Acri: potere, decadenza, “risorgimento”.
Mirko De Maldè
Il nostro, a mio avviso, preferirà senza dubbio continuare ad esercitare il proprio potere e la propria influenza in Calabria e, soprattutto, ad Acri, piuttosto che "ritirarsi" nella lontana Strasburgo, dove non potrebbe far sentire ugualmente il suo peso. Al massimo sceglierà di "stare su due poltrone", giusto per soddisfare il vezzo di essere europarlamentare, pur non avendo nulla da andare a dire in quel già mal ridotto Parlamento, facendo il sindaco a mezzo servizio. Forse non ce ne accorgeremo, ma certo non si tratterà di una scelta responsabile. Dico questo, mentre nella mia mente riecheggiano i ricordi di quello spirito di innovazione con cui Trematerra ha voluto caratterizzare la sua campagna elettorale: fare l'interesse di tutti, al di là delle fazioni, costruire qualcosa per il paese, avviare una nuova stagione. Lo spirito di chi "dopo aver ricevuto tanto" voleva finalmente poter "dare qualcosa" alla sua comunità. Ma oggi, mi appare sempre più chiaro che quelle parole erano ispirate dal momento elettorale e dalla solita, stanca, furbizia dei comizi. La realtà di Acri, infatti, non mi appare più neppure configurabile nella logica degli schieramenti politici, bensì in quella delle conventicole di corte, dell'antico retaggio medievale del sistema feudale. Il volto bonario del padre-padrone tradisce già da solo l'approccio "proprietario" di chi vuole gestire la cosa pubblica come qualcosa di cui disporre in maniera del tutto arbitraria. Benevolo con gli amici e i simpatizzanti, inesorabile contro eventuali dissidenze. Giungono notizie, per esempio, dell'ultima prova di Trematerra al convegno organizzato dal Comitato Pro Centro Storico, proprio domenica scorsa, nel quale veniva presentato un progetto di riqualificazione del nostro antico patrimonio urbanistico. Il Sindaco, piuttosto che ringraziare il gruppo per l'impegno profuso per la riqualificazione di un'area del tutto abbandonata, ha stimato opportuno lamentarsi di non essere stato avvisato e coinvolto prima. Ha ritenuto giusto rimproverare gli organizzatori dell'evento perché non erano passati, per prima cosa, a "chiedere consenso", come faceva Pasquale Cafiero con don Raffaè. E, dopo queste lungimiranti parole, il Sindaco concludeva la sua partecipazione in maniera prematura, lasciando la sala dopo una breve quanto inutile presenza. Sono questi i modi? Questi i giusti atteggiamenti di una istituzione? Queste le modalità attraverso cui fare l'interesse di tutti? Deprimere i rari segni di iniziativa privata? Tarpare le ali alle iniziative altrui, se prima non hanno bussato alle porte giuste? E nel frattempo, cosa è stato fatto di buono? Quali provvedimenti super partes per il bene della comunità (intera) sono stati adottati? Nessuno si scandalizzi e, per favore, nessuno cerchi di rispondermi con qualche improbabile elenco di buone azioni e di ottimi provvedimenti già attuati. Nessuno cerchi di smentirmi con parole che andrebbero solo ad aggiungersi alle opinioni interessate che ho già avuto modo di ascoltare. Le mie sono domande retoriche, provocazioni, se volete chiamarle così. Sono la reazione spontanea di chi ha visto un brutto clima in Paese. Un clima di silenzio, di sospetto. Un clima che vede molti impegnati nella difesa di un ben definito tipo di potere. Un potere fondato su una semplice parola: clientelismo. Lo storico Paul Ginsborg, nel commentare questo termine all'interno del suo ultimo saggio (Salviamo l'Italia, edito da Einaudi), afferma che, in tale contesto, "il politico si comporta come un dispensiere in grado di distribuire risorse pubbliche (posti di lavoro, pensioni, licenze, appalti, ecc) a clienti, amici, parenti, in cambio di fedeltà, sia personale sia elettorale. I valori sociali che vengono coltivati non sono quelli civici, di cittadinanza e trasparenza ma quelli della sottomissione, della riconoscenza, al massimo dello scambio di favori". In tale frase ho trovato, messa per iscritto, una impressione che era molto viva dentro me sin dalla mia ultima visita ad Acri e che ,oggi, mi spinge a fare questa breve "denuncia verso ignoti". La conclusione, ancora più amara, è che vittime finali di questa logica (nel mondo della globalizzazione e del precariato) sono i giovani, che vedono restringersi la loro sfera dei diritti e si ritrovano, nel contesto clientelare, ad essere "incatenati ai vecchi in un rapporto di dipendenza <<informale>>". Quale migliore fotografia del nostro sfortunato paese? Certo, sarebbe sciocco da parte mia addebitare tutte le responsabilità di questa situazione, di questo ambiente e di questo sistema all'attuale sindaco e al suo "operato" in questi pochi mesi. Il mio j'accuse è semmai rivolto a tutti noi, nessuno escluso: tutti responsabili, ognuno per una certa parte, per aver reso possibile tutto ciò, per aver costruito, "con atti o con omissioni", questo sistema perverso mattone per mattone. Un grande acrese del passato, Vincenzo Padula, parlava degli acresi definendoli "vili e servili", addossando a loro, in ultima istanza, le responsabilità dei mali da cui erano afflitti. Non voglio concludere così, tuttavia, queste mie brevi riflessioni. Le concluderò piuttosto con un azzardato riferimento a Platone e alla sua parabola della caverna. In questa parabola, lo schiavo che si libera dalle sue catene e smette di accettare come realtà le ombre sulla parete, per prima cosa compie un gesto fondamentale, che è quello di girarsi, smettendo di guardare il muro: il termine greco è periagoge, che vorrei rendere in italiano (non me ne voglia nessuno, ma il termine più appropriato, che forse sarebbe "conversione", non mi attrae allo stesso modo) con il termine "rivolta". Di questo avremmo bisogno ad Acri. Di una rivolta che è sempre, anzitutto, una scelta personale. C'è bisogno di questo, di un sussulto di dignità e moralità collettiva, per trovare la forza di voltare pagina. Acri ha tutte le potenzialità per "risorgere", per sfruttare le sue risorse per prospettive lunghe, di ampio respiro; per invertire una pericolosa tendenza demografica ed una ancora più pericolosa deriva sociale e culturale. Il benessere della nostra comunità si potrà ritrovare solo superando gli interessi dei gruppuscoli di parte, delle consorterie varie, delle corporazioni malate di potere e ossessionate dal tornaconto personale. Solo così si potrà perseguire con fermezza l'interesse della comunità e dare un futuro al nostro paese. Ma il primo atto dovrà essere quello già indicato: rifiuto, resistenza, rivolta. |
PUBBLICATO 13/12/2010
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