Riprendere le ragioni della speranza
sac. Sergio Groccia
Nella nostra vita è un'autentica impresa dell'anima riuscire a raccogliere, contenere, elaborare le situazioni più belle e positive, quelle più difficili e dolorose e poi proporre idealità, progetti, coinvolgimenti, dedizione di impegno per contribuirvi con continuità e gratuità. Alle volte, infatti, l'esperienza dolorosa determina un arresto della disponibilità e dell'impegno; pare che dopo quello che è avvenuto sia già sufficiente mantenersi in vita; altre volte, il rapporto fra investimento, dispendio di energie ed esiti positivi pare gravemente deficitario tanto da indurre la domanda "se ne vale proprio la pena"; altre volte ancora l'incomprensione ricevuta è così deludente da indurre ad un ritiro dall'evidenza pubblica. Queste situazioni non riguardano solo la persona singola, ma ugualmente famiglie, gruppi e comunità. Si pensi, ad esempio, a una famiglia in cui un componente è stato fatto sparire; è in carcere per le sue idee e la sua attività; si pensi ad una comunità nella quale persone, leader, attivisti, maestri, sindacalisti, preti, religiose sono stati uccisi; a quelle che hanno subito stragi. Come riuscire a rielaborare il dolore, a continuare a resistere, a progettare, a dedicarsi? Come riuscire a sentire questi martiri come "pietre vive delle comunità", come "morti che sono più vivi dei vivi" per la forza spirituale che continuano a trasmettere? Come riuscire a rielaborare il grande dolore di un familiare desaparecido e a trasformarlo in lotta per la giustizia, contro ogni forma di impunità? Eppure tante persone comunità ci sono riuscite e riescono e sono tutti esempi luminosi incoraggianti. In questo contesto di riflessione si può collocare il Vangelo di Luca 24,35-48. Non basta il racconto, neanche la testimonianza indiretta per riprendere le ragioni della speranza: pare davvero necessaria l’esperienza diretta. I due discepoli di Emmaus ritornati a Gerusalemme raccontano agli undici chiusi nella stanza dove avevano celebrato la cena come avevano incontrato e poi riconosciuto Gesù "mentre spezzava il pane". Gesù si rende presente in mezzo a loro e ridice loro il saluto imprescindibile che è dono e insieme responsabilità: "La pace sia con voi". " Sconvolti e pieni di paura, essi pensavano di vedere un fantasma". La loro reazione è umana, più che comprensibile: della situazioni di dolore, di sconferma, di sconforto non si comprendono né subito né bene le possibili presenze anche di persone care, amiche, conosciute; pare che non siano reali, che non siano vere. Poi Gesù chiede loro perché abbiano tanti timori e tanti dubbi e li invita a guardare le sue mani e i suoi piedi per accertarsi che è proprio lui, che non è un fantasma, un'illusione. Mentre mostra le sue mani e sui piedi, i discepoli "sono pieni di stupore di gioia e non riescono a crederci: è troppo grande la loro gioia". È proprio vero: alle volte pare impossibile quello che sta avvenendo; un incontro ormai insperato; una presenza confortante inattesa e inizialmente incredibile; una comunicazione di una testimonianza diretta coinvolgente e commovente. Gesù per confermare la sua presenza reale chiede di poter condividere un po' di cibo con loro. Alla sorpresa ed emozione iniziali è necessario si accompagnino segni di concreta vicinanza e solidarietà. Gesù continua il dialogo con loro facendo rivivere la memoria storica riguardo alla sua persona. Così si prefigura il cammino per la ripresa delle ragioni della speranza: la presenza, non l’isolamento, la solitudine, l’abbandono; una presenza non occasionale, ma profonda, in continuità; la concretezza delle situazioni nell’orizzonte del mistero; la memoria storica attualizzata, viva delle parole e degli avvenimenti. Di seguito, come conseguenza la testimonianza: non si può fare a meno di testimoniare la profondità dei vissuti, le implicazioni nella costruzione di un mondo più giusto e umano. |
PUBBLICATO 23/04/2012
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