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Acri. Un comune in pericolo e un museo della discordia

Foto © Acri In Rete
Angelo Gaccione
Non entro in merito alla genesi del Museo “Vigliaturo” (ora mi dicono si chiami MACA), si è speso già troppo inchiostro e vi è tornato di recente con una nuova efficace riflessione, Vincenzo Talerico sul blog “Acri in Rete”.
Ovvio che se le cose di interesse pubblico avessero uno svolgimento pubblico e trasparente, si eviterebbero certi spiacevoli “incidenti di percorso”; si eviterebbero brutte figure e si avrebbe più accortezza nel maneggio di denaro pubblico. Perché sempre, quando poi le cose vanno male, si rischia di buttare l’acqua sporca col bambino: una buona idea, una encomiabile intenzione (realizzare un Museo), vanificata da un errato modo di procedere; dalle zone d’ombra, dalla scarsa trasparenza. E questo è un peccato, perché non c’è nessuno ostile alla realizzazione di qualcosa di utile che resti nel tempo, su un territorio povero di strutture culturali e di luoghi dove ci si può aggregare e scambiare idee.
Quello che è avvenuto con l’Ospedale civile e con la fine miserabile del Salumificio, dovrebbe indurre gli acresi a farsi qualche domanda. Naturalmente disinteressarsi delle cose è la forma più facile; voler sapere, essere vigili, controllare, non voltare la faccia dall’altra parte costa fatica, tempo, e spesso amarezze. Proviamo talmente disgusto di certi personaggi, veniamo talmente delusi da certi gruppi che guidano i partiti politici, che viene voglia di mandare tutto a ramengo. E tuttavia non c’è alternativa: o ci interessiamo noi dei beni che ci riguardano, o li proteggiamo noi con la vigilanza, il controllo, la denuncia pubblica, oppure vanno in malora: come l’Ospedale, come il Salumificio, come rischia di finire il Museo. Con un danno collettivo a vari livelli; con la sfiducia che si diffonde per ogni possibile futuro progetto; per l’ostilità che prende piede, per l’incanaglimento. Ovvio che se le dirigenze partitiche non fossero la cloaca che sono diventate; se i professionisti e gli ambienti della scuola e dell’università (questi settori e i ceti che li incarnano sono in Acri sovrabbondanti) invece di essersi trasformati in fantasmi (blindati in casa e interessati solo al proprio tornaconto), sentissero un minimo di orgoglio pubblico, di disagio intellettuale, di amore per il luogo dove pur tuttavia vivono ed operano, se parlassero pubblicamente per l’interesse collettivo, le cose prenderebbero un’altra piega. Invece ci trastulliamo con la chiacchiera o ci muriamo in casa. Nel suo saggio Vita Activa, Hannah Arendt sostiene che una vita senza discorso e senza azione è letteralmente morta per il mondo; ha cessato di essere una vita umana perché non è più vissuta fra gli uomini. In altre parole: è una vita inutile per sé e per gli altri, per lo spazio pubblico dove ciascuno dovrebbe agire e dare il meglio di sé.
Tra le contestazioni più accese che hanno investito, e continuano ad investire il Museo, ce ne sono alcune ineludibili e che meritano delle risposte.
1. Il carattere privatistico dello stesso, pur finanziato esclusivamente da contributi pubblici;
2. Il mancato coinvolgimento delle energie artistiche locali e del Sud nel suo insieme;
3. L’impossibilità per il Museo di potere acquisire donazioni da altri artisti e dunque arricchirne il patrimonio;
4. La scarsa ricaduta per il territorio in termini di confronto e di crescita culturale;
5.
La mancata presentazione del bilancio e la sua pubblicizzazione in tutti questi anni;
6.
Lo sperpero di una quantità considerevole di denaro che non troverebbe giustificazioni. A queste domande, i gestori del Museo e i referenti politici (Assessore alla cultura in testa) è bene che diano delle risposte, e al più presto, per fugare questi dubbi così diffusi tra l’opinione pubblica della città, e per assumersi le responsabilità che competono loro.

