più fulgido splendore della concretezza e non la fiera degli stereotipi del tipo “f lagellazionedei meridionali dai facili piagnistei” e ci si potesse magari, finalmente anche confrontare pienamente, sull’etica delle responsabilità così come delle diversità interne, esterne ed affini. Perché trovo necessario svolgere un’analisi, chiara, accurata e non in malafede, argomentando per conto di Acri e di quegli Acritani “riottosi” che hanno trovato come me, certi interventi pubblici, pedanti e ricavati da dichiarazioni saccènti, avversi cioè ad ogni buon proposito di proselitismo comunitario.
Ben inteso, non vado ricercando nell’uovo il pelo, né sono interessata a processar le colpe di certe affermazioni, mentre mi sento invece incline ad assolvere tutte le buone intenzioni; tanto da invocare altre più raffinate e convincenti analisi specifiche, per smentire queste mie considerazioni; di una (diversa) rappresentazione resa in favore delle realtà locale e/o interna “acritana”.Gradirei dunque esser smentita, con qualche altra analisi, magari forse un poco più sofisticata della mia e meno rude.
Personalmente nutro preferenze per comunità che sappiano ridefinire davvero un diverso sistema sociale, del cambiamento radicale, nei meccanismi dello stare insieme ad altre persone, eliminandone dove possibile gerarchie e verticismi, dei quali s’impregnano i neo movimenti nostalgici (inappropriati) di certi collettivi anche fallimentari, che oramai si speraampiamente superati e surclassati dalla storia del proprio fallimento, come da certa aneddotica spicciola acritana, dura da risvegliare.
Ciò che è intollerabile però, è lo strano senso civico di comunità acritana, che se ne ricava;che spreca e forse neanche stavolta individua appieno le nuove vere occasioni per scommettere su di una nuova identità presente, preziosa e se possibile ancor più importante di quella del passato.
Ecco perché consiglioad ogni savio buon proposito, che abbia in animo di rivoluzionare la comunità, di definire e individuare prima ancora che le belle idee teoretiche, le più articolate cause, di certi impatti pratici, sulle sue stesse interne destinazioni, così che non si debbano veder abortire, i medesimi processi identitari, come già nel passato, dagli insani e malati propositi di obiettivi permeabili alle caste o al peggio alle lobby culturali.
Aristotele nella sua opera “ Politica” aveva del resto già ben considerato il valore: “La comunità cittadina non è costituita soltanto dall’identità del luogo, dall’astinenza dal danno reciproco e dalla garanzia dei rapporti commerciali, perché, sebbene queste cose siano imprescindibili per l’esistenza della città, tuttavia, anche se si realizzano tutte, non vi è ancora una città, ma questa è la comunità che garantisce la buona vita e alla famiglie e alle stirpi, e ha come fine una vita indipendente e perfetta.”
Dunque ciò considerato, stridono e si contraddicono nei fatti, le pie morali e certe lezioncine etiche della neo morale protestante dei ruspanti ben pensanti.
Non può accaderci cosa peggiore che assistere ancora una volta di più, allosfilacciamento ulteriore della società cittadina, in categorie pie e virtuose: più efficienti, vigorose e sviluppate; rispetto ad altre“corrotte dal lassismo” del “tutto va bene madama la marchesa”.
Assecondare certa cultura del perbenismo e dell’ipocrisia è solo un danno, per Acri e gli Acritani. Quando s’intendono sciorinare la “pia morale protestante” del vecchio motivetto: “protestanti contro i cattolici” o quello dei “proto-capitalisti” contro i professionisti dell’audacia e degli intelligenti “ nordici viaggiatori” in esplorazione per altre colonizzazioni.
Noialtrimeschini acritani, non ci teniamo proprio ad esser identificati come riottosi scialacquatori, impenitenti cittadini, che hanno ceduto alle mollezze degli imperi del dolce “ far nulla” e del così è se vi pare.
