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“Voglia di emergere”: considerazioni ad alta voce. Impressioni a caldo

Foto © Acri In Rete
Francesco Curto
Di Massimo Conocchia si conosceva la sua presenza sin da quando aveva sedici anni su  “Confronto”, periodico mensile diretto da Giuseppe Abbruzzo, storico e maestro di molte generazioni, compresa la mia. Conocchia, riconosciuto per i suoi meriti come cardiochirurgo  a Novara e particolarmente ad Acri è stato  attivista politico sin da giovane. Egli è l’esempio dell’intellettuale rigoroso e onesto, uomo di cultura,  impegnato nella lotta  contro l’ingiustizia e rispettoso degli altri e della natura. L’itinerario professionale e prima ancora della sua vita privata è raccontata con grande coraggio nella sua opera prima “Voglia di emergere”   (dalla Calabria al Nord e ritorno), Calabria Letteraria Editrice, con una bella ed interessante prefazione di Pasquale Tuscano. L’opera rivela un’originale e oggettiva disponibilità a cimentarsi in una formalizzazione diversa  da quella a lui consueta, la medicina, con una sortita nel campo narrativo che sembra evidenziare una forte volontà di raccontare la propria storia per ritrovarsi in quella di tutti, insomma la storia con la S maiuscola. L’autore scrive questo racconto “in una lingua immediata e colloquiale (Tuscano) e ci rende partecipi fino alla commozione  proprio per il recupero della memoria perduta. Ha ragione, ancora, Tuscano nella prefazione quando afferma di non sapere come collocare l’opera nella storia della letteratura meridionale ma sa bene che questa narrazione è carne viva e come tale fa male e quindi ci appartiene. Un’altra perla, aggiungo io, che va ad aggiungersi alla produzione di tanti altri autori che Conocchia con misura e conoscenza va citando tra i suoi ricordi e i suoi giudizi per il meridione, forse per l’Italia e tutto il pianeta. Massimo Conocchia è in buona compagnia, partendo da Gramsci, si fa forte con Alvaro, Repaci, il nostro Padula,  Scervini, Abate e tanti altri che ha letto e metabolizzato. Egli ha il coraggio con questo racconto di esporsi in prima persona ma anche rendere pubblico quanto di più privato ci sia nella vita di ognuno di noi. Però è anche vero che quando il soggettivo (storia strettamente personale) si oggettivizza allora è necessario rendere pubblico quello che abbiamo vissuto e da quel momento il prodotto diventa opera d’arte e quindi  patrimonio di tutti. In Voglia di emergere  l’autore si guarda dentro e ci svela il suo mondo, ci ricorda chi siamo, da dove veniamo ma soprattutto dove andiamo e quest’ultimo dove dipende da ognuno di noi.  L’autore ha lo strumento dell’analisi, l’intuizione dell’antropologo. Con grande sincerità e realismo e spesso con crudezza ci parla di quella generazione che ha visto l’America e affrontato viaggi indicibili, simili a quelli dei dannati che oggi sbarcano sulle nostre coste per fuggire alla guerra o alla miseria. Racconta dei propri genitori e di un paese che solo con l’emigrazione ha visto il passaggio dalla povertà ad un benessere dignitoso. Nella  sua narrazione si evince che è proprio la miseria che ha alimentato nell’autore la voglia di emergere e di mostrare a tutti le proprie potenzialità per il riscatto. C’è il bisogno del rispetto e la ricerca dei valori che solo con la cultura possono essere intercettati e acquisiti per lottare per una società più giusta in cui trionfi il bene. Nella storia narrata da Conocchia c’è una famiglia numerosa ma unita, forte, che non ha mai avuto timore nell’affrontare la vita.
“Ogni uomo è un abisso, a uno gira la testa se ci guardi dentro”, ma bisogna guardarsi dentro e  anche  dietro perché alle nostre spalle ci sono le radici che non si devono recidere. Conocchia cita Camus e concordo anch’io quando scrive “mi ribello, dunque sono” parafrasando Cartesio (cogito ergo sum).
Un racconto questo di Massimo che ci consente di entrare nella sua vita e ci offre una fotografia (bellissima la scelta del gruppo in copertina, mi ha fatto commuovere) di una famiglia semplice, umile ma onesta, povera ma con grande dignità. Una famiglia che intercetta valori universali. Il protagonista, l’io narrante, fa una radiografia storica del suo paese Acri e dell’ambiente con i suoi personaggi  buoni e cattivi, tracciandone pregi e difetti che senza la sua voce a coinvolgerli resterebbero fuori dal coro della microstoria.
