OPINIONE Letto 3981

I giovani: la partita del cuore!


Foto © Acri In Rete



L’intervista comparsa su Acri in Rete (clicca qui per rivederela, ndr) fatta al prof. Giuseppe Cristofaro, presidente della fondazione “Vincenzo Padula”, offre un pretesto per trattare in merito  a quell’approccio culturale che l’ente promotore  palesa su temi come la Cultura. Nonostante  assistiamo alla proliferazione di eventi  è ingiustificabile  l’atteggiamento coercitivo e talvolta con retrogusti ingenui di plagio, dove tutto si muove nella dinamica dell’ apparenza e dove difficilmente possono albergare idee innovative. Si evince come tutto vive nella giustificazione dell’indotto economico, piuttosto che di mezzi indirizzati ad opportunità concrete.
I tre capisaldi che reggono la società sono l’economia, la politica e la cultura. Se interpretate le ultime due possono incidere notevolmente sulla prima.
Questo ragionamento lineare diventa ostico nel momento in cui gli atti conseguenziali non si identificano in un linguaggio  condiviso.
E’ da considerarsi che la fondazione cerca di  muoversi sostanzialmente su due linee guida: la prima, quella di stimolare il tessuto e le risorse umane locali; la seconda, quella del confronto e del turismo culturale.
Il “Festival del libro per ragazzi” è un gesto nobile dell’entourage-fondazione ma ben distante dal procedere in una direzione volta a stimolare l’interesse reale nei giovani.
La lettura segue canoni di natura diversa rispetto allo studio, pertanto, è bene non cadere in fraintendimenti volti a generare confusione.
E’ appurato, oggi si legge poco e tanto si deve fare, lo confermano anche i dati nazionali. Dire, i ragazzi oggi non leggono  è facile, come altrettanto facile è obbligarli e monitorarli nella lettura.
Gli strumenti sono efficaci se seguiti da  logiche  di  indagini e  tavoli di discussione destinati a trovare soluzioni per arginare il dilagante fenomeno di analfabetismo funzionale nonché, l’avvento di quello emozionale.
Trattare di giovani è un terreno delicato da maneggiare, in virtù di quelle responsabilità cui bisogna capire e farsi carico.
La fiducia non è una crepa da riempire con l’acqua ma con una sostanza solida per evitarne nei  momenti di gelo l’ eventuale crollo.
Sento parlare di dodicimila  presenze esposte a trofeo, di millequattrocento libri elargiti, di coinvolgimenti di associazioni relegate al supporto istituzionale.
Questi ragazzi meritano sogni e non illusioni! Bisogna dare strumenti affinché possano coltivare  speranze, per contrastare la loro disillusione, aiutandoli così a venir fuori da quella sfiducia che sta divenendo sempre più cronica. Mi chiedo il perché non li si lascia liberi nella scelta di partecipazione, liberi di ricercare i propri habitat esistenziali.
Con coraggio e lungimiranza porli in una dimensione dove  si possa credere, riconoscersi e trovare la voglia di investire e sperimentare le proprie energie e le proprie idee.
La partecipazione passiva va ad alimentare nel futuro dell’individuo, probabilmente, una mancata partecipazione.  
Il supporto della fondazione semmai sta nell’ offrire progetti adeguati  per favorire la crescita culturale, cioè di studiare le vie attraverso le quali si forma l’uomo e di collaborare alla sua libera formazione, dove si riconosca un’azione  che stimoli una maggiore libertà di formazione culturale della realtà. Tutto produce cultura: i giochi infantili, le sofferenze, le punizioni dei genitori, i libri, il lavoro, lo studio libero o lo studio imposto, l’arte, la scienza, la vita.
Se invece si insegue la cultura dei numeri   non si va da nessuna parte. Le persone non sono numeri, né tantomeno rappresentano un veicolo di baratto per accedere ad ulteriori risorse economiche.
Il successo di un lavoro si misura su una crescita di partecipazione costante e non si raggiunge con esche, elargendo un ulteriore inganno.
A tal proposito mi chiedo perché l’invito alla scrittura non sia stato collocato in un panorama dove la platea sia realmente interessata, non come sta avvenendo e dove tutto diventa un facile compito in classe.
Se si continua a considerare l’individuo che si sta formando come un essere del tutto sottomesso all’educatore non vi sarà possibilità di includere ogni influenza della realtà circostante.
La responsabilità educativa risiede essenzialmente nel promuovere soggetti autonomi, liberi, consapevoli, responsabili. Al giorno d’oggi i problemi che riguardano in particolar modo i giovani si concentrano maggiormente nell’ambito esistenziale. Il fenomeno che accomuna i giovani è  la negazione dei valori, questi sono i risultati di una società evoluta forse in maniera eccessiva oppure del troppo conformismo.
Se s’interroga sul  loro futuro le colpe di tutto ciò vengono attribuite in primo luogo alla scuola, le affermazioni di molti giovani d’oggi è: la scuola non ci ha dato niente, questo perché  i giovani vedono la scuola non come un modo per arricchire il loro bagaglio culturale ma frequentano la scuola solo perché obbligati o per i  titoli rilasciati. Atteggiamenti originati da quella generazione che ha allevato nella cinica disillusione.
Ha smesso di credere in un sogno tradito che nutriva poca fiducia nel futuro e rifiutava i valori del passato.
I tratti fenomenologici peculiari in cui si esprime la società impersonale, ormai affollata da una moltitudine di persone senza personalità,  propendono a un egualitarismo schiacciato in basso, favorito da Internet e dalla frammentazione dei processi di comunicazione, senza spinte propulsive  in avanti, rimanendo invischiate in una inclinazione al voyeurismo inerte, senza impegno. Rispetto a questi temi, che coinvolgono così in profondità i giovani si auspica,  ognuno nelle proprie competenze, prenda in considerazione.
Quando si presenta l’occasione di riconoscere dei limiti, superarli con l’individuazione di persone capaci di adempiere all’arduo compito.  Se  continuiamo  a vivere facendo finta di non sapere diventeremo ignoranti e con la partita dell’oggi tutto ciò rappresenterebbe una sconfitta culturale per la città.

PUBBLICATO 04/11/2017  |  © Riproduzione Riservata

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