Da parte mia vorrei soffermarmi brevemente sul punto numero 4. Premetto che non ho alcuna simpatia per la cultura come spettacolo, ed aborro questa pratica oramai diffusa da un capo all’altro della penisola, di assessori, comuni ed istituzioni pubbliche che fanno a gara ad invitare roboanti nomi delle arti, delle lettere e del jet set sperperando interi bilanci, solo per celebrare se stessi o per vedere il nome della loro città sulle pagine dei quotidiani locali per qualche giorno. Questa logica, che fa il verso al più vieto e disgustoso effimero televisivo, non porterà alcun vantaggio al territorio e alla cittadinanza, ed avrà un solo esito: prosciugare risorse che potrebbero essere più saggiamente impiegate. Se fossi assessore alla cultura mi opporrei con tutte le forze a questa forma di moderno colonialismo culturale. Che cosa resta alla cittadinanza il giorno dopo che il personaggio ultra-noto ha ripreso l’aereo, dopo una puntata di poche ore? Non sarebbe meglio impiegare le risorse per la creazione stabile in loco di una struttura musicale che accolga i giovani per questo tipo di educazione? Questa sì qualcosa che ha ricadute, resta nel tempo; diviene punto di riferimento, sforna talenti, crea attorno a sé vivacità culturale, confronto, posti di lavoro e non obbliga i giovani a sobbarcarsi spese di viaggio per recarsi fuori dalla loro città. Questo vale per la musica come per i diversi ambiti della creatività e del pensiero, arte compresa. E non sarebbe meglio impiegare i soldi che si danno alle star della cultura che vengono a fare la passerella, per rendere il patrimonio librario della Biblioteca civica, le sue strutture, le sue attrezzature, degni di questo nome?
Quanti libri, Cd rom, video-film, riviste, bibliobus per portare i libri nelle case, avremmo potuto acquistare in tutti questi anni di sperpero dissennato? Quanti laboratori di lettura, corsi di pittura, cineforum, laboratori creativi? Quanti locali abbandonati avremmo potuto ristrutturare per darli a collettivi giovanili per aggregarsi, dipingere, leggere, incontrarsi? Quanto analfabetismo di ritorno avremmo potuto rimuovere? Quanta consapevolezza sul rispetto del territorio, la sua conoscenza, la sua tutela avremmo potuto determinare?  
Deve essere chiaro, dunque, che per quanto mi riguarda io non mi aspetto nulla da un Museo così concepito, come non mi aspetto nulla da Assessori e Direttori di istituzioni culturali che non siano disposti ad un’autocritica pubblica e a rivedere le linee della loro politica culturale fallimentare.
Ho appreso di recente, con molta amarezza, che chi ha amministrato in questi anni il Comune di Acri, lo ha ridotto al dissesto economico indebitandolo fino al fallimento. Al commissariamento. Ho appreso altresì, che i rifiuti non vengono più raccolti (non è mai stata avviata una raccolta differenziata seria, né mai nemmeno lontanamente considerata l’idea di un consorzio provinciale fra comuni che dal trattamento e dal recupero dei rifiuti avrebbe potuto ricavare un guadagno economico e creato posti di lavoro) e che persino l’illuminazione pubblica non viene più erogata in alcuni luoghi della città. Un arretramento sociale e civile da cui Acri si era liberato fra i primi comuni italiani. Questo modo dissennato di gestire il denaro pubblico non è più tollerabile, e chi ne ha la responsabilità deve risponderne penalmente e davanti al giudizio della città. Il discorso deve valere anche per il Museo, per impedire che si trasformi a sua volta in centro di sperpero incontrollato. Come acrese e come scrittore chiedo dunque che siano resi pubblici i bilanci e documentate tutte le spese presenti e future. La pubblicità dei bilanci ed il loro controllo, è il primo passo da cui segue tutto il resto.

PUBBLICATO 07/03/2014





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