Un anno senza Abou
Piero Cirino
La sua è una storia da copertina, che purtroppo non ha avuto un lieto fine. Anzi, ha fatto versare lacrime che non si sono ancora asciugate. Il diciannovenne Abou Diabo ha perso la vita il 10 settembre 2010, in un incidente avvenuto a un incrocio. Stava tornando a casa al termine di una giornata lavorativa, bordo del suo scooter, ma a casa non farà mai più ritorno. Lavorava in un distributore e si era perfettamente integrato nella sua nuova patria. Abou era stato ospitato, fino al raggiungimento della maggiore età, dal centro di accoglienza "Il rifugio di Isaac". La sua integrazione era l'esempio da seguire. Si era fatto la sua cerchia di amici, coltivava i suoi hobby e aiutava gli altri ospiti del Centro. Proveniva dal Burkina Faso, da dove era stato costretto a fuggire perché rischiava seriamente di essere ucciso. Era infatti uno degli attivisti pronti e denunciare gli abusi del regime e questo, da quelle parti, non è permesso. Il suo viaggio verso l'Italia, con tappa anche in Libia, fu un'autentica odissea, ma, a bordo di uno dei tanti barconi di disperati, approdò sulle nostre coste, a Lampedusa. "Il rifugio di Isaac" era appena nato e Abou fu uno dei primi ospiti della struttura. Qui frequentò i corsi scolastici e tutte le attività preparatorie a una morbida integrazione nella comunità acrese. Purtroppo il destino aveva in serbo per questo sfortunato ragazzo un percorso atroce, che finirà sull'asfalto del centro cittadino in una maledetta sera di fine estate. Chi era riuscito a sfuggire alle circostanze più pericolose era destinato a trovare la morte in un incidente, dopo l'impatto della sua moto con un'auto. A quell'incrocio, che congiunge le via Della Resistenza, Della Repubblica ed Enrico Berlinguer, ancora oggi vi sono fiori e una sua foto, oltre a un senso di perenne dolore che affligge chi vi si ferma, sia pure per rivolgere un semplice pensiero a questa triste storia. Da quel giorno "Il rifugio di Isaac" è diventato "La casa di Abou" e oggi continua a operare, dopo essere stato sull'orlo della chiusura, con 19 ospiti. I responsabili del Centro si attivarono fin da subito per mettere insieme la somma necessaria a far rimpatriare la salma. "Fu una gara di solidarietà - ricorda oggi Luigi Branca, responsabile del Centro - cui la comunità acrese rispose con grande generosità". Si andò ben oltre la cifra necessaria e il resto venne consegnato alla famiglia di Abou, in Africa. Il posto di Abou oggi lo occupa suo cugino, arrivato ad Acri subito dopo la morte di Abou, dalla Sicilia. Oggi, nella Basilica, si terrà una messa in suffragio e sarà l'ennesima occasione per ripensare a questa vicenda, ma sarà anche l'ennesima opportunità per illuminare un esempio da seguire. Fonte: "Il Quotidiano della Calabria" del 10-09-2011. |
PUBBLICATO 12/09/2011
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