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ACRI Takeaway. Un bisogno di estetica gratificante

Foto © Acri In Rete
Angelo Minisci
In questa prospettiva, la vera domanda su cui arrovellarci diventa quindi: «È viva Acri?». A cui non basta rispondere esclamando campanilisticamente «Evviva Acri!». Né basta elencare le tante cose belle e vive che la città contiene. Troppo intossicata, in tutti i sensi, se non morta del tutto, è almeno moribonda… almeno questo pare emergere dalle tante “mancanze”. Naturalmente è questione di punti di vista: a chi la tiene in pugno, strozzandola, questa città sembrerà viva e vegeta, non accorgendosi che invece le toglie il respiro.
Da estetica, la querelle diventa allora etica (e quindi politica). E d´altronde questo slittamento (che tale in realtà non è) risulta ineludibile, essendo la bellezza e la moralità (intesa in senso lato) due poli inscindibili e saldamente compenetrati. L’architettura di tenere insieme  etica ed estetica nella società odierna: «I greci, ai quali dobbiamo i due concetti, si sarebbero opposti a questa separazione. Non avevano codici scritti che definissero bellezza o rettitudine, ma esisteva un consenso generale su entrambe, e anche sul fatto che fossero intimamente legate. Erano due diverse facce della stessa qualità, l´eccellenza».
A infrangere questa fondamentale unità è l´affermazione di una società funzionale, che non può fare a meno di un´etica professionale, ma può, deve e vuole sbarazzarsi della bellezza intesa come «ostacolo all´efficienza, alla velocità e alla misurabilità economica». Ecco la scaturigine, per esempio, dell´imbruttimento dei contesti urbani in cui sconsolatamente ci troviamo a vivere oggi: «Fino a secolo XX iniziato, pareva che la costruzione di una casa dovesse soddisfare il passante almeno quanto chi vi abitava, tanta era la cura estetica dedicata al suo esterno». Infatti, secondo un antico proverbio orientale «la facciata di una casa non appartiene al suo proprietario, ma ai passanti».
Questa è almeno l´opinione di Luigi Zoja,  che la espone con molta chiarezza in un breve saggio intitolato "Giustizia e bellezza" (Bollati Boringhieri). Zoja muove dalla premessa che non possiamo mai eludere il punto di vista etico in nessuna forma di conoscenza. Insieme (e inseparabilmente) al concetto di "bene", anche quello di bello corrisponde a un bisogno "assoluto e originario" della nostra vita interiore.
C’è bisogno di cultura per avere democrazia, e c’è bisogno di un tipo di cultura in grado di creare spazi pubblici, o meglio un nuovo spazio pubblico, come una città aperta, meticcia e accogliente.  La città è il riflesso della società moderna, diceva il filosofo tedesco Simmel nei primi anni del ‘900.
La città è dunque il luogo della produzione culturale: un ambiente particolarmente fertile in termini di produzione di conoscenza, idee, estetiche, stili, arte, design, innovazione, scienza, proprio grazie alla concentrazione di individui, gruppi, eventi, istituzioni, visioni, organizzazioni. Ma la città è anche lo specchio della cultura dominante e un prodotto culturale in sé, e incorpora la cultura che di volta in volta la produce: lo spazio urbano si modifica seguendo schemi di trasformazione propri dell’epoca che la costruisce
Se la città non produce più spazio pubblico, allora sono altri i luoghi votati alla coesione sociale, all’incontro e all’innovazione: luoghi virtuali o fisici, teatri, associazioni, istituzioni culturali, biblioteche , campi da calcio e così via che, grazie alla loro naturale apertura, forniscono momenti dedicati alla socialità, all’integrazione ma anche alla produzione e ibridazione artistica. È proprio nello spazio della cultura che è possibile inserire pratiche di riappropriazione, di cittadinanza e di integrazione: all’interno di questi nuovi luoghi di socialità si creano infatti comunità di persone e di pratiche compatte e solidali, aperte allo scambio con il territorio e con altri soggetti. Quindi  Acri è diventata “brutta”, ma l´Italia intera forse. E ciò perché, a dirla con Zoja, abbiamo perduto quella «parte essenziale dell´identità » che era la "coscienza collettiva" di una tradizione estetica. «Nessuna vera società può fare a meno di una autentica educazione al bello», afferma Zoja. E nel medesimo tempo necessita di un cemento morale, pena la sua autodistruzione: «Quando la comunità sparisce, la morale inevitabilmente si ammala». Proposizione incontrovertibile, ma invertibile: quando la morale sparisce, la comunità inevitabilmente si ammala. E quindi s´imbruttisce, diventa laida come il ritratto di Dorian Gray.
La vera bruttezza di Acri ( se così possiamo dire), risiede in questa perdita dell´identità comunitaria, in una modernizzazione malintesa, in una opulenza troppo spesso torbida, in un´ostentazione arrogante, in una pervasiva violenza relazionale. Nell´inosservanza, in sintesi, che: «Molti dei mortali preferiscono l´apparire all´essere, e così commettono ingiustizia».


PUBBLICATO 30/04/2014





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