INTERVISTA Letto 2738

Intervista ad Angelo Minerva autore del romanzo “Il lieve fruscio dell’anima”


Foto © Acri In Rete



C’è una sottile malinconia che pervade “Il lieve fruscio dell’anima”. Un velo di rimpianto e disillusione, un’aura di occasioni perdute, a volte rincorse invano, altre afferrate improvvisamente.
E poi ci sono i personaggi di questa storia di persone ordinariamente straordinarie, tutte legate da un filo sottilissimo che, spezzandosi, le allontana inevitabilmente.
Occorre non spoilerare troppo la trama di questo bellissimo romanzo di un autore che ci conduce attraverso le strade di un’America lontana eppure vicinissima e ci parla sussurrando di passioni dirompenti e amori assoluti, siano quelli per la musica o per l’altra metà della mela.
Abbiamo chiesto ad Angelo Minerva di parlarci di questa opera commovente e drammaticamente iperreale.
Con noi ha già pubblicato “Il Cattivo maestro – Dante intimo”, un saggio sulle reali motivazioni che spinsero l’Alighieri a comporre “La Divina Commedia”. Adesso, con “Il lieve fruscio dell’anima” si cimenta nella narrativa. Volevo sapere in quale genere si trova maggiormente a suo agio e perché…
Non ho un genere letterario prediletto. Di certo mi appassiona scrivere, naturalmente di argomenti che conosco, che attraggono il mio interesse e che ritengo possano coinvolgere, in qualche modo, i lettori.
Con “Il cattivo maestro” ho voluto entrare nella dimensione più intima di Dante Alighieri e non soltanto per quanto riguarda le reali e del tutto umane motivazioni che lo hanno condotto a scrivere un capolavoro assoluto della letteratura mondiale quale la “Commedia”… Il saggio ha riscosso un certo interesse e giudizi positivi da parte della critica.
Riguardo al genere romanzo, devo precisare che “Il lieve fruscio dell’anima” non rappresenta il mio esordio narrativo, avvenuto, in realtà, qualche anno fa con l’opera dal titolo “Giacomino sulla luna”, sul tema dell’incomunicabilità all’interno del nucleo familiare. Inoltre, nel tempo, ho dato alle stampe anche alcune sillogi poetiche che hanno ottenuto molti apprezzamenti.
C’è un personaggio in questo mio nuovo romanzo che ha una sua teoria sulle differenze tra i generi musicali e non solo.
Si tratta di Henry, un violinista di colore, il quale sostiene che “la musica è una sola anche se ci si è inventati i generi, come per gli uomini le razze, i colori, le religioni; sempre pronti a discriminare a dividere, a preferire e a denigrare. La musica è tutta uguale […] così come gli uomini sono tutti simili e con pari dignità.” Ecco, potrei traslare questo concetto in ambito letterario, in fondo chi scrive è un alchimista della parola e dei significati di cui essa è carica, e qualsiasi forma venga data al testo in sostanza il risultato è lo stesso: approfondire tematiche comuni, sondare le profondità dell’animo umano, suscitare interesse, partecipazione e, se possibile, profonda emozione nel lettore.
Partiamo da Frank, il protagonista della sua opera. Una persona che, per inseguire il suo desiderio, ovvero quello di fare musica, non si pone scrupoli nell’abbandonare gli affetti che lo circondano. Allora le chiedo come mai ha deciso di incentrare il romanzo su un carattere così contraddittorio, con il quale il lettore difficilmente entra in empatia.
Frank incarna il talento, la vocazione all’Arte intesa nella sua accezione più raffinata ed esclusiva! È l’uomo che si lascia dominare dal desiderio di affermarsi in qualcosa in cui crede ciecamente, dalla volontà di realizzare un sogno che promette appagamento e felicità.
È nato con dentro la musica, per la musica e deve lottare contro tutti e tutto per realizzare il suo sogno di diventare un pianista jazz: l’ambiente provinciale in cui vive non lo asseconda e neanche il colore della sua pelle gli è di aiuto!
Non direi che si tratti di un carattere ostico o contraddittorio, anzi è fin troppo coerente nel perseguire lo scopo della sua vita. Nonostante ciò, pur in tanta determinazione, emerge dal suo animo un profondo senso di giustizia e di generosità. Ed è questo che crea una sorta di dicotomia.
La realizzazione di un sogno, del desiderio di tutta una vita impone naturalmente delle scelte, comporta dei sacrifici, in tal caso il distacco forzato dalle persone a cui il destino lo ha, in qualche modo, legato.
Le figure paterne escono con le ossa rotte dalle pagine della sua storia. Il padre di Frank ha abbandonato la famiglia senza pensarci due volte, quello di Margaret è un violento padre padrone che vessa il nucleo familiare. Cosa può dirci in proposito?
Si tratta di figure problematiche e molto complesse dal punto di vista psicologico. Il padre di Frank è un uomo dalla vitalità e dal fascino straordinari.
Sposatosi giovanissimo, non riesce proprio a essere fedele alla moglie, e non è presente nella vita dell’unico figlio, che del resto ricorda poco di lui. Il suo allontanamento è traumatico non solo per la moglie e il figlioletto, ma per tutta la comunità di cui fa parte. C’è da dubitare, però, che la sua sparizione sia dovuta a una libera scelta: troppi sono gli indizi che dovrebbero far pensare a qualcosa di ben più tragico di una semplice fuga d’amore… Il dottor Lowe, padre di Margaret, in effetti, è un uomo tormentato e violento.
Svolge con grande competenza e disponibilità la sua professione di medico, è stimato e rispettato dalla comunità di cui fa parte, però nell’intimità maltratta la propria moglie. Il suo cattivo rapporto con le donne è frutto di un trauma infantile mai risolto: sua madre lo ha abbandonato all’età di quattro anni, non potendo rinunciare al suo primo amore.
Questa non è certo una giustificazione al suo comportamento violento, ma può servire a condurre il lettore a scoprire i tormenti, le ansie, le debolezze, le contraddizioni che si agitano all’interno dell’animo umano e che sono sempre spia di traumi profondi.
L’America è un’altra grande protagonista della vicenda. Sia nei suoi aspetti provinciali e retrivi tipici delle piccole realtà che in quelli tentacolari e solipsistici della metropoli. Ne fuoriesce un ritratto estremamente lucido e disincantato del Grande Paese e delle persone che lo abitano…
È vero! L’ambientazione americana è un tutt’uno con i personaggi e con le vicende narrate. I caratteri peculiari della realtà periferica e di quella metropolitana sono espressi al massimo grado dalla mentalità e dai comportamenti dei personaggi del romanzo. Non si tratta solo di una società complessa, evoluta, multietnica, sfaccettata e contraddittoria, ma anche di un mito fortemente incrinato, che continua, però, nonostante tutto, a emanare un grande fascino e a esercitare una forte attrattiva. Al di là di ogni contingente e discutibile fenomeno socio-politico, persistono nella mentalità americana la necessità di poter contare sulla tradizione, benché relativamente recente, il bisogno di trovare e alimentare delle robuste radici comuni pure in un coacervo di etnie e di razze o, ancora meglio, il desiderio tutto umano di affermare le proprie caratteristiche e il proprio senso di appartenenza attraverso la creazione di una sorta di epopea fatta di ricordi più o meno remoti, in parte reali in parte fantasiosi, che, sedimentati nella memoria collettiva, possano costituire una base solida, stabile e quindi rassicurante per l’esistenza di ognuno. Il poeta Walt Whitman non compare a caso nell’ordito della trama…
Forse le figure più commoventi e riuscite del suo libro sono Martha e Mary Smith, le sorelle che vivono di ricordi e che, nello straziante finale, assumono l’evanescenza di figure fantasmatiche. Quasi immagini di celluloide che, per un’ultima volta, ribadiscono l’importanza della memoria e della rimembranza…
Martha e Mary Smith rappresentano il trait d’union tra presente e passato, un passato che sarebbe destinato a perdersi per sempre senza di loro, senza i loro racconti. I ricordi familiari, la fierezza e il senso di appartenenza riempiono le loro vite emotivamente vuote. C’è stata solo una gioia autentica nelle loro esistenze, il primo, ingenuo e breve innamoramento, e poi un dolore assoluto, la drammatica perdita della sorella minore Meg.

