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“Nascita di un comune democratico” di Giuseppe Scaramuzzo – Appunti per una recensione

Foto © Acri In Rete
Maurizio Vaccaro
Il nuovo libro di Giuseppe Scaramuzzo ha come sottotitolo “Acri 1861-1952 Storia Cronaca Memoria”. È proprio la memoria, secondo me, la componente da cui partire nello spiegare e dire la mia su quest’opera. La memoria storica non è fatta solo di cronache e dati, essa si trasmette e fa maturare la coscienza civile profonda di un popolo e di una comunità, attraverso l’analisi del vissuto, delle dinamiche sociali, politiche, materiali ed economiche.
Nascita di un comune democratico” svolge principalmente questo compito, ovvero quello di indagare, ricercare e restituire la memoria a una comunità, la città di Acri (riconoscendone l’importante ruolo di specchio della storia del Mezzogiorno), attraverso la narrazione documentata e le cronache. Come esplicitamente affermato nella Presentazione dall’Autore (pag. 7), l’intento «è stato quello di fornire l’occasione per recuperare la memoria storica, senza la quale una comunità rimane priva di identità e senso di appartenenza ed è, quindi, destinata a non avere futuro e a scomparire». Ho avuto il privilegio di essere stato alunno del prof. Scaramuzzo, del quale ricordo e serbo con orgoglio molti insegnamenti, il modo di spiegare la storia e la filosofia, ed un particolare ed utilissimo approccio allo studio in generale, che passa attraverso l’analisi critica e la rielaborazione dei contenuti, ma anche attraverso l’impegno personale. Mi ha trasmesso la consapevolezza che maturare la propria cultura e formazione, criticamente consolidata e anche dinamica, non è facile e richiede un impegno continuo di tempo ed energie. Devo dire che nel leggere la Presentazione (pag. 7) mi ha colpito particolarmente e direttamente l’«omaggio alla laboriosa ed onesta comunità acrese e ai tanti giovani», che questo libro è dichiaratamente. Dal libro emerge soprattutto un’interpretazione delle dinamiche della storia e della scienza storica, in accordo con l’approccio a questa materia che mi era stata già trasmessa da studente.
Il libro sulla nascita di Acri come comune democratico è rivolto a tutta la comunità, ma ha diversi livelli di lettura, perché è fatto di cronache, dati, dettagli e narrazioni anche minuziose, ma soprattutto di sintesi e interpretazione dei dati storici alla luce dei cambiamenti e degli sconvolgimenti degli ultimi centocinquanta anni. È rivolto quindi allo studioso, allo studente, al ricercatore (sottolineo l’attenzione per le fonti), ed al cittadino acrese, che vi può trovare, ad esempio, notizie e fatti su un proprio avo. Per l’imponenza e gli obiettivi è un’opera importantissima e rilevante, nel panorama della storia e storiografia acrese. Guido D’Agostino, nella Prefazione, ne coglie la percezione della lezione de “Les Annales”, nel ritenere il locale come parte integrante di quel “tutto” che è la storia globale. L’obiettivo finale del libro è racchiuso nel titolo, da cui sono partito per questa breve recensione: “Nascita di un comune democratico”. Che cosa sono stati, infatti, i decenni dall’Unità d’Italia al Secondo dopoguerra, se non un lungo processo verso la presa di coscienza della comunità, verso la democratizzazione e un’organizzazione più partecipata della vita collettiva, attraverso i drammi e i capovolgimenti storici? La corposa Introduzione di Paolo De Marco (pagg. 15-35) mette in luce le connessioni fra la microstoria locale e la macrostoria nazionale ed internazionale, contestualizzando la storia di Acri ed il lavoro di analisi storiografica dell’opera.
La storia contemporanea narrata in quest’opera è soprattutto una “microstoria nella macrostoria”, da cui emerge l’esperienza, a volte tragica e terribile, del Mezzogiorno e dell’Italia, di cui Acri si fa specchio. Il libro si apre con la situazione del Sud nella seconda metà dell’Ottocento: il processo di Unità nazionale, la Destra e la Sinistra storica. Si analizza il ruolo delle comunità rurali come Acri nei confronti dei centri del potere. In questo contesto emergono le figure degli intellettuali e di come il mondo culturale abbia saputo descrivere, narrare, analizzare e convogliare le pulsioni popolari e i momenti di cambiamento. Su tutti, la figura imponente di Vincenzo Padula, serve nel libro per filtrare, attraverso i suoi illustri scritti, certi processi come il brigantaggio e la gestione della comunità durante i moti risorgimentali e nell’Italia post-unitaria. Proprio a proposito del brigantaggio, mi ha colpito molto la descrizione di un processo per manutengolismo riguardante un fatto di cronaca del 1863, in cui la complessità e le radici sociali del brigantaggio emergono in maniera quasi esplosiva, a rafforzare la visione del fenomeno come non solo banditesco, non sempre di riscossa, ed estremamente complesso nella sua genesi sociale e politica. Un aspetto interessante, su cui il libro non risparmia dati, è quello della storia materiale della popolazione acrese. Questo traspare molto bene dai titoli di alcuni capitoli: si parla approfonditamente di “Industria Commercio e Artigianato”, di “terra” e di “boschi”, evitando di proposito qualsiasi generalizzazione, ma puntando ai fatti ed ai numeri, anche quelli dell’analfabetismo dilagante. La vita materiale però, soprattutto nell’Italia post-unitaria, è soprattutto legata alla “terra” (vedi pag. 69). Le più importanti lotte e rivendicazioni sociali ruotano attorno ai problemi della proprietà delle terre (soprattutto demaniali) e dell’assegnazione dei frutti del lavoro agricolo. La questione è, direi, centrale nel libro di Scaramuzzo, insieme alla guerra ed al ruolo degli intellettuali e della stampa.
