Trematerra e i giovani: un rapporto difficile
Mirko De Maldè
Sento di dover manifestare le mie impressioni, concentrandomi in particolare sul punto in cui il Sindaco si cimenta nel dare una qualche risposta alla domanda posta dall'intervistatore rispetto al fenomeno dell'emigrazione dei giovani acresi - orfani di un paese che pare poter fare benissimo a meno di loro e privi di una qualche motivazione o prospettiva che li spinga a rimanere o tornare nel loro paese di origine, fatti salvi gli affetti familiari. Mi verrebbe quasi da sorvolare sulla carrellata, quasi fiera, dei "tanti incarichi" ricoperti dal nostro sindaco (oltre a dirigente regionale di partito, deputato europeo e primo cittadino); mi pare tuttavia doveroso fare una considerazione sull'immagine, a mio modo di vedere, altamente diseducativa di un uomo politico che - a prescindere dal concreto contributo che è effettivamente in grado di dare alle diverse cause - accumula incarichi che richiederebbero ognuno il massimo dell'impegno e del tempo di una persona che voglia occuparsene seriamente. Ma passiamo oltre. Nel seguito dell'intervista Trematerra dice di avere come obiettivo quello di formare "una classe dirigente che sappia assumersi quelle responsabilità che le permetteranno di governare la città". Devo dire che non capisco in che modo egli stia di fatto contribuendo alla formazione di tale classe dirigente e, più in generale, quale contributo stia effettivamente dando alla popolazione giovanile di Acri, da cui tale classe dirigente dovrebbe presto o tardi emergere. Forse voleva riferirsi ai giovani del suo partito ma, in questo caso - e senza valutare la formazione che questi ricevono - , non si tratterebbe che di una porzione direi marginale della popolazione giovanile acrese, che invece mi pare essere largamente trascurata. Rispetto alle "condizioni per cui i giovani possano rimanere", vorrei dire, senza spirito di polemica, che non è con il palazzetto dello sport (unico intervento concreto enumerato) che si convinceranno i giovani acresi a intrattenersi più a lungo o a tornare più volentieri ad Acri (oltre al Palazzetto dello Sport il nostro sindaco ha fatto riferimento a un non meglio precisato "tanto altro ancora" che non posso commentare e che allo stato attuale mi pare solo un riempitivo ad effetto). E trovo veramente sconfortante che un primo cittadino non abbia altra risposta da indicare come efficace reazione al triste e lento declino demografico che vede Acri perdere le sue migliori e più fresche risorse, senza peraltro dare nessuna vera opportunità a quanti decidono, talvolta anche con coraggio, di rimanere. Di fronte a questo declino, una classe politica logora e autoreferenziale non ha nessuna idea di come reagire adeguatamente ed anzi, ancora peggio, stimola quel fenomeno clientelare che pone i giovani in una condizione di sudditanza rispetto ai vecchi notabili e di cui ho già detto in un articolo di ormai quasi un anno fa. Sono certo che i giovani di Acri abbiano bisogno di qualcosa di diverso e di più sostanziale di un palazzetto dello sport in cui andare a impiegare il tempo libero in compagnia. Forse, vorrei suggerire ai nostri governanti, i giovani acresi si sentiranno più parte della comunità cittadina e inizieranno a svolgere un ruolo attivo e positivo per il loro paese, magari aspirando infine anche a diventarne classe dirigente, solo se il paese smetterà di trattarli come estranei inutili alla comunità e incapaci di contribuire al suo benessere e alla sua vivacità socio-culturale, relegandoli in una posizione del tutto marginale. Si sentiranno più integrati e motivati a rimanere e contribuire allo sviluppo della nostra cittadina se le istituzioni (non solo quelle politiche) sapranno costruire un valido percorso che li porti a divenire cittadini attivi, consapevoli e responsabili, veri e autonomi partecipi della vita del paese, iniziando a sentirlo come proprio. E credo che sia necessario partire dalle scuole: penso specialmente alle scuole superiori. Dove sono gli studenti? Dove e come socializzano? In che misura, anche grazie al contributo delle istituzioni scolastiche, divengono partecipi della vita cittadina? In che misura, infine, riescono a prendere direttamente l'iniziativa, facendosi