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A proposito di Acrinscena

Leonardo Marra
Foto © Acri In Rete
E’ prassi che, alla fine di ogni ciclo, sia esso storico, economico, politico, culturale ecc. si cerchi di fare un bilancio per convincersi e convincere gli altri “che tutto sia andato bene”, “che tutto sia andato male”, o che “più e meglio di così non si poteva fare” e bla bla bla.
Purtroppo non esistono bilanci “oggettivi” che possano, cioè, essere considerati assoluti “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Le conclusioni, e dunque le considerazioni finali, cambiano a seconda dell’umore (e del colore) di chi redige il bilancio, delle variabili e delle costanti considerate, della possibilità di avere un quadro completo degli avvenimenti, di tutto ciò che ha concorso al loro accadimento e dalla volontà di contribuire a che il bilancio possa essere positivo in futuro.
Conscio di queste premesse, mi auto esonero dal fare bilanci, primo perché non ne avrei titolo, poi perché mi mancano le informazioni necessarie e, ultimo, perché, in questo caso, non mi interessa farli.
Mi limiterò semplicemente a esternare dei pensieri, cercando di fare in modo che, dalle mie considerazioni, possano scaturire suggerimenti per il futuro. Per quanto personalissime esse possano sembrare, so per certo che vengono condivise (addirittura) da una mezza dozzina di persone.
Quando lessi il programma di Acrinscena mi stupii del prezzo dei biglietti di ingresso, a mio avviso impopolari. Poi seppi del mancato introito dei contributi regionali e me ne feci una ragione, rassegnandomi, eventualmente, a partecipare ad iniziative alternative.
Comunque, a prescindere dal prezzo del biglietto e alla luce degli avvenimenti, non posso non fare un paio di osservazioni:
1) Perché invitare per la terza volta Grignani? Non mi sembra che la sua produzione discografica sia stata così importante negli ultimi anni da indurre a pensare che una ulteriore presenza avesse potuto riempire l’anfiteatro. (E’ vero, anche per i Nomadi non era la prima volta, ma, francamente, il paragone tra gli artisti parrebbe a dir poco azzardato). Per di più, la scelta della sera del 14 agosto, per una manifestazione del genere, sarebbe da evitare. Gli acresi (in particolare i giovani), sono più propensi a pianificare il ferragosto tra amici e “piazzare le tende” in Sila fin dalla giornata precedente.
Si potevano impegnare quei soldini per altre iniziative.
2) Perché impegnare quattro serate per il festival Manouche? Non metto assolutamente in dubbio la validità dell’iniziativa ormai in essere da diversi anni con un discreto afflusso di pubblico amante del genere, né mi azzardo a discutere la valenza artistica che tale manifestazione instilla a tutto il programma di Acrinscena. Il fatto è che si corre il rischio di farlo diventare più prolisso del festival di Sanremo. Diverso sarebbe se si istituisse un “Festival Manouche” fuori dal contesto estivo e se ne facesse un evento di valenza internazionale, ma questo non è il caso (mi pare).


Anche qui, si potrebbe diminuire il numero di serate ed impegnare le somme ad altre iniziative.
Quali? Beh! Considerando solo il programma di Acrinscena (eventi cultural-musicali) mi viene da pensare che, da qualche tempo (almeno tre-quattro anni), si sia stati completamente dimentichi del fatto che le espressioni artistiche possano essere rappresentate da forme convenzionali meno “commerciali”. Penso al teatro, al cinema, alla fotografia, alla musica classica e lirica, alla pittura, alla scultura, alla danza, alla poesia. Tutte forme artistiche se non più degne, almeno considerate alla stregua delle “canzonette” che ogni giorno vengono propinate dalle radio commerciali.
Se alla danza provvedono con i saggi di fine anno le varie scuole del territorio ed alla lirica è stato portato un contributo di respiro internazionale con la presenza di una attrice del calibro di Katia Ricciarelli, per le altre “muse” resta ancora il tempo dell’oblio.
Ci sono in giro per la Calabria numerosi esempi di come si possa trasformare una iniziativa in un evento che duri nel tempo al di là del semplice mese di agosto. Di come si possa valorizzare il territorio anche attraverso una scelta oculata degli spettacoli da offrire al pubblico perché, non dimentichiamolo mai, anche in un paese come Acri, distante dai circuiti del grande spettacolo esiste una molteplicità di individui capaci di discernere la differenza tra ciò che si offre come tappabuchi e ciò che invece è una proposta di crescita culturale (in senso assolutamente lato).
Il mio suggerimento per il futuro è quello di arricchire il già nutrito carniere di questa manifestazione con qualche iniziativa teatrale (in passato ci sono state compagnie nazionali ed anche regionali che hanno riscosso un notevole interesse ed affluenza di pubblico).
Si potrebbero organizzare concerti di musica classica (solisti, duo o trio), non necessariamente all’aperto, in modo da soddisfare anche la fascia di amanti del genere.
A titolo di puro esempio (tanto per farsi una idea di quello che intendo e senza entrare nel merito dell’aspetto economico che non so valutare), invito a dare una occhiata a questo sito: http://www.festivaleuromediterraneo.org/
Si potrebbe pensare alla proiezione di film all’aperto (non necessariamente di prima visione) che possano riscuotere l’interesse generale. Senza contare le esposizioni di scultura e pittura, fotografia che possono essere organizzate invitando autori cittadini ed impegnando in questo modo minori risorse finanziarie.
Se poi sconfiniamo fuori dall’ambito delle manifestazioni di Acrinscena possiamo accorgerci che esiste tutto un universo di iniziative che, probabilmente per scelta, non vengono prese in considerazione.
Penso alle sagre (non quelle confinate al “Purgatorio” e legate alle varie feste di associazioni, culturali e non) intese come possibilità di ritrovare in piazza il piacere delle cose di sempre. Però mettiamo al bando la salsiccia arrosto (onnipresente ed inflazionata) e apriamo alle sagre che facciano amare il gusto “dolce” della vita e dello stare assieme. Potremmo così scoprire la sagra del “dolce fatto in casa”, del “panino gigante con la nutella”, del gelato, delle “patate ‘mpacchiuse”, del peperoncino piccante, del fusillo fatto in casa insomma la fantasia in questo senso potrebbe sbizzarrirsi.
A proposito di ciò, mi piacerebbe che i miei concittadini avessero sempre presente il concetto che il paese è di tutta la comunità. Purtroppo sono in molti a ritenere il “bene comune” come il “bene di nessuno” (della serie:chissenefrega se sfasciano il mondo, tanto non è mio) ed abbiamo assistito, all’indomani della notte bianca, allo schifo che era rimasto in terra nei luoghi (dell’isola pedonale) che la comunità (il Comune) aveva concesso ai distributori ambulanti di cibo e bevande. Il residuo delle cotture delle diverse cibarie (olii, grassi e liquidi assortiti) colato in terra senza che nessuno se ne curasse. E’ necessaria una vigilanza accurata affinché chi usufruisce di spazi comuni utilizzi gli stessi in maniera adeguata, restituendoli puliti alla stessa comunità.

PUBBLICATO 27/08/2011

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