Siamo NOI la SCUOLA
Angela Maria Spina
Già il 14 Novembre, Studenti e Docenti invadendo Roma, avevano reso il segno drammatico della difficile situazione, resa anche attraverso immagini dure, così come uguale durezza hanno offerto gli episodi di cronaca recente, registrati a conferma che di scuola si può anche morire. Un clima, difficile e pericoloso che ha palesato se possibile il degenere di una violenza sorda e cieca, che si vuole rendere strumentalmente, deriva della partecipazione. Svariate città mobilitate in tutta Italia, centinaia di scuole nel paese istituti d’istruzione di secondo grado, facoltà universitarie in fermento, per un cambiamento complesso, a tratti “paralitico” auspicabile ma difficile e sempre più lontano da venire. Acri non è stata da meno, ha avuto la sua manifestazione, si è agganciata al resto del paese, ha denunciato quel clima pesante che si respira nelle scuole italiane; Acri ha fatto la sua parte, esprimendo quel malessere e quella sofferenza che è un dato incontrovertibile. L’espressione “è sempre peggio” anche a queste latitudini, la si ripete sconsolati da tempo; ogni giorno dell’ anno scolastico un’insoddisfazione diffusa si avverte sia che siamo docenti, studenti o famiglie. Non è dunque normale che si possano accettare con indifferenza ad esempio, suicidi, violenze, così come disagi e violazioni talvolta fin anche incostituzionali di libertà, e ne resti coinvolta la scuola. Una condizione traducibile in concretezza: sempre minori contenuti, riduzione di ore di lezione e docenti, pochi strumenti insufficienti; risorse incerte; disperata solitudine; rendono l’idea dell’ ABBANDONO delle Nostre Scuole Pubbliche; abbandono che ci inchioda TUTTI alle nostre personali responsabilità Etiche, Civili e Morali di uomini e donne, di professionisti di questo tempo storico e di questa sconsiderata realtà. Indissolubilmente gli avvenimenti di cui la nostra Scuola pubblica è fatta oggetto, si legano a doppio filo con le scelte individuali di molti di noi lavoratori e professionisti di questo inesplorato incompreso e maltrattato mondo, che negli ultimi tempi affannosamente cerca di parare i colpi sferrati vigliaccamente da politiche sbagliate e scelte scellerate, destinate ad accompagnare il paese più che alla deriva, alla rovina autoinflitta, giacchè NON TUTTI ci mettiamo nelle condizioni di DIFENDERLA e CURARLA la Scuola, ognuno con i propri strumenti, mezzi e capacità. Docenti, Studenti, Famiglie, Istituzioni, Società Civile e Politica, giacchè tutti Noi siamo la Scuola. La SCUOLA non è quella che forse immaginano per noi dall’esterno, è quella che costruiamo insieme da dentro e da fuori, è quella che unisce o divide che rende migliori o peggiori; è quella che sa creare comunità e gruppo e quella solidale che include e quella discriminante che separa colpevolmente e allontana; talvolta divide nelle disorganicità e nelle incongruenze di un mondo che ha più anime e che fà della propria diversità la propria indispensabile funzione di crogiolo. E’ quella che invoca unità ma si divide nelle sue battaglie sindacali fatte da sigle concertative e non, che evocano la clave dell’unità e poi puntualmente si defilano in ritirata con poco meno di un magro bottino come risultato. Noi Società civile siamo Scuola, una forza che si difende come può e senza colpo ferire sopravvive sgangherata, in ragione del diverso ruolo dei suoi attori protagonisti, al quale ciascuno di noi assolve, dentro le mura e fuori da essa, anche quando ci riscopriamo TUTTI come piccolo tassello inifluente di questa complicata storia. Lavorare insieme ci rerderebbe sicuramente migliori -forse- renderebbe la scuola più forte, renderebbe ciascuno di noi indomito e magari anche più sicuro e coraggioso (ma così non è, se pur vorrei). Non è partecipazione, non è collaborazione, talvolta non è presa d’atto dello status simbolico ma come un pachiderma sopravvive a sè stessa talvolta stancamente trascina il suo pesante fardello che la vorrebbe al tempo stesso snella e agile, corpulenta e fortemente animata, prodotto di un’apparente contraddizione in termini che dell’una esclude l’altra e vede ognuno collocato con precise funzioni e responsabilità, come altrimenti e diversamente non si potrebbe, in queste instabili condizioni. La scuola è forse anche la forma imprecisa di una immaginazione irriverente che pretende spesso di affermare coerenza attraverso l’incoerenza. Talvolta si trasforma in scellerata volontà lesionista di tutte le parti in causa che diconsi scuola; perciò continuiamo a sminuire gli aspetti della questione, fingendo di comprendere poco e male tutta la gravità della patologia della Scuola e quella della sua cura (forse anche di quella che potrebbe migliorare un paese intero); per soffocare