RELIGIONE Letto 2684  |    Stampa articolo

… Con il potere della sua persona

sac. Sergio Groccia
Foto © Acri In Rete
Il rapporto tra fede e potere, nelle concrete vicende delle persone, delle comunità e dei popoli è una costante della storia, con qualche luce, ma soprattutto con ombre, anche di persecuzione e di morte. Si intende fede “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze”, quindi come coinvolgimento profondo, come forza profetica nell’annuncio e nella testimonianza fedele e coerente.
Si parla del potere nei suoi assetti e metodi di arroganza, di oppressione e di violenza, distinguendolo da quel potere positivo che si caratterizza per la preoccupazione e l’impegno concreto a servizio del bene comune. Si parla della religione come espressione della fede, con il pericolo costante di sminuire e tradire la fede stessa facendola diventare un ingrediente sociale, un sostegno agli assetti dominanti. Gesù è un laico; non un sacerdote, non un maestro della legge; non è un uomo di potere; con il potere ha un rapporto dialettico, provocatorio perché lui sta in mezzo, accoglie, ascolta, dialoga, guarisce, perdona soprattutto le persone oppresse, schiacciate, emarginate e scomunicate dal potere dei sacerdoti, dei capi del popolo, dei maestri della legge e dell’impero romano che occupa la Palestina. Vive il dolore per l’uccisione da parte del potere del profeta Giovanni Battista, suo cugino.
Esprime la crescente consapevolezza che il potere agirà in modo repressivo e violento anche nei suoi confronti: “E allora Gesù aggiunse: Il Figlio dell’uomo dovrà soffrire molto. E’ necessario. Gli anziani del popolo, i capi dei sacerdoti e i maestri della legge lo rifiuteranno. Egli sarà ucciso, ma il terzo giorno risusciterà”. Di fatti lo arrestano con il loro esercito; lo processano sommariamente e falsamente e lo condannano a morte. Lo consegnano a Pilato, procuratore dell’impero romano insinuando che è un sobillatore del popolo, affermando che ha molto seguito.
Il Vangelo di Giovanni 18, 33-37 ci presenta una scena inquietante, dolorosa e insieme luminosa: Gesù inerme, forte della sua umanità-divinità di fronte al sanguinario procuratore di Roma. Pilato chiede a Gesù: “Sei tu, il re dei Giudei?” e Gesù risponde: “Il mio regno non appartiene a questo mondo. Se il mio regno appartenesse a questo mondo, i miei servi avrebbero combattuto per non farmi arrestare dalle autorità ebraiche. Ma il mio regno non appartiene a questo mondo. Pilato gli disse di nuovo: Insomma, sei un re, tu? Gesù rispose: Tu dici che io sono re. Io sono nato e venuto nel mondo per essere un testimone della verità. Chi appartiene alla verità ascolta la mia voce”.
Il Regno di Dio, utilizzando questa immagine, cioè l’umanità che Gesù è venuto ad annunciare e ad iniziare non è impostata ed attuata con i criteri di questo mondo, ma certo è per trasformare questo mondo. E’ l’umanità della giustizia nel mondo dell’ingiustizia; della non violenza e della costruzione della pace, nel mondo delle armi e delle guerre; non a caso nella risposta di Gesù c’è il riferimento alla mancanza di un suo esercito che non ha combattuto per liberarlo; è l’umanità dell’accoglienza nel mondo delle discriminazioni e dei razzismi; è l’umanità in relazione con tutti gli esseri viventi, nel mondo della usurpazione delle risorse, della distruzione dell’ambiente vitale; è l’umanità di uomini e donne che vivono la loro integrità di persone con la dimensione spirituale e culturale, etica, economica, politica, artistica e contemplativa, non materialista e consumista, bensì attenta alla sobrietà e all’essenzialità, alla condivisione e alla festosa convivialità.
Una qualità decisiva del Regno di Dio è la verità, come afferma Gesù nella risposta a Pilato. Nel Vangelo non c’è la nozione di verità come puro contenuto della mente, come puro atto conoscitivo. La verità è un modo di essere, una forma di esistenza; un fare; fare la verità significa sempre e soprattutto dare dignità umana ad ogni persona.

PUBBLICATO 28/11/2012

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