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Intervista a Peppino Mazzotta

Foto © Acri In Rete
Piero Cirino
Tra i protagonisti del Premio Padula, la cui cerimonia di premiazione è in programma per sabato pomeriggio, ad Acri, nel Palazzo Sanseverino-Falcone, c’è Peppino Mazzotta, attore calabrese, originario di Domanico, il celebre ispettore Fazio de Il commissario Montalbano.
Mazzotta, quale significato annette a questo riconoscimento?
Lo interpreto innanzitutto come il risultato di questo straordinario successo di Anime nere, un film dall’impatto molto forte. Dal punto di vista personale, si tratta di un progetto che mi ha dato la possibilità di mettermi in mostra in un ruolo diverso rispetto a quello che nella serie televisiva mi ha fatto conoscere dal grande pubblico.
Lei ad Acri è già stato alla fine degli anni ottanta, quando, ancora adolescente, partecipò a una iniziativa della compagnia L’occhio del ciclone. Cosa ricorda di quella esperienza?
Ero appena diciassettenne, si tratta di una vita fa. Ho ricordi molto sfumati, come, ad esempio, il lavoro teatrale: si trattava di un testo dell’Escurial, di Michel De Ghelderod
Ricordo comunque i posti, le persone e anche il locale in cui andavamo a mangiare.

Il suo lavoro la porta spesso lontano dalla sua terra. Cosa si porta dietro della sua calabresità?
Intanto questo dato esiste. E’ un senso di appartenenza culturale fortissimo, una struttura molto radicata.
Te la porti dietro per sempre, anche perché nel mio caso non si tratta solo di un calabrese che va via dalla sua terra per poi rimanervi lontano. In Calabria, non solo ci sono nato, ma qui sono cresciuto e mi sono formato. Insomma mi sento un calabrese vero.

Che tipo di messaggio della Calabria veicola Anime nere, se vogliamo andare oltre lo strato superficiale?
Innanzitutto penso sia giusto non leggere il film come un’opera che propone la dicotomia tra positivo e negativo della Calabria. E’ una analisi in cui si mette in evidenza una cosa che esiste.
Il film apre una riflessione molto sana sulla realtà calabrese, che non può limitarsi solo alla ‘ndrangheta, ma che si apre anche a una sorta di rielaborazione del male.
Insomma mette in campo molti elementi, con un finale aperto.

Il ruolo dell’ispettore Fazio, ne Il commissario Montalbano, indubbiamente le ha garantito una straordinaria popolarità, ma non teme il typecasting, essere cioè imprigionato in questo successo dai confini ben definiti?
Il pericolo indubbiamente c’è. Tuttavia negli ultimi tempi abbiamo assistito a una polverizzazione dell’offerta audio – televisiva, con una grande stimolazione del pubblico. La varietà della proposta limita questo pericolo, ma comunque esiste.
A cosa sta lavorando in questo momento?
Ci sono diversi progetti cinematografici che spero si chiudano al più presto. In primavera gireremo i nuovi episodi di Montalbano, che verranno poi trasmessi in televisione nel prossimo autunno.

PUBBLICATO 28/11/2014





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