o colpevolmente ritardare interventi indispensabili e irrinunciabili per la sua stessa esistenza in vita; che chi fà scuola conosce bene. L’ Emergenza lanciata dalla Scuola per la Scuola è prima di tutto sociale ed economica, poi è nel contempo anche culturale. E’ l’emergenza per le sorti di un paese intero, che alla scuola si lega o dovrebbe legarsi serratamente, proprio per risollevarsi dal guado. La devastazione della scuola statale sta distruggendo vecchie e nuove generazioni; ha già impoverito il paese di energie intellettuali di speranze, alimentando rassegnazione e vittimismo. Gli insegnanti e gli studenti sono gli agnelli sacrificali, vittime spesso ignare o per vocazione dedite all’abnegazione di un sacrificio (sebbene nessuno lo riconosca specie alla categoria dei docenti), che comunque vada non è sufficiente per salvarci tutti. La classe politica dirigente punta infatti al superamento della scuola aperta a tutti, punta al ritorno ad una scuola classista, ed ha già dimostrato come ha inteso investire le risorse di quel risparmio forzoso che la scuola pubblica non smette di pagare. Ma siccome questo non è un gioco di ruolo. Non è un una finzione nè un’invenzione allucinata, ma è un consistente dato reale - dimostrabile in ogni istante- c’è bisogno di scegliere le “azioni giuste” con serietà, impegno e appropriata cura dunque chi vuole starci si aggrega e manifesta, chi invece si accontenta, goda di quello che ha, possibilmente senza nascondersi dietro agli altri che manifestano altresì per sè e non anche per conto terzi. Questa non è una “lotta” di alcune categorie: quella dei docenti di ruolo da una parte, destinati ad essere sempre meno e sempre più vecchi; condannati a lavorare di più e se possibile anche gratis; lontani dalla parità di stipendio con i colleghi delle altre scuole pubbliche d’Europa. Non è la campagna contro chi ci obbliga a lavorare di più e certo anche peggio, privi cioè delle preziose risorse d’istituto. Non è solo la “lotta” dei docenti precari – destinati a non immaginarsi un futuro, una vita ed una dimensione esistenziale e professionale che veda riconosciute rispetto o considerazione condannandoli alla liquidazione come merce avariata e scaduta, “pattumierizzati” (a oltre cinquant’anni) - dopo un uso vergognoso – non è la campagna di migliaia di docenti pluri abilitati umiliati, offesi e derisi nella professionalità immolati alla “quizzeria” di un concorso ingiustificato e inutile (con Graduatorie di precedenti concorsi pubblici non esaurite), che offende e aggiunge nuova irriverente violenza allo status d’invisibilità e trasparenza di costoro, che magari da oltre vent’anni sorreggono sulle proprie spalle tutto il peso di un sistema sgangherato e macilento, che non permette di seguire una classe per due anni di fila, negando il diritto a studenti e insegnanti. Non è solo la “Lotta” delle nuove generazioni a cui è negato qualsiasi accesso al mondo del lavoro, la lotta degli studenti ai quali di fatto è negato il diritto allo studio, al sapere alla cultura. E’ la lotta di civiltà di questa emaciata società che se mai ha bisogno di più e di una Migliore Scuola, forse perchè ha bisogno di più e di migliori insegnanti di più e migliori politici e legislatori; che ha bisogno di più e migliori uomini e donne di questo nostro paese. È evidente che questo movimento di sofferenza, disagio e protesta della Scuola, così forte e convinto non è tollerabile in questo paese che dimostra tutta la sua provinciale mediocrità culturale quando abbandona il proprio patrimonio all’incuria ed allo sfacelo. Non lo è forse neanche per la nostra realtà cittadina, se abbandona a loro stessi gli attori protagonisti della manifestazione, senza nutrire il bisogno di accompagnare e rafforzare una manifestazione a carattere nazionale, legando idealmente la protesta delle nostre strade a quella. Questo movimento della Scuola - ancor di più perchè pacifico e trasversale - inopinatamente faceva forse correre qualche rischio alla scuola stessa? Svegliava qualche coscienza atarassica; sollevava e inchiodava alle responsabilità civili e civiche ciscuno di noi; lasciava impartire una difficile lezione di democrazia e partecipazione a quanti non ne avrebbero preso parte? O semplicemente avrebbe declinato la responsabilità in chiave di partecipazione, nella ricerca di orizzonti di senso alla democrazia alla libertà alla storia? Localmente la manifestazione ha Urlato non solo slogan ad effetto, ma anche una rabbia amara dolorosissima, la stessa di quelli che vi hanno preso parte e che alla domanda dove sono tutti gli altri ? non ha Saputo nè voluto trovare risposta. In pochi hanno sentito il bisogno di partecipare (solo due licei, un manipolo di docenti ex docenti e genitori) nonostante