La fatica della cultura in questo paese, l’abbiamo praticata e continuiamo a praticarla quotidianamente. Atteso che, la questione partecipazione alla vita culturale del pio borghetto, non è esattamente più o meno come parlare della questione Bach contro Vivaldi; arazzi contro affreschi; burro contro olio d’oliva; ma è piuttosto coerente alla mentalità del come far proliferare il deserto dentro queste mura!
Io non processo ma neanche giudico, come sbagliata, la rete dell’organizzazionepolitico-culturale che pur occorrerebbe al successo di questa impresa, a questo territorio ed a noialtri meschini sfortunati.
Non c’è più incerto imperio di certe millantate rivoluzioni, quando, avvalendosi della menzogna e dello spergiuro, sin anche della mistificazione della realtà, si pecca d’irriguardosa approssimazione e dell’inettitudine a giudicare gli altri con spocchia colonizzatrice; nel trattare come vacui, anche contenuti ed interventi come il mio.
Strepitare di successi incensando sé stessi, ancor prima di apprezzarne i reali risultati e la portata degli effetti di certi laboratori, sulla comunità dormiente; privi dell’investitura ed il beneplacito della stragrande maggioranza dei cittadini, è solo pratica vanesia esteriore, figlia dell’inconsistenza.
Certo in Italia una classe politica degenerata e vile, più che rendere evidente il proprio fallimento nelle politiche del meridione, altro non ha da fare che, guardare a sé stessa ed al proprio ombelico, per vedere sealmeno quello attecchisce o se sopravvive all’esperimento rivoluzionario.
Acri sin ora non è stata resa né diversa e né migliore da chi l’ha amministrata. Acriè sopravvissuta alla storia di che ne ha scritto la sua storia - a vario titolo - con tutte le sue più incerte qualità politiche, sin anche di noialtri ingenui amministratori; più che certe altre belle parole, vanesie di retorica e ammantate con l’incenso della pia morale.
Perchésin ora nessuno è stato in grado di captare né necessità e sin anche bisogni reali degli acritani, così come dellostesso territorio meridionale; della sua gente acculturata e non.Per quel che ne so io, a me non basta affatto, pronunciare alla francese le R di R esilienza per:“ scardinareluoghi comuni, credenze, piagnistei e rinunce (per) rifiutare la rassegnazione, combatterla con creatività per sentirsi parte di un senso comune che si traduce in un bisogno disperato di tornare a immaginare e desiderare un altro presente ed un altro futuro! “ (cit)come altresì ci invita invece tutti a fare, il presidente di Horts Acri architetto Pino Scaglione, dalle colonne di una sua nota rubrica, esortandocitutti ad investire nello pseudo neo protestantesimo acritano.
Esorta: “Non fomentiamo (…) polemiche personali, non alimentiamo odio, scontri e pettegolezzi, ma crediamo di più nell’ arte nel valore del progetto, dell’ impresa locale sana ed ambiziosa, nell’ estetica e nell’ etica , nelle radici come alimento di ogni comunità ed in nuove storieal presente ed al futuro”.
Quasi fin ora, fossero risultate inappropriate e del tutto aride, pesino sterili, le nostre inabilità culturali banalmente messe al palo, che avremmo impiegato sin ora, solo per pettinar bambole così come per giocare a nascondino (sic!).
Se fosse dato, a me piacerebbe davvero nella sostanza e non con una finzione impacciata e certo meno lacunosa, capire la sostanza delle definizioni e delle elaborazioni di queste nobilissime argomentazioni culturali, del neo protestantesimo acritano.
Affinché io vi possa ritrovare davvero tutta la bontà delle sue declinazioni, che auspico esser discontinue rispetto al passato.Una pletora di A critanifino all’avvento di Hortus certo insensibili alle bellezze culturali, o del tutto indifferenti alle civiche virtù dell’etica e dell’estetica, ritratti a crogiolarsi in certe reazionarie involuzioni, che gli hanno fatto certo ignorarequanto sia bella e nobile la cultura in tempi elettorali; che nel frattempo altro non avrebbero prodotto se non il loro poco nobile “pelo sullo stomaco”.
