Leucolea: la “bianca oliva” e la divina luce
Raffaele Cirino
È appena trascorsa la ricorrenza di Santa Lucia e, come ogni anno, il rione Picitti di Acri ritrova per un giorno almeno la vitalità di un tempo. Un flusso costante di credenti i quali per raggiungere la vecchia chiesetta di S. Giorgio (che ospita la statua della Signora della Luce), costeggia anche l’antico palazzo Sprovieri in corso di ristrutturazione. Tuttavia, pochi sanno che nel giardino antistante il versante Sud del palazzo dimora un’antichissima pianta di Leucolea che, dal greco, significa “bianca oliva”: cioè le sue drupe rimangono di colore bianco anche in piena maturazione. Alcuni studiosi la chiamano Leucocaso, ossia proveniente dall’isola di Kasos posta nella parte meridionale del mare Egeo.
Fatto sta che ai tempi della Magna Grecia, questo era un albero diffuso prevalentemente in Calabria, mentre dal VI-VII secolo (d. C.) in poi coloro che hanno contribuito a rendere millenaria la pianta furono i monaci basiliani, cioè seguaci di San Basilio Magno arcivescovo di Cesarea di Cappadocia (330-379). Questi religiosi italo-greci la coltivavano nei pressi di monasteri ed edifici di culto per produrre un olio chiaro e candido di cui glorificavano la purezza quale sinonimo di sacralità, rinominandolo per ciò “olio del krisma”. Il prezioso liquido veniva, infatti, usato nelle funzioni religiose quali il battesimo, la cresima e l’unzione di malati, nonché per dare solennità alla incoronazione di imperatori, Papi ed alte cariche pubblico-religiose bizantine. Per la sua caratteristica limpidezza l’olio era utilizzato in tutti i luoghi sacri, al fine di alimentare lampade a luce chiara che quasi non producevano fumo e odori grevi. Si pensi che nel 2011 un arbusto di questo, ormai, rarissimo vegetale è stato portato in dono al Papa e innestato nei giardini vaticani. In effetti, col passare dei secoli la pianta di Leucolea si è quasi estinta del tutto, ne esistono sporadici esemplari nei pressi di Saracena, nella Bovesìa e a Rossano dove è stata riprodotta negli ultimi anni (Flavio Sposato ne ha individuato altre due unità sul territorio acrese, in piena campagna). Quella che adorna i Picitti ed il giardino Sprovieri, tuttavia, è estremamente suggestiva. Ridarle considerazione, cura e vigoria significherebbe far rivivere concretamente una buona fetta di storia sacra e profana, sarebbe come far interagire metaforicamente l’antico olio che genera luce celestiale e la divina vergine che ne concede la visione. |
PUBBLICATO 15/12/2015
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