Arte di parte. Quando il cuore incontra l'arte
Loredana Metta
In vacanza in Calabria, la bignonia in fiore, qualche libro nella valigia - fra cui il recente Cultura Karaoke della letterata Dubravka Ugrešić, cui accenneremo più avanti. La Calabria può riservare sorprese. Certamente non che in uno degli scenari più belli del Paese ci siano alcuni dei più vergognosi esempi di degrado. Ma qualcosa di entusiasmante. Nella cittadina di Acri abbiamo trovato il MACA, un esperimento museale interessante; vi parleremo di due opere di questo museo calabrese che ci hanno lasciato un segno nel cuore. Poi raffronteremo l’esperienza con una mostra fra le più prestigiose della nostra realtà cittadina, appena conclusasi a Palazzo reale.
Il museo civico di arte contemporanea di Acri, in un pregevole palazzo storico della cittadina calabrese, è dedicato a un artista vivente Silvio Vigliaturo (Acri, 1949) e vuole essere luogo civico per eccellenza perché luogo per l’arte, aperto alle cittadine e ai cittadini. Custodisce una selezione delle opere donate da un maestro delle tecniche di lavorazione del vetro e ospita mostre di arte contemporanea dedicate soprattutto ai/alle giovani. La visita ha molti pregi: in un percorso cronologico, che parte dalle prime ingenue espressioni dell’artista, veniamo condotti fino alla scoperta della tecnica a lui più congeniale e alle sue più recenti opere, da una guida appassionata ed esperta come poche. Un assistente del maestro, Massimo Garofalo, calabrese DOC, scorta un piccolo gruppo di visitatori che liberamente possono ammirare, fotografare, porre domande ed emozionarsi fra istallazioni sempre in divenire (su una sono rimaste le impronte di una gattina). Giriamo fra le stanze e ci leghiamo alle sculture in mostra: ci rispecchiano, ci emozionano. Queste opere sono qui per noi, anche se non saremmo in grado di sostenere un dibattito sul loro valore artistico, e forse non potremmo opportunamente collocarle in un contesto né dottamente paragonarle ad altre coeve espressioni artistiche. Ma… ne godiamo, e profondamente, aiutati dall’allestimento sapiente, dalle luci soffuse, dall’atmosfera invitante e soprattutto dall’impegno, dal rigore e dalla passione della nostra guida. Ammiriamo i quadri e gli splendidi colori delle sculture in vetro. E abbiamo modo persino di conoscere qualcuna delle persone che sono in visita con noi. Veniamo informati degli investimenti e dei costi sostenuti (il museo ha un sito con informazioni economiche abbastanza complete), delle attuali perplessità dell’amministrazione comunale riguardo al museo stesso. Trasparenza e apertura. Siamo trattati da amici. E sinceramente ci sentiamo coinvolti nel futuro destino di questo museo. Vorremmo sostenerlo, perché pensiamo che sia per noi e per tutte un’esperienza d’arte. Un incoraggiamento a goderne e a farne noi stesse, un buon esempio del rapporto vitale fra arte e pubblico. Sentite cosa dice in Cultura Karaoke la su citata autrice e studiosa Ugrešić , parlando del disagio a lei ispirato dalla diffusione dell’arte: Non riesco più a vedere niente. Mi consola il fatto che il Louvre, l’Ermitage e il Metropolitan li ho visitati tanto tempo fa, in tempi non democratici, quando i biglietti costavano molto. Perché oggi, città e musei sono presi d’assalto da quelli che volano con le compagnie low cost… Abbiamo apprezzato la critica alla forma di cultura definita Karaoke da lei stigmatizzata. Di qui a disprezzare chi non si può permettere biglietti costosi… Torniamo al nostro MACA, a ingresso gratuito. In un semicerchio bianco, magica l’istallazione dedicata alla maternità - che qui vedete in alcuni particolari ritratti artigianalmente da noi - che ha il coraggio di pronunziare parole nuove e audaci sulla nascita e sul rapporto ambiguo, doloroso e aperto alla speranza che una madre ha con la propria creatura. Non la maternità piatta e caramellosa degli spot televisivi. L’esperienza più tipicamente femminile raccontata da un uomo? Si sa, l’arte costruisce comprensioni