Il voto regionale in Calabria non è preso sul serio
Walter Nocito e altri
Al fine della conformità a Costituzione, l’atto adottato in tempo di pandemia (durante la vigenza dello stato d’emergenza nazionale) deve rispettare i canoni della temporaneità, proporzionalità e ragionevolezza.
Il decreto-legge n. 25 del 2021 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo l’8 marzo), al contrario, appare carente, con riferimento al rinvio della finestra elettorale settembre-ottobre, non solo di tali requisiti, ma anche dei suoi presupposti, ovverosia della sussistenza di casi straordinari di necessità e di urgenza. Il 4 marzo, giorno in cui è stato adottato il decreto-legge, la Calabria era in zona gialla, caratterizzata da un rischio di contagiosità del virus di tipo moderato (e, alla luce dell’ultima ordinanza del Ministro della Salute, lo è ancora oggi). Il Governo ha quindi rinviato di ulteriori 5/6 mesi le elezioni – con un balzo fuori misura – in una Regione che avrebbe già dovuto votare, secondo una prima decisione, il 14 febbraio e, quindi, l’11 aprile 2021. Il rinvio drastico è dovuto al fatto che si è deciso di accorpare le elezioni regionali in Calabria a tutte le consultazioni elettorali previste per l’anno 2021 (elezioni amministrative nei consigli comunali e circoscrizionali che vanno a scadenza; elezioni suppletive per i seggi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; elezioni nei comuni sciolti per fenomeni di infiltrazione mafiosa, ovvero a seguito di annullamento delle elezioni; elezioni nei comuni i cui organi devono essere rinnovati per motivi diversi dalla scadenza). Un election day, che tratta in modo eguale e unitario situazioni differenti. Ma quale sia la motivazione di questo rinvio delle elezioni regionali calabresi, accomunate ad altre elezioni di natura differente, non è comprensibile sul piano giuridico né su quello della ragionevolezza. Non può essere sufficiente un generico rinvio alla necessità di «assicurare che le consultazioni elettorali previste per l’anno 2021 si svolgano in condizioni di sicurezza per la salute dei cittadini, tenendo conto della campagna vaccinale in corso [e a quella di] intervenire con urgenza, al fine di evitare, con riferimento all’espletamento delle suddette procedure, fenomeni di assembramento di persone e condizioni di contiguità sociale al di sotto delle misure precauzionali adottate, ai fini del contenimento alla diffusione del virus». Inoltre, è bene ricordarlo, l’atto adottato deve contenere misure normative che, vieppiù in un tempo di emergenza, siano rispettose del criterio del bilanciamento ragionevole e proporzionale, e questo perché non si possono limitare i diritti fondamentali al di là di ciò che risulti come strettamente necessario. Mentre le elezioni amministrative dei comuni vengono rinviate dopo aver prorogato i relativi organi in scadenza (senza alcuna diminuzione dei propri poteri), in Calabria con il rinvio delle consultazioni elettorali ciò che si dilata è la prorogatio, vale a dire la persistenza di organi già scaduti che sono (dovrebbero essere) impossibilitati a esercitare pienamente i propri poteri. Il decreto, dunque, ignora la particolarità del caso Calabria, che non è omologabile a quelli a cui è stato accomunato. Tale particolarità sta nel fatto che seppure siamo in una situazione di pandemia, ci sono questioni da affrontare che non necessariamente sono legate all’emergenza sanitaria e che non possono più tollerare attese senza termine; al Consiglio, alla Giunta e agli stessi elettori calabresi si continua, invece, a chiedere di attendere. Eppure il momento è grave, anche perché questo è il tempo in cui il Governo nazionale elabora i piani di investimenti delle risorse dell’Unione Europea concernenti il Next Generation EU e, dunque, va da sé che solo un governo regionale politico pienamente legittimato dal voto democratico del corpo elettorale potrà compartecipare e contribuire alla definizione dei piani di sviluppo, e controllare affinché gli obiettivi e i vincoli di coesione economica, sociale e territoriale vengano effettivamente rispettati. Si protrae, inoltre, il tempo di un governo che è presieduto da chi non è mai stato eletto (in una forma di governo in cui il Presidente è direttamente eletto) e che si troverà a governare per un tempo superiore a quello del suo stesso predecessore. Parimenti si allunga la durata di un Consiglio che conoscerà un periodo di quiescenza mai verificatosi nell’intera storia repubblicana (dai 10 ai 12 mesi). Il Governo Draghi nella misura in cui ha predisposto una finestra elettorale stretta e spostata troppo in là nel tempo non ha riconosciuto pienamente la competenza, che è del Presidente della Giunta regionale, di fissare le elezioni. Il Governo più propriamente avrebbe dovuto disporre un intervallo temporale lungo (compreso da maggio a ottobre), un periodo, cioè, in cui il Presidente f.f. avrebbe dovuto indire le elezioni nella prima data disponibile alla luce della concreta curva pandemica, e