La pluralità dell'arte. Linguaggi multipli dell’espressione artistica


Angelo Minisci
«Un’immagine è più di un’immagine
e a volte più della cosa stessa di cui è l’immagine». P. VALÈRY. Una pluralità di fondo, ovvero la comprensione dell’attesa. Uno scritto personale. L’incipit introduttivo a questo scritto potrebbe essere: questo non è una introduzione alla mia mostra. Ceci n’est pas un catalogue. Ogni lavoro ha per sua natura una ricerca biografica del vedere l’anima del mondo o semplicemente di definirne le sfumature. Un lavoro attento, meticoloso, quasi maniacale, metrica di precisione e allo stesso tempo di leggerezza del vivere. Ogni opera è connessa alle altre, quasi come una loro introduzione, ma contemporaneamente rimanda a visioni alternative, puramente mentali. “Ogni immagine è, evoca o coincide allo stesso tempo con la parola che la presenta, la commenta, la illustra”. «È davvero contemporaneo chi non coincide perfettamente col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo». Così Giorgio Agamben parla in apertura del suo libro edito da Nottetempo. La pluralità della forma rispecchia il nostro stesso essere plurali in quanto uomini. La storia, oggi così poco amata nel sistema dell’arte contemporanea, insegna che non vi è un ordine ma piùordini, che il mondo si riconosce nella diversità e la sua singolarità si fonda proprio sulla pluralità. Una complessità che, in determinate circostanze, può essere resa più sintetica, come, ad esempio, in alcune fasi dell’attività didattica, ma che non deve essere mai trascurata, per non perdere i migliori concetti che un’opera può trasmetterci. I diversi fattori che la determinano sono del resto in stretto contatto con il movimento e la fluidità delle idee, con il loro confrontarsi e modificarsi, resi necessari dai rapidi mutamenti delle vicende contemporanee. L’incessante evolversi della realtà coinvolge tanto l’arte quanto la concezione che abbiamo di lei. Esiste un altrove sinestetico, là dove tutte le percezioni si innervano in un gioco di relazioni che si compiono annodandosi e disciogliendosi l’una dall’altra, un altrove che crea il momento in cui le percezioni non solo si richiamano, ma si necessitano, si “significano” e si esprimono. I contorni oggettuali o multimediali che, in ogni modo, delimitano e fermano l’identità di un’opera, cambiano nel momento che esiste assieme a noi, quando non è astrattamente pensata, ma direttamente vissuta. Così inteso, il rapporto critico con l’arte, diviene un dialogo ininterrotto e le stesse letture si modificano nel tempo. Se noi cambiamo, perché l’esister. Per questo l’importanza storica di un’opera può non coincidere, nel tempo, a una sua altrettanto efficace intensità espressiva. La relativa stabilità materiale di un oggetto d’arte, contrasta con l’accumularsi delle mutazioni che intervengono progressivamente sulla sua percezione e sul concetto che ne abbiamo. Con il trascorrere degli anni è possibile valutare e rendersi conto di questi aspetti, dove la memoria, l’abitudine e la nostra capacità di analisi giocano un ruolo fondamentale. Seguire gli indizi presenti nelle rappresentazioni della quotidianità del reale è una tentazione molto forte, che rende facile smarrire il punto di partenza. I miei lavori, allora, sono forse le pareti della mia stessa mente, come profondità da raggiungere e iniziare così a disporre, catalogare, archiviare rumori, sogni e saperi. La spontaneità delle sensazioni come sorgente, il disegno come struttura reticolare per catturarle. Ed è proprio il pensiero, il concetto, che diviene centrale per la mia poetica, a discapito del prodotto che è strumento. Ciò che posso chiamare presente. Il linguaggio figurato è per me il mediatore tra l'uomo e il suo mondo, tra la natura e la cultura. Fare il fondo, osservare dove la linea d’orizzonte si lascia vedere tra i riflessi della luce, fa di un lavoro artistico quel senso d’attesa. Il “paesaggio” è di fondo, sta lì come se si comprimesse tra il desiderio e il favore. È un gesto, un segno lasciato evanescente nel tentativo di raccogliere un punto di vista. Quest’attesa definisce un luogo, un posto dove fermare lo sguardo e tracciare quel ponte che fa avvicinare le due possibilità, Paesaggi di fondo, ovvero la comprensione dell’attesa. Essere contemporanei, dunque, significa essere in grado di