Guardiamo al futuro...
Pino Scaglione
Da quel viaggio/reportage (2004) ad oggi, diverse sono le cose peggiorate, ma anche quelle cambiate in meglio, tutte però, queste ultime, ad opera di privati e quasi mai del pubblico. La sensibilitá di pochi, vince sulla moltitudine apatica: associazioni ambientaliste, imprenditori illuminati, ricercatori e docenti universitari, agricoltori che hanno sposato il biologico, giovani che desiderano restare invece di partire, stanno tentando l'impossibile. Interrompere le emorragie croniche, che da anni dissanguano questa terra, bellissima, quanto drammaticamente degradata, invertire la tendenza cronica al piagnisteo e avere in testa un progetto di futuro. Dunque, rieccomi, e dopo aver "gettato il sasso" non ritiro la mano, ovvero, dopo la mia opinione di questa estate, ospitata sulle pagine virtuali di questo macro blog, torno sugli argomenti con una seconda serie di opinioni. Come se questo, dunque, fosse oggi un'altro viaggio, come quello fatto nel 2004, ma tutto dentro i luoghi acresi odierni. Sperando di non tediare il lettore, piuttosto per riflettere, come se lo facessi ad alta voce, e coinvolgere tutti quanti si identificano in queste note. Chiedendo ancora ospitalitá ad Acrinrete, provo ad uscire dalla rassegnazione che spesso pervade quanti vivono al sud, o vi tornano periodicamente, e immaginando che il vento nuovo che soffia in Italia certo riguarderá anche la politica calabrese, ferma da anni al palo di riforme incompiute, disastri subiti, rapine legalizzate al territorio, sfregi al paesaggio. Di questi ultimi parla anche nel suo bellissimo ultimo racconto Carmine Abate, calabrese di Carfizzi, che come chi scrive vive a Trento. "La collina del vento", vincitore del Campiello di quest'anno, nella trama del suo narrare, descrive lo sguardo stupefatto del rientro in Calabria, di una famiglia, tra pale eoliche gigantesche piantate sulle cime di montagne, coste devastate, centri abbandonati e degradati e perdita del senso di comunità. E, non romanzata, la storia di Abate, dispiega la veritá di fronte agli occhi di chi transita in questa terra. Persino Ernesto Galli della Loggia, alla fine dell'estate, per parlare di devastazione del paesaggio italiano ha iniziato il suo editoriale sul Corriere della Sera, parlando del degrado calabrese e delle ferite al suo paesaggio. Siamo diventati il paradigma negativo dei peggiori mali d'Italia. Possiamo seguitare in questo modo? Credo proprio di no. Noi calabresi siamo gente straordinaria, generosa, intelligente e in grado di risollevarsi sempre e con orgoglio. Acri, in questa Calabria, deve iniziare a risollevarsi, deve rimboccarsi le maniche e ricominciare un percorso mai completato di profondo rinnovamento: strutturale, sociale e politico, culturale, economico. Deve immaginare un progetto di futuro, deve puntare sulle sue molte, sopite, dimentiche, risorse. Tra i libri sulla societá italiana del futuro, recenti e di grande successo, cito dunque uno di quelli che a mio avviso potrebbe adattarsi come guida per questo progetto di futuro diverso, in Calabria, ad Acri e non solo. Ermete Realacci nel suo "Green Italy", racconta di molte esperienze (aziende, piccoli comuni, singoli cittadini) fondate sulla economia verde, quella nuova e piú attenta forma di attivitá fondata prima di tutto intorno ai valori dell'uomo e della natura, che guarda al futuro ecologico, all'economia che non inquina e non devasta il territorio e il paesaggio, anzi lo valorizza. Il futuro, di quasi tutta l'Italia, della Calabria e dunque, ancora di Acri, é proprio in questa nuova forma di produzioni sane, naturali, del buon cibo a km0, delle energie rinnovabili intelligenti e non in contrasto con i luoghi, del risanamento del costruito, quasi tutto "malato" di precarietà, dei materiali