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Fede come chiamata alla fedeltà e alla coerenza

sac. Sergio Groccia
Foto © Acri In Rete
Il Vangelo non da per scontata la fede; è, o dovrebbe essere, una buona notizia che riguarda la fede come riferimento, fiducia, affidamento in Gesù di Nazaret che ci rivela la presenza, il volto, l’azione di Dio. La questione della fede non è di semplice lettura, ne è definizione chiusa: di per sé, chiede in continuità apertura, approfondimento, dedizione, riflessione; non è una dimensione vaga e astratta, perché mette in relazione storia e trascendenza; spiritualità e materialità; preghiera e coinvolgimento e impegno per contribuire a rendere più giusto e umano questo mondo.
La fede – riferendoci a quella che fa riferimento al Dio di Gesù di Nazaret, con attenzione, dialogo e a collaborazione alle altre fedi religiose- certamente influisce e molto, se è autentica, sulla vita e sulle scelte delle persone, delle comunità, di un’intera società. Si nota, per altro, il costante pericolo che le conseguenze positive, nel proseguire del tempo, si attenuino e diventino un riferimento vago, una pretesa di rendita di posizione, mentre gli atteggiamenti e le decisioni spesso smentiscono l’ispirazione alla fede e alle sue esigenze di fedeltà e di coerenza. Così, ad esempio, spesso, specie da parte di alcuni gruppi, forze politiche, e anche della Chiesa istituzionale si invocano le radici cristiane dell’Europa e dell’Italia, la cultura cattolica, salvo poi smentirne gli insegnamenti fondamentali riguardo alla giustizia, all’uguaglianza, all’accoglienza, alla pace, alla salvaguardia dell’ambiente vitale, all’attenzione ai più fragili, deboli, poveri.
La fede cercata, intuita, vissuta, testimoniata o considerata indifferente o negata pone comunque alcune questioni aperte, dato che le diverse risposte possono avere conseguenze importanti e significative nella vita delle comunità e delle società.
Si percepisce poi quale delicatezza assume la dichiarazione di essere credenti o non credenti, dato che immediatamente è chiamata in causa la domanda di quale Dio si tratta, dato l’uso abbondantemente strumentale che si fa del suo nome e del riferimento a Lui, configurando un vero e proprio politeismo.
L’esperienza di tante persone, di quelle che con umiltà si dicono credenti, sempre in ricerca di autenticità e di coerenza racconta che il messaggio, l’insegnamento della fede può essere venuto certamente anche da letture, approfondimenti e riflessioni, ma sempre e soprattutto dalla testimonianza di vita fedele e coerente di qualche persona: e quella è stata come una chiamata interiore a seguire quell’orientamento, quella sensibilità. Quello stile di vita e di relazioni, di dedizione e di impegno.
Ci porta a questa riflessione il Vangelo di Giovanni 1,35-42 che ci narra la chiamata dei primi due discepoli. Su indicazione di Giovanni il Battezzatore, due uomini seguono Gesù che si volta e chiede loro che cosa vogliano; alla loro domanda su dove lui abiti Gesù risponde: “venite e vedrete”. Vanno e rimangono con lui il resto della giornata. Sono Andrea e suo fratello Simone che Gesù comincia a chiamare “Cefa” che in ebraico è lo stesso che “Pietro” e vuol dire “Pietra”. Il cambiamento del nome esprime una nuova scelta di vita.
Una narrazione che indica relazione fra persone, ricerca, invito a vedere e vivere una nuova esperienza, scelta, cambiamento. Gesù di Nazaret non porta una nuova dottrina, non istituisce una nuova religione, comunica una fede che coinvolge la profondità dell’essere, la sensibilità, le relazioni, le scelte il più umane possibili, per contribuire a rendere umano questo mondo; fede come fedeltà a Dio e alla storia, fatta delle storie delle persone, delle comunità e dei popoli.
Chissà se noi come persone, come comunità possiamo dire a chi cerca, a cominciare da noi stessi, come ha detto Gesù: “Venite e vedrete”. Cioè vedrete fedeltà e coerenza, segni credibili.

PUBBLICATO 16/01/2012

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