promotori di nuovo sviluppo culturale? Questi mi sembrano gli interrogativi di fondo che dovremmo porci, al di là delle velleitarie soluzioni adeguate forse solo a placare le esigenze più superficiali delle giovani generazioni. Per ora, sembra che i giovani acresi vivano e condividano la condizione generale di tutti i giovani italiani, i quali si trovano di fronte una società e delle istituzioni che sbarrano loro ogni prospettiva, ogni opportunità di esprimersi e di realizzarsi, di aprire il futuro. Intrappolati in una contingenza che pare senza vie di uscite, i giovani si dividono fra momenti di apatia e indifferenza ed episodi di protesta che, specie ultimamente, iniziano a verificarsi con sempre maggiore frequenza. Non si può non prendere atto, infatti, della definitiva emersione di un malessere che, anche ad Acri (in questo direzione, non posso che salutare con grande entusiasmo la manifestazione che sabato ha movimentato le strade della nostra cittadina) le giovani generazioni hanno smesso di soffrire nel silenzio: le manifestazioni di sabato 15 ottobre, che si sono tenute in tutto il mondo, hanno fatto affiorare il dissenso delle giovani generazioni, che hanno lanciato il loro messaggio di bisogno e diritto di giustizia, dignità e partecipazione ad una società sorda alle loro esigenze, alle loro preoccupazioni e ai loro desideri. Finalmente, dunque, quest'epoca di crisi profonda, vissuta ancora più drammaticamente dai giovani, vede la nascita di un grande movimento globale di protesta e cambiamento a cui i giovani di Acri, con la manifestazione di sabato, hanno dimostrato di non essere affatto estranei. Per questo, il dovere di Trematerra come primo cittadino è quello di prendere anzitutto atto di questa situazione, senza diffondere l'illusoria e sbagliata immagine secondo cui Acri starebbe addirittura vivendo un "momento felice", come se fosse un'isola lontana dai problemi che attanagliano il mondo, l'Italia intera e il Sud in particolare. E dopo aver fatto questa presa d'atto forse sarà in grado di rendersi conto che la sua azione in merito - specie per quanto attiene al fenomeno dell'emigrazione giovanile oggetto della domanda - è del tutto insufficiente e che non basterà un palazzetto dello sport a rispondere alle esigenze delle giovani generazioni. E se non ha idea di come agire e di quale percorso intraprendere, si faccia molto umilmente aiutare, si confronti più apertamente con i giovani, si cali nei loro panni e dimostri, quantomeno, di preoccuparsi seriamente della loro condizione, smettendola di pensare di potersi permettere risposte tanto superficiali come quelle che ha tentato di dare nell'intervista in questione. Si rassegni all'idea che non può (e, in coscienza, non dovrebbe aspirare a) rappresentare un esempio per i giovani e ci risparmi la retorica del "non conta dove nasci ma quello che realizzi". Le tante incognite odierne, per come ci si stanno ponendo dinnanzi, richiedono una analisi di gran lunga più articolata del racconto mitologico e paternalistico di chi tutto sommato non si rende conto dei problemi delle giovani generazioni e quindi li banalizza fino a farli scomparire. Purtroppo il punto, per quello che mi sembra di vedere, è che i limiti culturali di chi ci governa segnano anche i confini del contributo che questa classe dirigente è materialmente in grado di dare al paese di Acri, dovendo fermarsi sulla soglia di orizzonti ad essa estranei e sconosciuti. Per fortuna, e posso chiudere queste mie riflessioni con una nota di ottimismo, i giovani indignados di tutto il mondo, da Acri a New York, hanno iniziato a non perdonare alle classi politiche e dirigenti questo limite, rappresentato anche dall'ostinato rifiuto al cambiamento e dalla riluttanza all'apertura a un futuro che pure dovrà inevitabilmente arrivare, conducendo ad una nuova condizione umana. Non siamo, forse, ancora dinnanzi a un movimento stabile in grado di superare gli stanchi rituali di una politica sempre più chiusa ai problemi e allo spirito del tempo che viviamo: sono certo, però, che le forze vive del cambiamento stiano covando silenziosamente nel disagio e nella protesta. E arriverà il loro giorno. |
PUBBLICATO 17/10/2011
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