Dal portico della loro casa osservano la vita degli altri come fanno con le soap opera, finendo per preferire queste ultime, dal momento che la realtà, davanti ai loro occhi, sta diventando sempre più assurda e poco comprensibile. Quasi in extremis riescono a trasmettere a Marc, il loro unico e lontano nipote, grazie a delle telefonate settimanali, la memoria degli avi, le tante storie giunte fino a loro, in definitiva, la fierezza di appartenere alla famiglia Smith. In questo estremo, forse disperato, anelito riescono, anche dopo la morte, a proiettare il loro mondo interiore, fatto di luci e di ombre, di ricordi e di sentimenti, su un ideale schermo cinematografico, grazie al quale l’unico superstite della famiglia può diventare il loro prolungamento naturale, l’ultimo baluardo del ramo principale della famiglia Smith sul suolo americano.

Comunque, la complessità del romanzo non credo possa consentirne una facile e completa sintesi.
L’opera, che si presta anche ad altre, diverse interpretazioni, vuole essere soprattutto un invito all’ascolto delle voci interiori che, sommesse ma dense di profondi significati, parlano nell’anima di ognuno, quelle voci misteriose e intime che nel trambusto giornaliero dei nostri tempi difficili e drammatici è arduo, se non impossibile, anche solo percepire!

PUBBLICATO 28/09/2017  |  © Riproduzione Riservata

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