RECENSIONE Letto 4609  |    Stampa articolo

La poesia della maturità di Franco Curto

Foto © Acri In Rete
Vincenzo Rizzuto
Ho avuto modo in questi giorni di leggere l’ultimo lavoro di Curto,“Effetti diversi”, una raccolta di versi usciti da poco per i tipi di Futura Edizioni Perugia. Questa nuova raccolta di versi per certi aspetti mi riporta alle precedenti per immediatezza di comunicazione e per l’uso di un linguaggio fortemente caustico, che immancabilmente, quasi con ossessiva insistenza, mette il lettore in crisi perché lo costringe ad addossarsi le infinite colpe dell’uomo di tutti i tempi; per altri aspetti l’opera segna una vera e propria svolta di stile per via di un verso sciolto da qualsiasi regola e remora: il poeta corre così ‘a briglia sciolta’, nei meandri dell’animo, mettendo a nudo, con la particolare perizia che lo contraddistingue, sentimenti reconditi, slanci di ineffabile amore e generosità, ma anche condanne verso l’umanità sofferente, timide aperture verso il divino vissuto come arcana, incomprensibile dimensione del mondo: “Non avremmo più la guerra senza dio./L’odio non sarebbe il seme della vendetta.” E ancora: “ E tu Cristo non scendi dalla croce/ non mi aiuti a sciogliere i miei dubbi/non c’è speranza di un’alba nuova.”
E Il poeta, dopo avere esplorato in lungo e in largo la triste solitudine e la miseria in cui si è costretti a vivere, anche perché “Sono piene le piazze/di venditori di fumo.” E”Il gioco resta sempre/ nelle mani di chi vince.” , sente però anche il bisogno leopardiano di solidarietà, di condivisione e canta: “Scavando dentro di te/troverai gli altri/riconoscendoli/troverai te stesso.”  Sono versi, quelli di Curto, che ti penetrano dentro e ti lacerano il cuore senza che tu possa difenderti, talmente sono forti e rocciosi come l’arida pietra delle coste scoscese del Mucone, il mitico fiume che insistentemente ricorre nel canto sconsolato del poeta, fungendo nello stesso tempo a luogo amatissimo di rifugio ma anche di infinito dolore.
L’opera si chiude, infine, con una specie di appendice, “Le mie radici”(poesie in dialetto), con cui Curto ha voluto esprimersi con la lingua dei suoi padri, un mondo fatto di piccole cose, di ricordi e di stati d’animo persi per sempre, ma tanto cari al poeta, che non smette mai di provare a ritornare bambino, nel grembo della madre e di un padre che, nonostante tutto, non smette mai di farli rivivere in modo struggente ricordandoli.
Insomma la poesia di Curto ancora una volta si presenta come canto raffinato e autentico, dotato di spiccata originalità con cui prepotentemente coinvolge il lettore, con la sua forza evocatrice, in tutte le sue peripezie.



PUBBLICATO 14/05/2014





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