naturalmente anche in ragione del perdurare dello stato d’emergenza che, ad oggi, è protratto solo fino al 30 aprile. Questa scelta avrebbe costituito un punto di bilanciamento ragionevole (per chi scrive) tra tutela della salute ed esercizio del diritto costituzionale al voto. Il bilanciamento proposto, invece, risulta sbilanciato per il fatto che, paradossalmente, non si è prodotto alcun bilanciamento; la decisione è stata quella di rinviare, secondo la stessa logica semplicistica che ha portato a disporre la chiusura delle scuole (anche se come retoricamente si faceva rilevare con qualche enfasi, almeno a livello nazionale, queste sarebbero state le ultime ad essere chiuse) senza affrontare i problemi collaterali, come quello dei trasporti pubblici, dell’affollamento, etc., e soprattutto senza predisporre e rendere operativo un vero e proprio piano vaccinale. Si rimane perplessi per la ‘facilità’ con cui si minimizzano le ricadute di una scelta che consegnerà l’‘ultima’ Regione d’Italia allo stagno del suo immobilismo in una delicata fase che invece richiederebbe una risoluta e legittima(ta) partecipazione e azione regionale sia sul piano prospettico delle misure connesse all’impiego delle risorse europee che su quello della definizione di impellenti problematiche che riguardano l’oggi (e non il domani). Un Consiglio che continua ad essere in prorogatio comporta comunque che qualsiasi attività legislativa sia sottoposta al rischio di una dichiarazione di illegittimità di una qualsiasi legge – che non rispetti i vincoli di ciò che è dovuto e considerato costituzionalmente indifferibile – adottata in un regime in cui i poteri dell’organo legislativo regionale sono ridotti. La possibilità rimarrebbe altissima con ricadute negative sulla certezza del diritto. E ancora, si rimane perplessi per il fatto che il decreto-legge è stato predisposto dal Governo senza la guida del ‘faro costituzionale’ che, per il tema qui trattato, è quello degli articoli costituzionali 1 (sovranità popolare) e 126 (elezione degli organi) e che avrebbe dovuto spingerlo a non prolungare irragionevolmente una condizione patologica e di carenza costituzionale. Di fatto era (è) necessario ripristinare il più velocemente possibile la legittima rappresentatività degli organi collegiali, venuta meno per l’improvvisa e prematura morte della Presidente Jole Santelli avvenuta il 15 ottobre 2020 e che ha comportato (con irragionevole ritardo) lo scioglimento dell’organo legislativo solo l’11 novembre. Più che a una limitazione/contrazione della libertà politica pare, dunque, che si sia dinanzi ad una sospensione della stessa libertà. Non si è deciso, ad esempio, di procedere con un rigido lockdown per permettere una vaccinazione di massa (questa sarebbe stata una misura ragionevole, o comunque motivata), ma di limitare in modo drastico alcune libertà, e ora, in particolare, quelle che legittimano l’esercizio democratico del potere. Invece di assicurare un efficace svolgimento della campagna vaccinale (che, lo ricordiamo, è iniziata il 27 dicembre 2020), si rimanda e si dà per scontato che è impossibile votare ad aprile, così come a maggio, ovvero a giugno, ed anche a luglio e ad agosto (siamo o no in tempo di emergenza?), ma solo e non prima di settembre o ottobre. Il Presidente f.f. potrà decidere le 4 date possibili (di domenica e di lunedì) nella fascia temporale individuata. Si può scommettere che la decisione sarà quella di votare a ottobre, perché si dirà che non si può fare campagna elettorale durante il periodo balneare a 40 gradi all’ombra. Ma cosa sarebbe successo se il Presidente Mattarella avesse dovuto sciogliere le Camere nel caso in cui il Presidente Draghi non avesse accolto positivamente il suo invito a formare un nuovo Governo? Si sarebbe andati a votare, per quanto in una situazione molto più problematica perché estesa all’intero territorio nazionale ma comunque in sicurezza. Allo stato si attende – in Calabria – la decisione del Presidente f.f. sulla data delle elezioni, ma nel frattempo lo stesso Presidente decide di chiudere le aule in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado, al di là della comparsa di casi e focolai da COVID-19, al di là della previsione per cui l’incidenza cumulativa settimanale dei contagi sia superiore a 250 casi ogni 100.000 abitanti, al di là della previsione per cui in zona gialla le misure stringenti di isolamento in ragione della circolazione di varianti di SARS-CoV-2 devono essere adottate con riguardo ad un preciso e non generico ambito territoriale. In definitiva, in Calabria, il diritto politico elettorale, come il diritto all’istruzione, sembrano, a questo punto, non essere presi sul serio dalla politica nazionale e regionale. Ugo Adamo, Guerino D’Ignazio, Silvio Gambino, Giampaolo Gerbasi, Greta Massa Gallerano, Walter Nocito, Fernando Puzzo, Anna Margherita Russo (costituzionalisti e costituzionaliste UniCal) |
PUBBLICATO 10/03/2021
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