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Riflessioni sul teatro cittadino (caro Elio)

Foto © Acri In Rete
Leonardo Marra
Che il Teatro, come forma di espressione artistica, possa essere un momento di elevazione culturale è innegabile, che possa (proprio perché struttura polivalente) far accrescere nei nostri giovani l’interesse per le arti in generale è indubbio, che possa essere uno strumento utile a far uscire una comunità dall’isolamento geografico-culturale è assodato, che la scuola, intesa come Istituzione, non possieda la caratteristica che dovrebbe esserle peculiare: educare giovani alla capacità di disquisire di letteratura, poesia, prosa, pittura, allo stesso modo di come dissertano di calcio, è palese.
Quello che è meno chiaro è il perché, in un momento in cui i teatri italiani sono in una fase di catatonia esistenziale, si sia sentita l’esigenza di dotare un piccolo centro come Acri di un teatro di siffatta foggia. Fosse stata una meta turistica o uno snodo stradale di rilevanza strategica, avrei potuto capire, sarebbe stato comprensibile investire in una struttura del genere ed il ritorno d’investimento sarebbe stato rappresentato anche da un riscatto per la società acrese e per coloro che avevano proposto questa opera.
Purtroppo non siamo a Milano né a Roma o Bari, in realtà non siamo nemmeno Catanzaro. Siamo in una piccola comunità nella quale come già sottolineato, nemmeno il cinema riesce a svolgere la sua funzione di divulgazione artistica, limitandosi alle proiezioni di “cassetta” nelle quali si riesce appena a riempire la sala nel periodo di Natale; figuriamoci se si provasse a proiettare una retrospettiva di Wim Wenders.
Invece i bar sono pieni a tutte le ore (ci chiediamo perché?)
Un tempo ad Acri si faceva teatro e si andava a “teatro”. Ricordo un gruppo teatrale composto da giovani incredibilmente talentuosi. Avevano provato da soli ad abbattere quel senso di isolamento culturale che già a quei tempi ( non parlo di 50 anni fa, ma di un paio di decenni) affliggeva la nostra comunità. Purtroppo (e direi come al solito) la mancanza di sensibilità da parte di chi avrebbe potuto (e dovuto) incentivarli, fece naufragare qualsiasi progetto di crescita.
Andando indietro ancora di qualche anno, si poteva assistere a rappresentazioni, anche di un "certo spessore" artistico. Chi non ricorda gli eventi teatrali nell’auditorium del Liceo Classico? C’era sempre il pienone, non solo di presenze, quanto di suggestioni, di emozioni direi... di soddisfazioni.
Per carità, non è che ora io sia qui ad evocare la possibilità di andare in scena nel soggiorno di casa, ma avrei auspicato qualcosa di più adeguato (qualcuno direbbe proporzionato) alla reale richiesta del “mercato” e probabilmente a quest’ora avremmo un’opera compiuta.
Ho troppa stima dell’ex sindaco ed amico Elio per non comprendere come sia stato l’amore per la conoscenza e per la cultura che lo contraddistingue, nonché la dedizione alla sua città a far sì che proponesse la costruzione del teatro. Ma, facendo leva sulla sua intelligenza, vorrei sottolineare quanto sia azzardato e riduttivo attribuire quel misero 20.8% dei candidati che superano le prove di accesso alle università al sud, alla semplice mancanza di teatri (troppe e troppo note sono le concause).
Forse, se dessimo qualche prospettiva di futuro ai nostri figli, vedremmo maturare in loro anche la volontà di crescere culturalmente.
Qualcuno poco tempo fa disse che la cultura non si mangia, io dico che se “si avesse da mangiare” (inteso come tranquillità dell’esistere), ritroveremmo anche l’appetito per la cultura o, più prosaicamente: “panza chjna canta”.

PUBBLICATO 12/04/2013





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