Ma storia materiale è anche il problema dei trasporti e della viabilità, la cui evoluzione Scaramuzzo descrive nel corso del periodo considerato. Quella di Acri e dei trasporti è una storia di occasioni mancate e disagi continui. A cominciare dalla ferrovia, iniziando dai primi annunci trionfali di un prossimo progresso, passando per gli annunci poi delusi del ministro fascista calabrese Michele Bianchi, arrivando poi al più vicino secondo Dopoguerra. Ma anche la viabilità su strada è un continuo «Calvario» (pag. 255), per citare lo “Jorik” giornalistico su “Il giornale di Calabria” (1914-15). È interessante e amaro notare come la “frana” sulla variante omonima (il Calvario) sia sempre stata motivo di isolamento (soprattutto nei mesi invernali) per la comunità acrese, così come i problematici collegamenti con la vicina città di Corigliano. Nel parlare di storia industriale, forse per deformazione professionale, mi ha incuriosito molto l’approfondimento della storia “tariffaria” della prima fornitura di energia elettrica alla città, tramite una piccola centrale alimentata da una derivazione delle acque del fiume Mucone, dagli anni immediatamente precedenti al primo conflitto mondiale. Si parla di accesso alle risorse, al sostentamento, alle infrastrutture, ma nel linguaggio dei nostri tempi diremmo che si parla molto anche di accesso all’informazione. La storia dei giornali, degli intellettuali e della diffusione della cultura, come già detto, è al centro delle attenzioni dell’autore. Un grande valore, non tanto poetico, quanto piuttosto storico e di testimonianza, è assegnato alle poesie e filastrocche di autori popolari, minori, improvvisati e autenticamente ispirati, sui fatti locali, la politica nazionale, la guerra, la sofferenza, la fame, i soprusi. La storia delle opinioni, dei fatti e del giornalismo, ad Acri e nel Mezzogiorno passa attraverso periodici come “Il Bruzio”, “Lo scudiscio”, ma anche “Rabagas”. Una costante nella storia di Acri e del Mezzogiorno è la convivenza col fenomeno dell’emigrazione, di cui nel libro sono forniti molti dettagli. L’emigrazione, così come le guerre sono state le principali ragioni di un progressivo svuotamento dall’interno della comunità, di volta in volta e sempre peggio risolto.
La storia contemporanea di una comunità come Acri passa anche per un’analisi del ruolo e delle dinamiche interne dei partiti politici. In “Nascita di un comune democratico” c’è una grande attenzione per la cronaca storica dei primi partiti, soprattutto nel primo dopoguerra. Ma un’attenta disamina dei fatti e dei processi sociali è disponibile soprattutto per il ventennio fascista acrese. Non solo il periodo podestarile viene descritto con dettaglio nella gestione della vita pubblica della comunità, ma le violenze e la dittatura sono raccontate da toccanti ed autentiche testimonianze dirette dei nostri concittadini, nel tentativo di recupero e restituzione della memoria storica che ci appartiene. La vita quotidiana, l’istruzione e l’indottrinamento dei bambini, sono fra gli aspetti che più mi hanno colpito, insieme alla descrizione delle prime elezioni e delle reazioni dei cittadini democratici di fronte ai terribili soprusi delle milizie fasciste. Un fatto di cui si parla poco, e che ritengo molto interessante dal punto di vista storico, è la presenza ad Acri di confinati politici durante il fascismo, e della risposta e dell’accoglienza della comunità rispetto a questi “forestieri” incappati in una limitazione della loro libertà, lontano dai propri cari, nell’impossibilità di resistere attivamente all’oppressione.
La guerra, qualsiasi essa sia, è sempre guerra dei poveri. Il libro raccoglie i dati sulle partenze e le leve dei soldati acresi durante le guerre mondiali e le guerre coloniali in Africa, sottolineando la percentuale di analfabeti che prendevano parte, per volontà di poteri più grandi di loro e per ragioni imperscrutabili alla comunità di partenza, ai massacri delle trincee della prima guerra mondiale, o alle campagne militari della seconda guerra mondiale. Ma la storia dei combattenti è anche, nel secondo dopoguerra, storia di resistenti. Gli acresi nella resistenza sono parte della memoria da recuperare e restituire alla comunità, anche in casi atipici, di lotta per la libertà che un lettore non si aspetta, ma rivelati dalle fonti, che colpiscono, di combattenti acresi nella resistenza jugoslava.
Nascita di un comune democratico” è un libro che fa riflettere sulle prospettive della nostra storia attuale, sul modo di pensare la storia, che sempre di più tende ad essere di fruizione immediata, spicciola e quindi semplicistica e debole. Debole perché potenzialmente e facilmente influenzabile. Se la memoria è autentica una comunità ha solo da imparare ed evolvere, a partire dal patrimonio civile che ha accumulato, col quale si è confrontata e grazie al quale è maturata.
La questione del Mezzogiorno d’Italia, dell’Italia, è soprattutto, ancora una volta lo sottolinea Scaramuzzo in questo libro, una questione culturale, oltreché che economica. Le ferite aperte di questo tipo si sanano solo col recupero e l’analisi di questo patrimonio e della memoria storica.

PUBBLICATO 14/01/2014





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