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Anna Algieri e le possibilità di un passato presente: Il giardino di Dida

Rinaldo Longo
Foto © Acri In Rete
Il mio primo approccio alle "sette fantasie" de Il giardino di Dida di Anna Maria Elisabetta Algieri ha suscitato in me la sensazione di trovarmi di fronte ad una fiabesca scatola magica paragonabile ad un algoritmo, semplice nelle sue componenti verbali e strutturali, ma profondo ed intrigante nel suo significato tutto da scoprire.
Con questo scritto voglio comunicare qualche riflessione sulle problematiche che questa opera richiama ed integrare il contributo da me già dato, firmandone la prefazione, per l'inizio di un dibattito sereno e serio sull'opera stessa.
C'era una volta un essere umano di sesso femminile che i genitori, mamma Rosa, che è una Mamma-bontà-carità-saggezza ed un papà molto premuroso, chiamarono Anna Maria Elisabetta, ma che personalmente sceglieva a volte di chiamarsi Riccioli d'oro, a volte Dida, altre volte Marta, e questo accadeva quando si calava come protagonista in una favola. Questa donna è tuttora protagonista di un racconto, o se volete, di una favola, che insieme con quanti a tutt'oggi si stanno interessando della sua opera, mi accingo a narrare.
Si tratta di una favola per adulti. Leggendola vi accorgerete che come in ogni favola tutto incomincia con un disagio. Anna Algieri che pure è cresciuta alla scuola di sani principi della sua famiglia non è esente da umani disorientamenti. Per tutti, in ogni momento della vita, vi può essere qualche problema che genera disagio e sul quale c'è sempre qualcuno o qualcosa che sembra agire risolvendolo col suo intervento.
Ma la favola di Anna Algieri è per adulti e, la terza fase della favola, quella del conseguimento della felicità e della serenità che è legata alla emozionalità di ognuno, la lasciamo scoprire ai lettori del libro in questione e/o degli altri suoi libri. Anticipo che in tanti hanno parlato di superamento dello smarrimento grazie alla fede e all'amore per il divino. Potrebbe essere vero.
Certo è che con Il giardino di Dida Anna Algieri vuole ricordarci che nel mondo in cui viviamo il bailamme di stimoli e di segni e segnali può disorientarci, come succede a Dida in mezzo ai fiori e ai profumi, e farci entrare in un cul de sac, una via senza uscite. E allora come fare? Come orientarsi? Prima cosa esercitarci il meglio e il più possibile nella lettura della realtà, inondati di 'religio' (= spinta al bene), augurandoci che la natura e la società ci aiuti e ci favorisca in questo.
D'altronde l'etimologia del nome proprio Dida (abbreviazione di Candida, dove i significati di offrire e prendere innestati sulla radice can- ci consegnano il valore di chi o che si illumina e prende e dà luce, biancore e candore) e il richiamo a didasco (insegno) aiutano certamente a farci comprendere la materia e lo scopo di questa recentissima (Giugno 2011) opera di Anna Algieri, intitolata Il giardino di Dida e pubblicata per la collana Gli Emersi-Narrativa dalla Editrice Aletti di Guid'Alba di Guidonia (Roma).
L'autrice finora non ha detto esplicitamente, e non si sa se dirà e quando esplicitamente, la sua sul perché tredici anni fa ha titolato così quest'opera e sul perché l'abbia tenuta in ibernazione ben tredici anni. Pare che Anna Algieri, attenendosi alla posizione che è chiamata, nella filosofia del tempo, concezione a blocco quadridimensionali della realtà o eternalismo, ha detto, dice e così facendo avrà detto e dirà la sua, compresa la sua storia o parte di essa, facendo albergare nella sperimentazione del suo parlare o del suo silenzio una compresenza di "presentismo" e di "possibilismo".
Anna Algieri sa che ciò che intriga, come d'altronde è risaputo, è lo stare ai confini tra la realtà e la fantasia, tra l'autobiografia e l'invenzione, tra la realtà e la favola, tra presentismo e possibilismo. Questo suo libro sa, come ho detto in altro luogo, di romanzo paranormale: vi accadono tante cose che non si possono spiegare con le normali leggi scientifiche (si veda ad esempio quanto avviene nel racconto Riccioli d'oro , dove Anna Algieri entra ed esce dalla realta) . Nel raccontare l'autrice usa più d'una volta la prima persona, e ad iniziare il racconto è più d'una volta il classico C'era una volta (cfr.i racconti Riccioli d'oro e Le mie bambole).
Ora, con la coscienza di quanto ho appena esposto concludo il mio dire sottolineando che a dominare la favola della nostra mente e quindi della nostra vita sono i bias ( i pregiudizi), i sentimenti e le emozioni. Da questi dipende la maniera come ci poniamo nella società e quindi anche la scelta delle parole e delle espressioni, cioè l'andamento e la carica significante del nostro parlare.
Certo bisogna ringraziare Anna Algieri, per quello che ci fa leggere e per il contributo e gli stimoli che dà per la crescita culturale della comunità.

PUBBLICATO 07/11/2011

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