Una fede vissuta nella prassi, non nominata in teoria .
sac. Sergio Groccia
Questo vale anche per il cristianesimo e la sua storia, per la Chiesa dall'inizio della sua presenza ad oggi: ombre e luci; infedeltà e smentite clamorose; esemplarità luminose di coerenza fino a dare la vita, come i martiri. Dall'abbraccio mortale con l'imperatore Costantino fino ad oggi, il peccato grave della Chiesa è il rapporto di reciprocità e di sostegno con i poteri di questo mondo: politico, economico, militare, con la perdita della ragione stessa del suo essere segno del Regno di Dio, cioè della passione per Dio e per l'umanità; di diventare cioè istituzione fra le istituzioni, potere fra i poteri, quindi non più Chiesa del Vangelo. Viviamo avvolti da un'intensa complessità; siamo coinvolti in processi di cambiamento profondi e accelerati con questioni etiche come mai prima d'ora: dall'inizio al fine vita, dall'ambiente attorno a noi di cui siamo parte, al potere dei mezzi d'informazione. In questa situazione storica pare che con frequenza si faccia diventare la fede una contro-cultura e la Chiesa una contro-società; che si diffondano un conservatorismo religioso e una generale passività di coloro che si dichiarano cristiani, cattolici praticanti, anche se indubbiamente ci sono minoranze diffuse e anche rilevanti di cristiani impegnati nelle comunità, nei gruppi, nelle storie di fatica e di marginalità, in progetti educativi e di cooperazione significativi. L'atteggiamento maggioritario però è quello della sottomissione, della docilità, del silenzio, senza traccia di profezia nell'annuncio, nella denuncia, nella proposta, nel coinvolgimento, nella testimonianza. E questo permette di sentirsi appartenenti al mondo cattolico e anche di dichiararlo invocandone retoricamente le radici, l'identità, i valori, per poi subito smentirli vergognosamente dimostrandosi nelle parole, nei gesti, nelle decisioni, razzisti, sostenitori della guerra; tolleranti nei confronti di chi esibisce le idolatrie del potere e del denaro, l'uso strumentale e spudorato dei corpi delle donne come merce che si compra e si paga bene. Di recente, 143 teologi cattolici di università tedesche, austriache e svizzere hanno sottoscritto un documento sulla necessità e urgenza di profondi cambiamenti nella Chiesa; "autocritica, accoglienza d'impulsi critici, svolta" sono i termini più ricorrenti, che riguardano le grandi questioni dell'umanità e quindi, anche della Chiesa. In questo contesto di riflessione, entra il fascio di luce del Vangelo Matteo 7,21-27: "Non tutti quelli che dicono: Signore , Signore!- entreranno nel Regno di Dio. Vi entreranno soltanto quelli che fanno la volontà del Padre mio che è in cielo. Quando verrà il giorno del giudizio, molti mi diranno:-Signore, Signore! Tu sai che noi abbiamo parlato a tuo nome..-. Ma allora io vi dirò:- Non vi ho mai conosciuti. Andate via da me, gente malvagia!". Cosa significa quindi riferirsi retoricamente a ispirazioni, radici, valori non negoziabili, famiglia, quando poi si giustificano potere, denaro, armi, guerre, razzismo, distruzione dell'ambiente? Come pensare e agire per cambiare? E' doverosa e urgente una profonda conversione, ritornare a Gesù di Nazaret, alla sua passione per Dio e per l'umanità, con attenzione preferenziale ai piccoli, ai poveri, agli indifesi, ai dimenticati. Non si tratta quindi principalmente di riforme liturgiche, di innovazioni pastorali, ma prima e soprattutto di tornare alle radici, all'essenziale, a come Gesù è vissuto, al messaggio coinvolgente che ci ha trasmesso per poter guardare alla vita, alle persone e al mondo con la compassione con cui li ha guardati Lui; e questo riferimento va vissuto con scelte coraggiose di fedeltà e coerenza nella giustizia e nella condivisione, nell'accoglienza e nella solidarietà; nella nonviolenza attiva e nella costruzione della pace; nella difesa dell'ambiente e dell'acqua come bene comune. E' preferibile non dirsi cristiani, ma vivere da cristiani, cioè seguire Gesù di Nazaret. |
PUBBLICATO 13/03/2011
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