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Geografie di confine

Foto © Acri In Rete
Angelo Minisci
Firenze - Geografia di confine, è una visione trasversale, materiali diversi, mani del fare discordi rendono possibili mondi differenti. Scaturisce una poetica del frammento capace di offrire potenza e vitalità, scambio, scintille fra parti, un piccolo fuoco; un’espressione non ermetica che narra un’emozione sottilissima. In che modo un artista si può rapportare con il luogo?
«È davvero contemporaneo chi non coincide perfettamente col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo». Così parlò Giorgio Agamben in apertura del suo libro edito da Nottetempo, per la collana I sassi. Ma vale anche l’ironica sorta che vedeva nel 1979, Lyotard affermare una suggestiva formula per descrivere la condizione della contemporaneità: «possiamo considerare “postmoderna” l’incredulità nei confronti delle meta narrazioni». Se è ancora plausibile dubitare sulla reale efficacia della meta narrazioni, tuttavia non possiamo ignorare la suggestione che inevitabilmente esse esercitano. La loro fecondità è forse da rintracciare all’interno di una funzione simbolica, problematicamente orientativa nei confronti dei saperi attuali. Tra i grandi racconti della cultura occidentale uno continua a sviluppare la sua presa da ormai due secoli: la fine dell’arte o la morte dell’arte…oppure una visione alternativa.
La mostra, è pensata per essere inserita in un contesto non convenzionale, e per costruire dialoghi con le cose che abitano lo spazio, le opere sono interventi sottili, in qualche modo mimetici. Si tratta di una raccolta di opere e oggetti che mostrano forme espressive diverse, mappe e mappamondi che mai come in questo momento storico sono diventati oggetto dell’attenzione di molti creativi. “Geografie” si sviluppa lungo l’intero percorso espositivo del Museo di Villa Pecori, dove le opere si inseriscono in modo armonioso nei delicati equilibri dello spazio museale. E’ una visione trasversale, materiali diversi, mani del fare discordi rendono possibili mondi differenti.
 E’ la forza della sua visione che costruisce la potenza stessa, e questo non dipende dalla complessità degli strumenti e dei manufatti-artefatti messi in gioco. Questa collisione delle parti come tentativo anche scontato di creare scambio, un “éclat”, delle scintille, un piccolo fuoco, un insistere sulle differenze come valore. Geografia di confine è un nuovo inizio, il progetto non insegue problemi che sembrano correre troppo veloci ma si ferma a riflettere sull’essenza stessa di questi problemi, potremmo ridefinirla come una poetica del frammento. Una migrazione su territori altri, già definiti in passato ed oggi sono una nuova visione.
Il progetto di mostra comprende, installazioni, performances, moda, design, fotografia il cui comune denominatore è la capacità di parlare del presente attraverso linguaggi tradizionali (la musica, le arti visive, ecc.) e innovativi al tempo stesso, perché reinterpretati tramite gli strumenti dati dagli ultimi sviluppi tecnologici. L’allestimento è un racconto ( interrotto dalle liriche di Dino Campana …viaggiatore anche lui con noi)  che vuole diventare stimolo e nuovo punto di vista: come proposta e strumento d’indagine sulle contraddizioni del reale, sul proprio ruolo in una società sempre più mobile e culturalmente contaminata, su come sia ormai condizione necessaria e imprescindibile l’acquisizione di una forma mentis aperta al nuovo, al diverso, alla mescolanza culturale e sociale come costante dimensione del quotidiano. Gli artisti vivranno il tempo di quel tempo e da quello stare reagiranno come cittadini, viandanti o pellegrini di un messaggio; testimoni attivi e passivi nello stesso momento, ma anche divulgatori di una reale sintesi tra natura e spirito.
Ogni spazio dialogante è occupato da segni diversi, da opere in compimento di verità e di quell' “incanto” a cui possiamo associare l'impulso emotivo e reattivo del dispiegarsi di una razionale coinvolgenza. Uno stare tra l'animus e il corpus di se stessi: il mistero dell'uomo che è nell'uomo stesso. Non è un “viaggiare” imperioso, è il viaggio dalla città, come inizio-paterna a quella della città come origine - del nonno, in cui nella prima si ha una costruzione ideale rappresentata, nella seconda il legame e di conseguenza i linguaggi diventano sogno, racconto immaginativo. La metafora vuole essere il punto di vista tra il ricordo e la possibile percezione: l'attesa e il compiere. E' questa la progressività e la traduzione di uno spazio im-probabile, in cui gli artisti rendono “elemento” speculativo l'indagare e il visualizzare.
Opere che si frammentano tra percorsi ideali e possibili composizioni formali, dove l'idea di uno stare diventa pensiero nel frammento transitivo tra evocazione e vocazione.
Ogni concetto ha un suo abitare e sarà condiviso dal visitatore, in una sorta di crocevia meditativo e in tracce intuitive. L’OPERA SI PRESENTA.
L'evento ospita artisti che si esprimono con la pittura, la fotografia, l’installazione, il designer, le arti decorative, la scultura, il video, la recitazione, la moda, insomma tutte quelle espressioni che fanno immaginazione del viaggio interiore verso una reale visione esteriore. Tra gli invitati sono presenti anche le opere pittoriche di Emilio Servolino, Peppe Cassavia e le opere in fusione di Leonardo Corina. Più che di una mostra, si tratterrà di un vero percorso, una specie di geografia variabile, data questa dagli stessi confini; variazioni allargate su un tema che dà origine a un fondamento: la possibilità di un presentimento della progettabilità nascosta, per dar vita all'originaria visione. Un cammino a ritroso che scava nel profondo quotidiano e che sia, poi, in grado di illuminare tracce e segni di una simbolica ubicazione, un luogo-città dove gli artisti si trasformano in “profughi”, migranti…. che conversano tra il tempo e il suo tempo, tra il passato e il presente, o meglio, tra l'antico e il nuovo. Un Geografia di confine dove i limiti non esistono ma sono i mezzi prefigurati per osservare orizzonti e slanci utopici. E' il percorso di un cantiere, di un luogo nel luogo, in un posto che esiste e che raccoglie le ambivalenze storiche, ma è anche uno spazio possibile , una scena prospettica dove piazze e strade si incontrano e trovano segni in quelle agorà probabili dove l'idea e quei segni si vanno acontaminare, così da costruire una totalità vivente. Piazze e strade che sono stanze e corridoi, angolie cortili, scale e colonne, pilastri e pareti dove ogni linguaggio attraversa il presente e cerca nelpassato un'armonia.
Essere contemporanei, dunque, significa essere in grado di percepire il buio del presente. Ciò vuol dire che riuscire a vedere il proprio tempo non è qualcosa di scontato, ma è il frutto di un’operazione filosofica. Ogni opera è connessa alle altre, quasi come una loro introduzione, ma contemporaneamente rimanda a visioni alternative, puramente mentali. “Ogni immagine è, evoca o coincide allo stesso tempo con la parola che la presenta, la commenta, la illustra”. La narrazione, descrittiva, permette di considerare la mostra da diverse prospettive, inducendolo a confrontarsi con la propria conoscenza del mondo e della sue forme. Il disegno sgrammaticato si presta a figure carnevalesche che incespicano sulla superficie materica dei ‘riquadri’.

PUBBLICATO 01/06/2016





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