13 - Maura Carta, 58 anni

Adele Zanfini
Sono le undici di una tiepida mattina di primavera, in piazza si svolge la manifestazione contro il femminicidio. In casa tante cose da fare e altrettanta voglia di prendersela un po’ comoda. Poi, all’improvviso, l’impegno preso di portare in piazza un paio di scarpe rosse si fa in me pressante. Corro in garage ne trovo un paio, di un rosso fiammante, indossate trent’anni fa quando i miei passi lievi di sedicenne, con tutto il futuro in tasca, risuonavano spensierati.
Timida, mi faccio avanti tra la folla con quel tocco di rosso in mano che attira gli sguardi. Fra le organizzatrici, qualcuno mi sussurra di compiere un gesto semplice: chinarsi e poggiare le scarpe rosse su un nome, un nome di donna che non c’è più, i cui passi non risuonano più né qui, né altrove. Ora con le mie scarpe si alza e cammina Maura Carta. E’ un nome senza volto per me il suo, mi sollevo e continuo a guardare le innumerevoli paia di scarpe rosse che mi circondano, è un esercito silenzioso quello che vedo materializzarsi intorno a me, tutte donne, di ogni età, lingua e cultura. Disposte unite, serrate in un abbraccio fatale che le accomuna, chiedono a me, donna, moglie, madre e figlia di non calpestarne le tracce con l’indifferenza. Sono un esercito sconfitto dalla legge di quell’amore criminale che le ha rese schiave, fino alla morte. Arretro come un acrobata, cercando di non recare loro offesa, mi aggiro fra i loro nomi. I loro volti celati, invisibili, rendono sonore e trasparenti le loro vite, le loro lacrime, le urla, le trappole e gli inganni in cui, per amore, sono cadute. Arretro ancora, fino alla prima linea, schierate come martiri trovo le bambine. Ora che i miei passi non sono più quelli di trenta anni fa, ora che sono madre, il mio sguardo è velato dal pianto. Le più piccole di questo esercito mi perdoneranno, non riesco neanche a leggere i loro nomi. Il cielo si è incupito, come il mio umore. Gli echi della piazza, prima per me lontani, ora colpiscono di nuovo le mie orecchie. Riprendo le mie scarpe rosse che hanno ridato per un po’ l’esistenza a Maura Carta, la tredicesima vittima del 2012, e ne hanno fatto risuonare i passi sul selciato. Torno a casa e chiedo a mio marito di riporre con molta cura le mie scarpe rosse, ora anche di Maura. Senza parole, accompagnandolo con lo sguardo, attraverso quel gesto sto chiedendo a lui e a tutti gli uomini di custodire l’amore autentico che li lega all’altra metà del cielo.
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PUBBLICATO 22/04/2013

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