Vorrei perciò riusciredavvero a coglierla qualche lodevole consistente novità, o meglio la piena vera rivoluzione, che attualmente sfugge alla mia incontenibile ignoranza.
Così come continuano a sfuggirmi i programmi ed i progetti di un assessorato alla cultura, che più che presenziare alle parate, altro non sa proprio fare e nemmeno più dimostrare.
Sono cittadina di un territorio sul quale è impresa titanica imprimere con la fatica del proprio lavoro, ed il contributo del proprio acume, la consistenza sin anche di certe belle pratiche culturali, che scandalizzano e a fanno inorridire, ciò che impropriamente si fa chiamare attività della buona politica (con un ossimoro).
In questi luoghi sappiamo bene che si è determinato un buco nero che risucchia nel vuoto apparire, certe esternazioni e certe attività; come l’inconcludente e lieve consistenza di ogni scelta a voler provare a ragionare anche negli sparuti luoghi pubblici di partecipazione collettiva alla promozione di attività culturali.
In Acri noialtri abbiamo impressa da tempo tutta la fatica e la sofferenza del vivere un territorio estremo: con una penosa viabilità periferica; una relativa consistenza economica, culturale e sociale proto-contadina; retrogradi retaggi familistici, che promuovono i figli dei padri militanti scialacquatori dei vecchi partiti.
Qui hanno trovato diritto d’asilo,solo(come ebbe a dire Sciascia) Pochissimi (gli) uomini; i mezz'uomini pochi , ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi : che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. (…)
Ad Acri la realtà è tutt’altra storia, disastrata e svantaggiata; quotidianamente dilaniata dalla latitanza egoista, “del perché a me no, e invece a te sì?
Assaliti dai colpi del fuoco di chi offende l’intelligenza richiamando solo alle responsabilità dei cittadini cosiddetti “cattivi” .
Questa è una comunità che nel frattempo è stata rifondatadall’egoismo e dalla crudeltà, dal bigottismo dei falsi religiosi, che non hanno mai perso tempo ad impartire l’estrema unzione a ciò che siamo stati a ciò che eravamo, ma non a quello che nel frattempo siamo diventati: nemici l’uno dell’altro, ostili e boriosi.
Una Comunità del tutto indifferente e al tempo stesso differente, incapace di “soccorrere” i propri presidi migliori, sin anche quello alla salute; e che attualmente ha nel mirino anche le sue scuole, (unico vero alto presidio di legalità e cultura).
Qui Io Vivo e condivido questa malata sofferenza di non riuscire né a discutere e nemmeno più a ragionare pragmaticamente, con certi rappresentanti, delle soluzioni possibili. Siamo in tanti ad essere quotidianamente imbrigliati da certa bigotta inefficacia, nel quale cedere alla vacua bellezza delle sole idee, resta più forte dello stesso sforzo di non doversempre nascondere, secondi più raffinati fini.
Il male non è l’intraprendente bellezza delle idee, ma l’assecondare le insane consuetudini storiche acritane,grondanti di familismi amorali, quelli che come dice Criaco per continuare a voler sostenere (…) “lasciamo(…) in groppa ai sogni dell’ altrove, lontano da questi luoghi, per spingerli poi noi stessi a vederli andare via, a produrre altrove il grano per sfamarsi e fra quelli che restano, (dove) i più, si mangiano il pane che ci tirano da su”.
Lui “ il nemico in Calabria lo ha individuato“ ha nome e faccia, è un grumo di potere che conosciamo benissimo, sappiamo chi sta al vertice e chi ne è alla base.
Una
classe politica e imprenditoriale predatoria che è anche mafia. Un tutt’uno criminale. Un sistema di potere locale violento, pervasivo, che sta nelle istituzioni, nell’economia. Un nemico forte che nella disgregazione del popolo ha il suo metodo ”.
