OPINIONE Letto 4202  |    Stampa articolo

Acri si trova sul sito di Atlantide (città)

Giuseppe Palermo
Foto © Acri In Rete
Dopo l’articolo del Dott. Giuseppe Via, pubblicato su Acri In Rete il 18 agosto u.s., e riguardante il mio libro Atlantide degli Italiani, pur avendo ad esso scritto un commento, credo di dovere ai lettori di Acri In Rete alcuni chiarimenti. In seguito a laboriosi e scrupolosi studi, in quel libro dimostro, in modo inoppugnabile, che Platone (Atene, V-IV sec. a.C.), l’artefice del racconto su Atlantide, fantasticò e additò una grande isola nell’Oceano Atlantico, ma descrisse un territorio che conosceva molto bene, quello della Penisola Calabro-Lucana del Mediterraneo (quasi tutta la cosiddetta Magna Grecia), o Regno di Italo o “Italianide” (si noti la somiglianza della parola “Italianide” con “Atlantide”…); la sua capitale, Acri (già indiziata di sorgere sul sito di Pandosia - in altra sede si vedrà che Pandosia e Atlantide-città erano nomi diversi della medesima Acri antica -), e la Valle del Crati. In realtà dunque Platone indicò …la luna nell’Atlantico, ma descrisse …il dito nel Mediterraneo.
Convengo sul fatto che le mie affermazioni siano ardite, “troppo grosse”, abnormi, ma, a rifletterci bene, solo rispetto a ciò che su Atlantide è risaputo ed è creduto vero, e ciò che è risaputo e creduto vero è stato dedotto pedissequamente dal racconto di Platone, e allora come oggi, se egli disse il vero è vero, se disse il falso è falso. Ora, nessuna persona di senno metterebbe la mano sul fuoco sostenendo che in ogni caso abbia detto il vero. D’altronde, come risaputo, i turlupinatori esistevano anche a quei tempi (fino ad ora non si è mai capito fino a che punto). Eppure si continua a credere ciecamente alle sue parole. Ancora oggi: “Ipse dixit!”, “Lo ha detto lui!”, dunque è vero. Che puerile ingenuità! Chi legga con attenzione e completamente il mio testo non può non comprendere che i fatti stiano come li affermo, e che il grande errore di Platone fu quello di avere citato, oltre a molte descrizioni, molte misure precise sia delle coste che dell’interno del territorio della sedicente “isola” di “Atlantide”: dei suoi due lati; della sua distanza dal mare fin giù, della distanza di 9 km del suo monte di piccole dimensioni dal centro della sua pianura centrale; del diamentro di 900 m di quel monte; del suo canale, lungo 9 km e largo 90 m, ecc. Contrariamente a tutti gli scritti su Atlantide conosciuti, che sono solo ipotesi, le mie sono dunque documentazioni basate su riscontri obiettivi, che sono talmente concentrati su luoghi della Penisola Calabro-Lucana e di Acri da non potere essere assolutamente di alcun altro luogo della Terra.
Dimostro anche, fra molto altro, e sempre in modo incontrovertibile, che sostanziamente i letterati greci e latini (quasi tutti sacerdoti e ricchi), in un modo o nell’altro furono degli impostori, che turlupinarono e turlupinano la gente usurpando, invertendo, manipolando e stravolgendo quasi sempre dal mondo di “Italianide”, un mondo, e una civiltà, che i poteri politici e religiosi di Roma cancellarono dalle biblioteche e dalla storia. Certo, le mie affermazioni sono fuori dal comune, ma le prove sono lì, per constatarne parte basta verificare, anche con una semplice carta geografica.
Chi scrive un libro come quello (Ed. Falco, Cosenza, 2012, form. 17x24, 75 foto bn, 81 a colori, delle quali 26 da satellite, E 15), non poteva e non può non sapere che, dopo che le menzogne si sono affermate e stabilizzate nel tempo, i pregiudizi (veri avversari e detrattori del mio libro) fanno sì che le verità stentino nel farsi strada (e poi, ci si aspetta le verità chissà da chi, chissà da dove, chissà come…); che “nessuno è profeta in patria”; che ci sarebbe stato perfino chi, ironia della sorte, proprio in Acri, e in malafede, avrebbe fatto finta di non vedere, di non sentire, di non capire, e che non sarebbero mancate le meschinerie e le diffamazioni delle menti troppo ristrette di coloro i quali, giungendo a guardare e capire fino al proprio naso, avrebbero pensato che fin lì sarebbero arrivati a quardare e capire anche gli occhi e le menti degli altri. Quel libro, non scritto né da un genio né da un pazzo, ma da un lavoratore con la penna, non intende affatto esaltare Acri, né soprattutto farne la fortuna con il turismo; intende solo affermare diverse verità sulla storia vera dei Calabro-Lucani e degli Acritani. Per comprendere, non c’è affatto bisogno di conoscere la letteratura greca (fermo restando il periodo di vita degli antichi autori, ai loro nomi si possono sostituire nomi inglesi, tedeschi o spagnoli e la sostanza non cambia, poiché sono le loro affermazioni che contano); non è stato scritto per specialisti, né per laureati, ma per essere letto e capito da chiunque non sia sovraccarico di pregiudizi, sia dotato di un minimo di scrupolo per la comprensione, e ci metta qualcosa di suo, dato che non è premendo un pulsante che si può conoscere la verità. Certo, ancora, purtroppo, e più che mai, è l’abito che fa il monaco, e non essendo chi scrive un grande prof. universitario, si dubita di lui a priori, ma ciò avviene perché la gente diffida sempre più della propria capacità di intelligere, non vuole esporsi, vuole che lo facciano prima altri, altri che contano, magari le tv. A questo proposito viene in mente un aneddoto del cap. IV del Piccolo Principe di A. de Saint-Exupéry: “[Un astronomo turco] … aveva fatto allora una grande dimostrazione della sua scoperta a un Congresso Internazionale di Astronomia. Ma nessuno gli aveva creduto, a causa del suo vestito. […] Per fortuna, per la reputazione dell’asteroide B 612, un dittatore turco impose al suo popolo, sotto pena di morte, di vestirsi all’europea. L’astronomo rifece la sua dimostrazione nel 1920, indossando un vestito molto elegante. E stavolta tutti furono d’accordo con lui”. (Oltre al mio libro, chi voglia può leggere sulla nostra vera storia antica alcuni articoli del mio sito internet: basta cercare su Google Atlantide degli Italiani)






























PUBBLICATO 05/10/2012

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