percepire il buio del presente. Ciò vuol dire che riuscire a vedere il proprio tempo non è qualcosa di scontato, ma è il frutto di un’operazione di pensiero. Il segno/gesto che marca il vuoto nella pittura. Leggerezza, impalpabilità e silenzio. Tutto ciò disarma. Sapere che le immagini rivelano, ingrandite, alcune parti del nostro io diventa sì, importante per molti versi, ma anche irrilevante per certi altri. Disegni ordinati come un ritratto dell’io, come difronte ad uno specchio il quale diventa finestra da cui osservo luoghi e personalità che formano l'obbligatorietà del tempo, ma anche la possibilità di uscire fuori dalla finestra e catturare tutte quelle vibrazioni espressive che celano profonde correnti di ansie e riflessioni. Noi siamo irripetibili. In ogni istante. L´istante in cui l´immagine è catturata per intuizione, è un istante di totale presenza. Anche se non conoscessimo i nomi degli oggetti dell'essere, avremmo comunque la sensazione che spazio, luce, ambienti e atmosfere si siano fuse insieme – sintetizzate – per restituire l’umore di un dato tempo sospeso, bloccato. Poetiche tanto da rasentare il mutismo. Raccontano anche dello spostarsi leggero dell’atmosfera (intesa come aria), mentre si cammina. Davanti alle immagini ci si ferma, rendono visibile quel che resta invisibile e sottraggono ai corpi la loro potenzialità di rappresentazione. Un Tempo fermo. “Quando le cose stanno come devono stare, le narrative del senso comune non sono necessarie”, vien da sé ed è chiaro. Se il “noi” è la fonte della possibilità dell’emergere dell’io”, è possibile sostenere che l’essere emerge, accade. Nel suo accadere esprime una molteplicità di esperienze, alcune delle quali se pur nella complessità, sono il nostro essere viandanti. Quindi egoisti verso gli affetti più cari ma sinceri nell’esserci intorno a loro. Catturare sensazioni è un’attività particolare, che richiede uno strumento arcaico, la ‘pittura di una volta’, lavorare partendo da lontano, quindi, forse dal profondo del tempo. Mi piace pensare che la pittura sia nata in una grotta e che queste siano pitture parietali in cui si fa largo un sedimento d’immagini che si ancorano al telaio, avvinghiandosi come se fosse l’unico posto dove andare. La questione dell’unicità sicuramente non è facile da risolvere, in un certo qual modo è una questione insolita, strana. Che cosa può essere definito oggi unico, incomparabile, eccezionale o prezioso? L’attimo è irripetibile. E la sua immagine non è nulla. Mai potrà, l’immagine, restituirci l’unicità di quell’attimo: irripetibili i sentimenti, i pensieri, le emozioni. Il magico incontro di sguardi che in un istante si è generato, e sciolto un attimo dopo. Noi siamo irripetibili. In ogni istante. La mostra diviene mobile, può essere spostata e portata via, può trovarsi qua e là contemporaneamente e può svolgersi sempre di nuovo. E questo senza essere un “sottoprodotto” o una mera documentazione, perché in questo caso il concetto dell’originale o dell’autenticità non vale, esiste unicamente la riproduzione. Una mappatura che tenta la topografia di un territorio inesplorato e difficilmente esplorabile, una zona dove diventa inutile affidarsi alle nostre certezze sensoriali. Nel dizionario italiano, tra i significati di Movimento si può trovare questa definizione: “qualsiasi fenomeno di aggregazione e mobilitazione degli individui che, a seguito di cambiamenti socio-economici, sviluppano una coscienza della propria identità di gruppo sociale e si impegnano attivamente per un cambiamento della propria condizione o del sistema politico stesso.” La spontaneità delle sensazioni come sorgente, il dipinto come struttura reticolare per catturarle. “Ci sono due modi per superare la figurazione (cioè, insieme, l’illustrativo e il narrativo): in direzione della forma astratta, oppure verso la Figura, Cézanne la chiama molto semplicemente: la sensazione”. Così Deleuze sottolinea quanto sfuggente sia l’oggetto che tentiamo di analizzare, tanto inafferrabile da poter esser figurato letteralmente con una parola francese particolarmente suggestiva: sensation. Catturare sensazioni è un’attività particolare, che richiede uno strumento arcaico, la ‘pittura di una volta’. Semplicemente il fare di una volta. |
PUBBLICATO 22/12/2019

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