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Manifesto dei giovani in pensione: affinità/divergenze su ciò che abbiamo e non abbiamo

Foto © Acri In Rete
Fabio De Marco
Abbiamo la mente lucida ed una visione chiara della nostra condizione, del nostro essere sospesi, bloccati nel tempo e nello spazio, repressi nelle nostre aspirazioni. Ma non riusciamo ad individuare una controparte definita, da scalfire con la delicatezza di un corrosivo.
Abbiamo molto tempo a disposizione, perché la modernizzazione industriale ed agricola ci ha espulso dai processi di produzione tradizionali, liberandoci dalle maglie del lavoro salariato. Ma la specializzazione a cui siamo stati sottoposti dal sistema educativo, ci ha mutilati e reso impraticabile qualunque tentativo di autoproduzione di valori d’uso , di utilizzo privato della nostra capacità lavorativa.
Abbiamo dedicato molto tempo a metabolizzare teoria, concependo e sperimentando nuovi modi di stare al mondo, di vivere, di amare e di lottare. Ma ora abbiamo una visione distorta della pratica, perché sappiamo che la realtà è un’ arbitraria costruzione sociale, che vanifica le nostre aspettative.
Non abbiamo bisogno di politici che prendano in considerazione le nostre istanze, per poi classificarci come bamboccioni o choosy, perché sappiamo che queste categorie riflettono molto meglio i pensieri e le idee di chi le utilizza, che le nostre caratteristiche.
Non abbiamo bisogno di una forma di libertà abusata, espressa come libertà di consumare. Ma di una libertà intesa come emancipazione dai nostri bisogni radicali, immediati, attraverso la produzione di nuove relazioni, di cooperazione solidale tra soggettività indipendenti.
Non abbiamo bisogno di intrattenere relazioni configurate come specchio dello scambio di merci nel mercato. Siamo comunità di individui interdipendenti anche se il rapporto di denaro occulta il nesso tra valore d’uso delle merci e riproduzione individuale, generando indifferenza.
Abbiamo bisogno di godere del nostro tempo, di poter fare ciò che ci piace, di attività libere. Non perché “il tempo è denaro”, ma perché sappiamo che è il denaro tempo “incarnato”, tempo di vita oggettivato espropriato dal darsi bel tempo.
Ma siamo giovani in pensione, nel senso che pendiamo e rechiamo un “peso” irragionevole a chi produce i mezzi necessari alla nostra esistenza. Così iniziamo a perdere la lucidità, ed a contraddirci; iniziamo ad avere idee poco chiare su quello che abbiamo, e non abbiamo.

PUBBLICATO 25/11/2013





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