la popolazione scolastica cittadina fosse tra le più numerose e popolose con insegnanti e studenti di ogni ordine e grado. Pochi hanno accompagnato e seguito gli attori della manifestazione – scuola, pochi hanno solidarizzato con loro accompagnandoli e se possibile guidandoli nel percorso di comprensione del reale, di ammiccamento alle necessità vitali di ciascuno cittadino istruito che condivide l’idea “malsana” del nutrimento fatto anche di cultura e conoscenze, necessità assolute incontrovertibili, anche per scongiurare e allontanare nuove moderne emarginazioni e violenze. Questo movimento cittadino della scuola era una lama fendente, tagliente di aspettative e forse anche di qualche sogno, quello di dare forma all’unità e alla solidarietà forse misurando anche spessore e sensibilità di tutti. Gli assenti sono stati i più loquaci hanno urlato specie ai propri alunni i significati e il senso di certe scelte, di certi comportamenti sfuggenti ed irresponsabili, come quello di non poter disporre di una sala per poter improntare ed affrontare un dibattito pubblico aperto e democratico e una civile discussione, disponendo come si conveniva di sedie, microfoni e di servizi. Forse per questa ragione in troppi erano assenti e i loro posti vuoti tali sono rimasti, ma non per questa ragione la manifestazione è stata un insuccesso, anzi al contrario ha visto solidarizzare padri e figlie docenti ed ex docenti professionisti ed operatori della scuola, genitori, cittadini solidali che hanno sentito l’irrefrenabile bisogno di manifestare. Credo che quella manifestazione sia servita a creare Unità e non divisione come forse si preferiva. Ritrovarsi insieme per sfilare, ragionare, commentare e conoscersi, è stato forse più importante di una vuota distratta lezione in classe. Ha permesso a ciascuno di noi di ritrovare il senso al qui ed ora insieme; che evoca e rimanda ad una sorta di patto di cristallo cioè ad un afflato pedagogico che merita di essere stabilito tra docenti, studenti e gli altri attori della scuola, vicini oggi più che ieri indissolubilmente. La manifestazione non è stata concepita per Non fare scuola è essa stessa Scuola e meritava di essere compresa, capita, rispettata e soprattutto onorata. Meritava certo di più, un luogo confortevole e la partecipazione di tutti, perchè è un beneficio che si mette al servizio della società intera, presidio di emancipazione e progresso ed in quanto tale merita innanzitutto correttezza e chiarezza delle parti in causa, oltre la partecipazione sodale, il rispetto e la considerazione per un lavoro complesso non facile, che proietta e dirige lo sguardo dritto e aperto anche sulla realtà del futuro. Lo sciopero della scuola merita rispetto e considerazione, lo merita non solo con ogni evidenza per lo spazio e il clamore nazionale che è riuscito ad ottenere, ma lo merita perchè ha affermato e proposto la civiltà ed il rispetto come principi e valori fondanti. Perché manifestare la forma del dissenso solo nella capitale? Perchè rinunciare ad una lezione svolta nelle nostre strade? Perchè questo è stata la manifestazione, è stata una lezione scolastica di coraggio e dignità impartita al paese. Manifestare le forme del dissenso rinunciando a qualcosa in favore degli altri - anche di quelli a cui lasceremo in dote il lavoro e la scuola – è patrimonio che merita di essere difeso ed affermato ad ogni costo senza equivoci o fraindentimenti. E’ ineguagliabile e potente il significato che assume il messaggio di uno sciopero, rendendoci capaci di ritrovare la nostra stessa dignità di lavoratori, quella talvolta “smarrita” o semplicemente “offuscata” - che (malgrado gli sforzi e i sacrifici traditi) impone tra gli altri il dovere di rispondere alle nostre coscienze e alle domande che figli, alunni, collettività ci chiedono di fornire loro; spiegazioni sicuramente anche etiche oltre che civili che Inchiodano. Quella stessa richiesta di risposte è arrivata da quegli studenti acresi anch’essi forse delusi e forse anche arrabbiati; che accanto a sè avrebbero voluto prima di tutto gli altri coetanei e poi tutte le restanti altri parti in causa della della Nostra/Loro scuola. Come Docente ho partecipato allo sciopero che i maturi alunni del Liceo Scientifico/Classico hanno sentito il bisogno di organizzare per le vie della mia città, ho scelto di manifestare nel mio luogo di residenza e non di lavoro, o a Roma poichè ho inteso offrire una caratterizzazione simbolica all’appatenenza ad un territorio che depauperandosi di tutto non può lasciarsi toccare anche la Sua Scuola. Ne sono rimasta colpita: Lo spirito di resistenza, le argomentazioni “puntute” di molti giovani liceali; li ho trovati rassicuranti non così per il vuoto degli altri assenti. Tuttavia la