Angelo era uno di noi, un ragazzo con cui nel 1958 abbiamo frequentato la terza Media nel nuovo edificio scolastico di Cappuccini, inaugurato proprio in quello stesso anno.
Un edificio che sostituiva la vecchia sede di Casalicchio ormai divenuta angusta e del tutto inadeguata alle nuove esigenze di numerose leve di allievi, che per la prima volta si accostavano al libro e all’istruzione superio-re di massa; un edificio che era stato concepito come presidio di uguaglianza e di democrazia nei popolosi quartieri di Casalicchio e Cappuccini, avocato ad accoglie-re in quegli anni anche i giovani provenienti dalle popolo-se contrade del di là Mucone, contrade che per la prima volta si affacciavano alla società e alla cultura dopo secoli di analfabetismo e di segregazione nel sottosviluppo.
Quel nuovo edificio, voluto soprattutto dall’illuminata politica del “senatore” per antonomasia, Spezzano, era stato collocato lì non a caso, di fronte alla chiesa del beato Angelo, oggi santo, per attestare che accanto al tempio di Dio doveva esserci anche la Scuola come tempio dell’uomo, come strumento di civiltà, di emanci-pazione, di riscatto delle genti dalla loro minorità, a cui da secoli erano state condannate senza appello alcuno.
Oggi quell’edificio non c’é più, è stato abbattuto in nome di una logica assurda e perversa, portata avanti da barbara ideologia, che, privilegiando interessi meschini di basso profilo culturale, ha volontariamente distrutto quel tempio, privando così intere generazioni di giovani del nutrimento della loro anima, della loro mente, della loro identità.
Sì, mi fa rabbia ogni volta che ritorno a Cappuccini e non vedo più quell’edificio, in cui ho conosciuto per la prima volta le declinazioni latine e il “De bello gallico” con la guida dell’ottimo professore Ciccio Guido, che insieme ad altri valenti docenti, in quegli ultimi anni Cinquanta, animavano quel tempio, da cui sono usciti validi profes-sionisti come il nostro Angelo Elia, che farà il ginecologo, e Michele Toscano che diventerà apprezzato docente di Cardiochirurgia.
In quella scuola il compianto Angelo brillava più di ogni altro per viva intelligenza e grande, esemplare serietà di impegno, che ne facevano già allora uno degli allievi più stimati da tutto il corpo docente, specie dal suo prof. Russano, originario di Bisignano, la cui mole fisica e intellettuale ne faceva un personaggio esemplare, molto stimato nell’ambiente scolastico e nel contesto sociale.
Io frequentavo, come studente lavoratore, quella scuola a diciotto anni, cinque in più di Angelo, e lo seguivo con ammirazione pure quando cominciò a frequentare, con la solita bravura, il ginnasio-liceo, anche perché egli abitava nelle vicinanze della stessa via Regina Elena, dove lavora-vo nella bottega di mio padre.
In quegli anni, gli ultimi del Cinquanta e i primi del Sessanta, Angelo cominciò a farsi apprezzare anche al di fuori della scuola in pregevoli rappresentazioni teatrali, organizzate con il patrocinio dell’indefesso parroco di san Nicola di Belvedere, don Antonio Pellegrino, cui egli, insieme ad altri giovani, era fortemente legato. E anche fra quei giovani promettenti Angelo occupava per la sua bravura, ma anche per la sua avvenenza fisica. un posto preminente.
Insomma, a farla breve e non mi vergogno di dirlo, ne ero un po’ invidioso, invidia, però, non maligna e fine a se stessa, ma vissuta come spinta ad andare oltre le proprie capacità, a promuoversi per cercare di non essere da me-no; quell’invidia salutare che, nell’età della prima gioven-tù, è sostenuta da grandi aspirazioni e speranze.
La famiglia di Angelo era di origine artigiana come la mia; la sua, quasi da sempre, era rappresentata da macellai di un certo rango, veri imprenditori, che nei primi del Nove-cento erano stati impegnati anche in politica nella gestione del comune ricoprendone cariche di rilievo. Ma Angelo, come la mag-gior parte di noi, approdata in vario modo al libro, aveva preso altra via, quella dello studio e delle professioni, e la professione di medico-ginecologo lo portò lontano dai luoghi di origine, a Trieste, in altri am-bienti, dove fino alla fine si è speso con tutta la sua bravura professionale, serietà e onestà intellettuale; e sono state proprio queste doti e valori che mi hanno spinto a ricordarlo e additarlo soprattutto ai giovani come esempio da cui farsi guidare.
Io l’ho perso di vista a lungo, ma quando ogni tanto ritornava in paese non mancavamo mai di vederci e abbracciarci con tanta affettuosità e stima reciproca, esternate da lui con quel suo modo di essere riservato e schivo da ogni smargiasseria, tratti inequivocabili di viva intelligenza e grande spessore intellettuale, che si coglie-va anche in quel suo sorriso fatto di malinconica dolcezza.
Addio Angelo, amico mio, mi mancherai come compagno caro del difficile viaggio della vita.