ecologici e non inquinanti, naturali, e soprattutto su un nuovo senso di comunitá e benessere che abbia radici antiche e sguardi sul futuro. Come si fa altrimenti ad immaginare il futuro di un centro con una economia chiusa, ma un tempo felice e in grado di garantire benessere, in cui oggi passeggiando un pó ovunque, saracinesche sbarrate, negozi chiusi, strade semideserte, rimandano una immagine di disarmo e rinuncia? Come é possibile pensare al domani se non cambiando da subito, evitando la lunga serie di errori del passato e di fronte ad una crisi profonda, sociale oltre che economica, se non immaginando che non era l'industrializzazione il nostro modello, ma "pane e paesaggio" come mi capita di dire spesso in forma semplice, per indicare pochi, ma fondamentali passaggi, mai pensati dai "geniali" politici che si sono avvicendati in questi anni ai governi regionali e locali. Progetti mai neanche attuati dunque, ma semplici e fondati sulle risorse endogenendi territori come Acri e di buona parte della Calabria. Cito tra i molti i piú significativi: turismo naturalistico, sia estivo che invernale, valorizzazione del patrimonio storico, culturale, artistico, enorme e in abbandono, ripresa e rilancio delle tradizioni e delle diverse culture, del cibo, dell'agricoltura di nicchia, ma competitiva, del bosco e del legno, del felice rapporto mare/montagna, di un sistema semplice ma funzionante di infrastrutture moderne, cioé non solo strade e automobili, ma mezzi sostenibili (su ferro e a fune) e poche reti corte, ma efficaci e in grado di connetterci alle reti lunghe, e poi, per non dimenticare che non siamo ultimi, dell'energia pulita, essendo stati, appunto i primi ad ospitarla, produrla, sfruttando elementi naturali, i laghi e le acque, come nel caso della centrale di Mucone. Ecco basterebbe con coraggio, convinzione, tenacia (me lo hanno insegnato i trentini, che 40 anni fa erano piú poveri e disperati dei calabresi) ricominciare a guardare al futuro con questo attento bagaglio di risorse, ancora tutte presenti (malgrado in perenne rischio, per gli incendi dolosi, l'abusivismo, i dissesti, l'incuria e l'abbandono) e capire che un nuovo progetto per Acri, la Calabria, il sud possa partire da cose, all'apparenza scontate e forse ritenute poco efficaci come quelle appena elencate, perché la finta modernitá che ci consegna questo fine secolo scorso, ci obbliga solo a progetti faraonici che non sono e non saranno mai sostenibili, e che non servono piú se non a produrre cattedrali nel deserto. Occorre decrescere scrive Serge Latouche, io sostengo (e l'ho scritto nel mio ultimo saggio "città nella natura") che occorre invece crescere ancora, ma con intelligenza, soprattutto al sud. Con questo spirito, con queste idee, con questo entusiasmo e sguardo di futuro, con un gruppo di giovani professionisti, intellettuali, ricercatori, imprenditori, acresi e non solo, vorremmo proporre un percorso nuovo, che abbia una sua permanente e stabile capacitá di produrre ricerche, idee, progetti in grado di cambiare davvero i luoghi del vivere, dell'abitare dello stare insieme, del produrre. É un progetto ambizioso, necessario, fondamentale: potranno lavorarci stabilmente almeno un paio di Universitá, Trento e Innsbruck (hanno gia prodotto lavori su queste realtá) e ancora altre, potranno esserci confronti, seminari, workshop, eventi, tutto ció che puó servire a cambiare, con ostinazione, un futuro disperato che da piú di cento anni sembra scritto nelle forme piú negative per questi luoghi. La politica potrá dare un suo grande contributo solo se saprá elevarsi fino a questi livelli, intercettare questo fermento, tradurlo in azioni concrete di cambiamento nell'immediato e per i prossimi anni. |
PUBBLICATO 03/10/2012
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