profonde. Con le parole di Rosi Braidotti, celebriamo il declino del significato unico che si attribuisce all’esperienza della maternità come segno di crescita della libertà femminile. E rifuggiamo da qualsiasi definizione essenzialista della femminilità, e della maternità. Siamo turbate da una fotografia con sonoro di un altro artista, Davide Negro, che con la sua opera ci apre alla comprensione di una resistenza femminile tanto intransigente da non venire a patti nemmeno a costo della vita. Un’immagine femminile indimenticabile, ad un tempo di annientamento e fierezza. Il museo ospita i lavori di Antonio Cugnetto e le fotografie graffianti di Cristina Comi, e… e… ve l’abbiamo detto, è un museo che apre alla curiosità, alla scoperta. Una vera esperienza umana e artistica. Il Maca, il Museo di arte contemporanea di Acri, in Calabria. Proprio l’altro giorno andiamo a visitare la mostra dedicata a Mimmo Rotella qui a Palazzo Reale. Ci affascina il suo lavoro, ma ci troviamo improvvisamente in una situazione alienante: in piedi, in una luce fredda e impersonale, con un device di plastica che ci parla e che portiamo piuttosto riottosamente all’orecchio. Ammiriamo la tecnica di Rotella, siamo contente di conoscere qualcosa in più del contesto, dei suoi anni di lavoro, del suo passaggio al figurativo. Apprezziamo il mestiere e la cultura approfondita alla base dell’allestimento, però… armeggiamo insoddisfatte per portare quell’affare di plastica alle orecchie. Ascoltiamo i numerosissimi contributi dell’audioguida, pieni di nomi e date, fatti che è sicuramente necessario ricordare … ma siamo in piedi, e dovremo lungamente rimanerci, non possiamo prendere appunti, neppure riusciamo ad afferrare immediatamente i titoli delle opere cui la solerte speaker nella scatoletta si riferisce… perché le targhette sono inspiegabilmente lontane dai lavori cui si connettono. Frustrante. Restiamo imbarazzate a chiederci se è a questo che mirava Germano Celant, il curatore: farci sentire perplesse e imbambolate mentre, come richiesto dal percorso espositivo, siamo costrette a muoverci avanti e indietro tra le sale, felici sì, di violare la monodirezionalità angosciosa del tempo (le sale sono disposte in ordine cronologico inverso), ma non troppo sicure di essere veramente libere di muoverci, nel percorso rigido e illogico pensato per noi. Noi che nulla possiamo, se non litigare con questa diavolo di audioguida compresa nel modico (?) prezzo di 11 euro, e senza sconto insegnanti. MACA batte Palazzo reale 6 – 0 6 -0. Perché il MACA, pur dedicato a un artista - senza apostrofo - ci avvicina alla dimensione femminile della natalità, all’unicità irripetibile dell’esperienza del rapporto con l’origine, e dimostra la significatività dell’esperienza dell’arte a partire dal corpo e dell’incontro con l’altro. Siamo corpi e soggetti, e come tali ci avviciniamo alle opere di un artista. Eppure, tornando a Rotella, strappare un brandello di manifesto è proprio l’azione di un corpo, un modo per appropriarsi della città, del mondo… vorremmo partecipare alla significatività di un gesto, non limitarci a constatare che certi compitini sono stati ben fatti. Vorremmo una partecipazione intensa ed emozionante all’arte. Siamo disposte per questo anche a rischiare le distorsioni di una Kultura Karaoke. Convinte con Chiara Tarozzi (consigliano il suo Femminile esorbitante, L’iguana), citando sempre Braidotti, che in fondo il femminile sia sotto il segno dell’anormalità e dell’abnorme. Un corpo che si trasforma e si muove. L’auspicio dell’introduzione di un soggetto circoscritto storicamente, limitato e sessuato nel mondo astratto dell’espressione artistica e della cultura, questo è per noi arte di parte. Ed è ciò che emerge dal confronto tra i differenti ruoli a noi assegnati in queste due diverse esperienze artistiche. Ora ce ne torniamo a suonare, e per cena sperimenteremo per la prima volta con la pasta fillo. |
PUBBLICATO 06/10/2014
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