La nuova cosca di Acri e gli stretti legami con il potere politico
Marco Cribari
Politici e imprenditori in odor di mafia. Accade ad Acri, paesone di ventimila abitanti in provincia di Cosenza, fin qui noto solo per aver dato i natali al Beato Angelo e a Charles Atlas, al secolo Angelino Siciliano, inventore del moderno body building.
Da due anni a questa parte, però, Acri è al centro di un’inchiesta della Dda di Catanzaro, nata a seguito delle intimidazioni ricevute da un imprenditore impegnato a eseguire lavori di ammodernamento su un tratto dell’autostrada Sa-Rc. Proprio quegli episodi, avevano acceso i riflettori sulle attività illecite di una presunta cellula criminale: un gruppo che avrebbe «il suo massimo esponente» in Giuseppe Perri, già ritenuto membro della cosca Lanzino di Cosenza e in altri pregiudicati del luogo, tra cui anche un affiliato alla cosca dei “Calabresi di Bolzano”. Così scrivono i carabinieri nell’informativa inviata al pm Pierpaolo Bruni a gennaio del 2011, un documento finito ora agli atti di un processo (nome in codice “Vulpes”) imbastito proprio contro i Lanzino. Il teorema, dunque, è che a quest’ultimo clan, farebbe capo anche il gruppetto acrese dedito a estorsioni ai danni di imprenditori della zona e truffe collegate al gioco d’azzardo nonché a pericolosi “incroci” con la politica. A tal proposito, la Dda ritiene che questo presunto andazzo abbia dato luogo, negli ultimi anni, a «una gestione illecita di appalti e servizi pubblici con palese favoreggiamento di ditte appartenenti a famiglie mafiose». Tali accordi, che avrebbero visto impegnati politici e imprenditori locali, si sarebbero concretizzati, secondo gli investigatori, nel corso «di riunioni riservate» che si svolgevano in una saletta “privè” ricavata sul retro di un bar del luogo. Accadeva nel 2011, ai tempi in cui sindaco della città era il deputato europeo Gino Trematerra. In quel periodo, Trematerra doveva rinunciare a uno dei suoi due ruoli elettivi e tra la poltrona di primo cittadino e lo scranno a Bruxelles optò per quest’ultimo. Al riguardo, i carabinieri sospettano che gli indagati pensassero di trarre vantaggio dalle sue dimissioni e dal successivo insediamento del suo vice dell’epoca, Luigi Maiorano, come sindaco facente funzioni. Nell’informativa, vengono citate una serie di intercettazioni telefoniche che, tra gli altri, riguardano lo stesso Maiorano e due consiglieri comunali, Angelo Gencarelli e Luigi Catanzariti: intercettazioni durate 40 giorni e che la Dda avrebbe voluto continuare a raccogliere, scontrandosi però con la volontà del giudice distrettuale. Quest’ultimo, infatti, ha ritenuto che nei confronti dei tre politici il quadro indiziario utile a legittimare la pratica di “spionaggio”, non potesse ritenersi raggiunto «neppure in termini di sufficienza». Stop alle attività captative, dunque, ma non all’inchiesta. Accadeva nel 2011 e, fonti vicine agli inquirenti, infatti, riferiscono che il capitolo sulla presunta criminalità acrese è ancora aperto. Fonte L'Ora della Calabria |
PUBBLICATO 06/01/2014
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