manifestazione è servita non a solcare il terreno delle differenze e diversità tra scuole, ma se possibile è servita a collegare e mettere in relazione non i perditempo (studenti o docenti “fannulloni”) con gli efficienti e zelanti (burocrati, tecnocrati ecc) I servitori dello stato e il resto di quel mondo con la Scuola e I suoi bisogni concreti. Non nascondo di essermi posta un dubbio amletico: Perchè dunque c’è stato chi non ha sentito la necessità di partecipare ed essere presente? (liberi di farlo!) La risposta forse anche retorica potrebbe essere che la manifestazione è servita anche a mettere in relazione diversificata i furbi sciocchi con i possessori di una coscienza etica e civile in perfetto stile italiota, quella che rende la furbizia una virtù ma sempre a danno dei più deboli; e questi NO che Non meritano di essere lasciati soli e isolati, ma sostenuti e sorretti, se possibile aiutati, nell’organizzazione e ideazione. Con essi bisogna interloquire, per costruire e condividere anche un progetto di protesta attraverso un’idea condivisibile o non condivisibile, ma pur sempre una Idea chiara trasparente, sincera, pedagogicamente costruttiva e soprattutto utile. Ergo: è stato sbagliato usare l’arma dell’indifferenza. “La Vergogna è stata di chi non c’era” di chi Scuola di ogni ordine e grado NON ha sentito il bisogno sia pure formale di essere al fianco di colleghi, studenti, docenti, famiglie in una parola della Sua Scuola! Costoro Non hanno smarrito la coscienza etica e morale della loro funzione, Non hanno tradito niente e nessuno, hanno semplicemente scelto di Non essere lì e con la Scuola. I “disertori” e i “latitanti” della manifestazione di protesta della nostra Scuola, TUTTI costoro hanno semplicemente sprecato un’occasione: disdegnando l’afflato partecipativo alla protesta nazionale e locale, si sono nascosti dietro i “coraggiosi” per scomparire invisibili alla realtà del loro tempo storico e soprattutto annichilirsi in quella ben più amara del proprio paese. I Coraggiosi giovani liceali hanno Saputo offrire una lezione di civiltà e coscienza, hanno INSEGNATO alla città e al paese di non essere una monade impazzita nè un manipolo di irragionevoli irresponsabili sconsiderati e pericolosi. Quali ragioni e motivazioni migliori di quelle che ho ritrovato avranno trovato gli assenti per lasciare soli i propri compagni? Tanto per non creare equivoci ribadisco e rilancio una provocazione: ma questa strana e variegata società cittadina, e con essa il proprio piccolo piccolissimo globo politico, che guarda i propri giovani in modo sconsolato e da essi si aspetta magari fiduciosa anche qualche indicibile “miracolo culturale” in quale emisfero terraqueo pensa di risiedere se essa stessa abdica a tutte le sue precise responsabilità e funzioni e latita? Ciò detto contemplo e rispetto il diritto inviolabile delle libertà di ciascuno, l’autonomia personale, diversa, altra e l’autodeterminazione di ciascun titolato alla discussione. Ma ci sono dei momenti in cui prontezza e tempismo o forse solo il senso della realtà ci inchiodano. La protesta parlava a tutti indistintamente, ai politici maldestri, ai tecnici avventati, alle istituzioni incerte e inefficaci agli operatori della scuola che nelle manifestazioni hanno smesso di credere ( e non si capisce questi in cosa altro abbiano cominciato a credere?) a quanti hanno comunque scelto da quale parte stare. A quelli che invece hanno sentito il bisogno di essere vicini a quegli studenti e a tutti gli altri, a quella parte Sana di questa nostra Scuola, (Che non subisce ma almeno protesta!) e che comunque si pensi - è inequivocabilmente in fermento – a ciascuno di noi il regalo di una magnifica giornata insieme che ci ha regalato un insegnamento forte: il valore della dignità e della coerenza. I presenti alla manifestazione hanno messo le proprie facce nell’interesse per la scuola, si voleva approntare la realtà, ci siamo riusciti, facendo adeguatamente e responsabilmente la Nostra parte. A chi invece usa l’immagine della scuola per rincorrere il miraggio di un paese pacificato e finalmente “normale” risponderemo che questo paese è anche l’immagine di noi stessi. Noi siamo un pezzo di questa scuola e con le nostre facce e le nostre piccole grandi scelte facciamo la nostra parte. In fondo la scuola che più ci piace è forse quella che ci somiglia. Rilanciare le strade, le piazze e le scuole serve perciò a far riscoprire una nuova socialità che è condivisione, è costruzione di un nuovo sistema di relazioni, è una gestione collettiva di spazi, tempi e se possibile saperi. E magari può fare sbocciare anche la voglia di tornare a pensare l’unione come una forza. |
PUBBLICATO 27/11/2012
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