Sono i singoli, i deboli, gli indifesi, gli offesi, quelli violentati dal potere dei furbi che scrivono e fanno la storia con i loro sudori e a volte il loro sangue. L’autore denuncia, con quest’opera  anche antropologica, le aberrazioni dei potenti, condanna la guerra e lotta con il suo impegno politico e letterario per un mondo migliore. La vita di Conocchia non è stata facile, il suo percorso accidentato e spesso con ostacoli più o meno visibili ha rafforzato il suo animo e la sua volontà a non fermarsi ma superarli per raggiungere la meta prefissata. Salvifica è quindi la presenza della famiglia d’origine e di quella che poi verrà. Il felice incontro con Anna, sua moglie e i due figli Ernesto e Chiara. Insieme scandiscono le tappe della lunga strada percorsa con le difficoltà quotidiane che non prostrano mai Conocchia né lo fermano prima di arrivare alla meta, ottenendo così un successo riconosciuto da tutti pur avendo sudato le proverbiali sette camicie. Forse troppo testardo, presuntuoso, ma per poter realizzare i sogni bisogna crederci e pretendere di più senza mai cedere alla fatica o alla paura di non farcela, o alla umiliazione della resa senza fare affidamento in quelle persone che crediamo amiche o perché a noi più vicine. La “Voglia di Emergere” è anche la semplice cronaca di una lunga stagione che si traduce in storia viva e ammonitrice di un paese che a fatica si lascia alle spalle la miseria della guerra di sopraffazione dei ricchi/signori e, ricucendo le ferite, si rimbocca le maniche per quel riscatto sociale che gli restituirà rispetto e dignità. Il racconto, cento pagine soltanto, ci dà la consapevolezza di un’identità precisa e nitida. Un film realista che si srotola verso un futuro di soddisfazioni e se si vuole per motivi nostalgici e di amore verso il proprio passato, si può riavvolgere il tutto per ritrovarsi e ritrovare le persone care che ci hanno insegnato prima della didattica, la scuola della vita. Conocchia vive, come me che scrivo, la sua vita come un pendolo che oscilla tra Acri e Novara, il sud e il nord, tra il suo presente e un passato che ha radici che difficilmente potranno essere recise dagli umani accadimenti. L’autore riconosce con la sua analisi critica il bene e il male della società, la cattiveria degli uomini, la meschinità di piccoli esseri attratti dal denaro e da un ritorno d’interessi. Il meridione ha questa spina nel fianco la ‘ndrangheta che è certamente il male più grande che affligge il sud e purtroppo con metastasi diffuse in tutto il territorio nazionale. Conocchia è un professionista, un conoscitore del cuore, colui che sa come trattarlo e come guarirlo. E’ un intellettuale che fa onore alla medicina e alla scienza, una penna che si agita da sempre nella politica, offrendo materia e contributi al dibattito che anima la cultura del nostro paese. Una prosa semplice ma efficace, dura quando è necessario ma anche poetica, piena di sentimento per i propri cari e per i suoi pazienti, ma soprattutto per Anna e i suoi figli. Da tutto ciò resta il rammarico per l’autore di non aver visto un miglioramento nella gestione del paese natio. Ci consegna una fotografia dello stato di degrado dentro e fuori di quanti l’abitano e il dolore devastante di giovani che senza lavoro vivono senza speranza. Tutto ciò va ad aggiungersi al disordine di un pianeta violentato dagli egoismi e dalla ingordigia di tanti che avvelenano l’aria, l’acqua e il cibo. Acri e il pianeta così come sono e vanno non sono il luogo ideale che Conocchia ha sognato e che avrebbe voluto per il futuro  dei nostri  figli. Pertanto, tutti insieme, ognuno con le proprie responsabilità, dovremmo continuare a lottare per migliorare le cose. La rabbia, se pure contenuta dell’autore, ci riarma di buona volontà per poter ritrovare i veri valori e predisporci alla espiazione per i danni fino ad oggi causati. Conocchia ha intrapreso una nuova strada che non può più abbandonare, deve, e dopo questa ottima prova di scrittura, continuare a proporci nuove storie anche alla luce della sua esperienza in ospedale come cardiochirurgo e come persona e svelarci quasi come in una confessione come fa quel pugno di muscolo vibrante a darci la possibilità di sognare, amare, lottare, insomma vivere. Grazie Massimo per quanto mi hai dato, anche per le lacrime che mi ha fatto versare. La tua storia è anche la mia e in un certo qual modo coincidono. Siamo stati temprati al punto giusto, nonostante tutto, e per questo voglio dire grazie ai tuoi, ai miei genitori, confessandoti che mancano sempre, specialmente in situazioni particolari e in certi momenti di malinconia.
La scrittura da la possibilità di raccontarci agli altri e ai nostri figli, orgogliosi di aver lottato e vinto, di aver saziato la voglia di emergere dalla povertà, dall’ignoranza, dal silenzio nel quale per tanto tempo ci hanno ridotti. Oggi possiamo dare una speranza a tutti : la cultura ci riscatta, ma bisogna continuare a sognare sogni per poi realizzarli.

PUBBLICATO 24/11/2014





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