Donna.
Stefania Basile
Ricorre, ogni 25 novembre, la Giornata internazionale contro la violenza alle donne che, quest’anno, si protrarrà per 16 giorni fino al 10 dicembre. Saranno giorni di mobilitazioni e di iniziative per dire BASTA ad abusi, stupri e mutilazioni che ancora oggi, nella “società moderna”, popolano la cronaca nera dei nostri giornali. Qualcuno ha persino coniato un neologismo: “Femminicidio”, così lo chiamano. Un brutto termine che esprime con un’efficace dissonanza la bestialità che vuole indicare. Eppure, spesso ci dimentichiamo che la donna malmenata, stuprata e uccisa, è vittima di questa società maschilista per la seconda volta. Ogni donna è, infatti, vittima di quella che il filosofo tedesco Adorno ha definito una “mutilazione sociale”: la stessa idea di donna e di femminilità non è, in realtà, che il prodotto violento di una società fatta da uomini. Il retaggio di questa mutilazione è ancora ben presente nella nostra società, laddove la discriminazione e l’esclusione rappresentano la regola, piuttosto che l’eccezione, nella vita quotidiana di ogni donna. Nonostante tutto questo, ancora ci sono donne uccise da mariti, da ex, da parenti; donne picchiate e segregate, rese schiave dall’ignoranza di individui che pongono la sottomissione alla base di un rapporto, aggiungendo così ulteriore violenza a quella che già caratterizza la normale condizione femminile. È, infatti, quando la donna si ribella allo stato di subordinazione che si scatena la violenza. Possibile che il tentativo di emancipazione sia la causa di tutto? Costituisce motivo di ulteriore frustrazione assistere anche all’abbandono, da parte delle istituzioni, dei pochi centri di accoglienza e associazioni che combattono per le donne. I tagli previsti dalla legge di stabilità per le organizzazioni di volontariato hanno, infatti, messo in crisi i centri antiviolenza, mentre i tagli dei fondi agli enti locali hanno costretto alla chiusura di molti centri, come - ad esempio - il centro antiviolenza di Cosenza “Roberta Lanzino”, nato nel 1988 e che “ha dato voce a donne che non potevano averla”. Come denunciano molte ONLUS, “ il Governo a parole fa politiche per donne, ma nei fatti non ci sono politiche stabili e finanziamenti certi”; e pensare che secondo le statistiche sono 13.587 le donne che nel 2009 hanno chiesto aiuto ai centri antiviolenza. A questo punto, quando tutto sembra disporsi contro il “secondo sesso”, non ci rimane che combattere per noi stesse, conquistando da sole la dignità e il rispetto che nessuno vuole veramente concederci, salvaguardando da sole la nostra incolumità fisica e psicologica. Per prima cosa dobbiamo difenderci da noi stesse, da una rappresentazione umiliante che troppo spesso autorizziamo, lasciando che troppe donne (e magari giudicandole) sviliscano la loro essenza per sottomettersi alla logica del potere maschile. L’indifferenza è la prima delle brutalità e, solo quando recupereremo una dimensione autenticamente solidale dell’universo femminile, saremo in grado di reagire e non farci zittire da un paese che non sembra fatto per donne e dove sembra quasi che l’ essere donna sia un reato. Un nastro bianco è il simbolo, in questi giorni, della lotta a questa gerarchia, a questa politica insensibile e incapace di capire i bisogni delle donne oltre che incapace di valorizzare il lavoro che le Onlus hanno fatto e stanno facendo per noi donne. Non restiamo in silenzio, lottiamo per i nostri diritti, come da sempre abbiamo fatto, “lottiamo contro questi barbari” finchè ogni donna non si convinca che è possibile vivere pienamente, e non solo “sopravvivere”, in un paese per uomini. |
PUBBLICATO 26/11/2010
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