Sarebbe perciò davvero bello veder realizzare in una società normale di una terra normale -come la Calabria e l’Italianon sono - i germogli di queste nuove utopicherivoluzioni, per far attecchire tutti i temi della materializzazione di certe sane ma dolorosissime culturali quelle appunto delle belle idee (in atto piuttosto che in potenza!)idee buone e giuste di civismo, attuate da tutti ad ogni latitudine italiana.
Non bastanoquindi certi registri nostalgici della grandezza del passato e men che meno quelli della retorica astrusa e teorica, se tralasciano di fare i conti con la complessità del presente e le necessità del vero futuro.
Giusto attuare l’eudemonia senza accontentarsi di quello che ci viene dato in sorte, ma fare il meglio con quanto abbiamo ricevuto, sarebbe un imperativo del buon senso oltre che della più corretta etica individuale.
E’ stato proprio Vito Teti ad insegnarci che la “ restanza” è un’azione, oltre che una pratica, che richiede consapevolezza e “mobilità”: un termine che contiene l’idea di una necessaria dinamicità, inquietudine, disponibilità a camminare e a viaggiare anche da fermi. Per Lui Restare non è l ’antitesi del viaggiare, ma del mettersi in discussione, della (nostra) disponibilità al disordine, alla scoperta, all’incontro.
La “restanza” non è separabile dall’esperienza dell’esodo del migrare. Le due esperienze vanno comprese assieme. Partire o restare è il dilemma che appartiene alla storia dell’umanità, chefin dall’antichità (…) ha conosciuto calamità, terremoti, frane, spostamenti, movimenti emigratori. Insomma, la stanzialità e la fuga sono due volti dello stesso fenomeno. Accanto al diritto di migrare, di spostarsi, (quasi sempre per costrizione) si può e si deve rivendicare il diritto complementare di poter restare e di sopravvivere con dignità nel territorio dove si è nati e dove è possibile configurare (adeguatamente) la propria “identità” personale e collettiva. Il rapporto con tutti i luoghi di Acri, ma soprattutto quello con i nostri intimi luoghi, in noi stessi; con la nostra vera comunità sociale, che attribuisce senso prima di tutto a ciò che è veramente ed alle trasformazioni.
Non basta porsi il problema di riguardare i luoghi, di proteggerli, di abitarli, viverli, renderli vivibili. Ma piuttosto si tratta di riuscire ad intessere Nuove relazioni e rapporti con quella comunità di cosiddetti stanziali, cioè con tutti coloro che sono rimasti, per connettere i collegamenti tra coloro che sono rimasti e coloro che sono partiti o partono.
I “ rimasti” sanno di poter/voler ri-scrivere il loro nome in luoghi che non hanno mai conosciuto appieno o vissuto; edi “ partiti” sanno di voler mettere il loro nome certe lapidi di quel paese dove certamente, non solo non ritornano a farsi curare, ma dove continueranno a non voler tornare a vivere, distratti dai propri più floridi e nordici hortus.
Riuscire a cogliere proprio questo sentirsi dislocati, tra il fuori ed il dentro, nel frattempo offrirà a questa comunità, il tempo e soprattutto il desiderio di volere svolgere sincere riflessioni sul come dover cambiare per davvero.
Riconoscere la volontà di saper finalmente guardare con onestà, dentro e fuori di sé, per scorgere sì, le bellezze, ma soprattutto per riuscire a scorgere le ombre, il buio, le devastazioni, le rovine e le macerie.
Allora Partiamodagli errori, dalle indifferenze, dalle apatie del presente, per invertire la tendenza ma soprattutto per non continuare ad irridere come ci ha insegnato I talo Calvino nelle sue “Le città invisibili”all' " inferno dei viventi (che) non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

PUBBLICATO 07/01/2020  |  © Riproduzione Riservata

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